… e fu così che Musumeci e Crocetta ‘incaprettarono’ centrodestra e centrosinistra…

5 agosto 2017

Lo spettacolo che, in queste ore, centrodestra e centrosinistra stanno dando in Sicilia è la prova provata del fallimento dai partiti politici nazionali in Sicilia. Ufficialmente Gianfranco Miccichè ha ‘posato’ Nello Musumeci. Nei fatti è quest’ultimo che ha bloccato Forza Italia. Ufficialmente Rosario Crocetta ‘trantulia’. Di fatto è lo stesso presidente della Regione che tiene sotto scacco il PD, Leoluca Orlando e, forse, anche Enzo Bianco…

Lo spettacolo che, dall’autunno dello scorso anno, centrodestra e centrosinistra danno in Sicilia è la testimonianza del fallimento di queste due formazioni politiche.

Da quasi dieci mesi il centrodestra ha provato in tutti i modi a sbarazzarsi di Nello Musumeci. Tutto inutile, perché Musumeci, che è candidato alla presidenza della Regione siciliana dalla fine di ottobre dello scorso anno, non ha alcuna intenzione di farsi da parte.

Non va meglio per il centrosinistra. Matteo Renzi e, da qualche mese, anche Leoluca Orlando – che si è autoproclamato leader del centrosinistra dell’Isola – provano in tutti i modi a convincere il presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, a rassegnare le dimissioni e a togliersi di mezzo. Ma neanche Crocetta molla di un millimetro e dice di essere ricandidato.

Ieri, quello che è avvenuto nel centrodestra siciliano, è veramente incredibile. Dire chi siamo davanti a una commedia degli inganni è poco.

Il tam tam è iniziato ieri mattina, quando i giornali hanno raccontato che il ‘figliuol prodigo’ di Berlusconi, al secolo Angelino Alfano, il sempre-Ministro nei governi di centrosinistra, ha incontrato, a distanza di poche ore, prima Gianfranco Miccichè e Nello Musumeci, strappando la promessa della vice presidenza della Regione siciliana nel caso di vittoria del centrodestra; e poi Graziano Delrio e Davide Faraone, incassando la promessa di un aiuto per scavalcare lo sbarramento alle elezioni politiche previste nella primavera del prossimo anno (QUI L’ARTICOLO).

L’aspetto incredibile è che ormai quasi tutti gli osservatori trovano del tutto ‘normale’ che Alfano tratti contemporaneamente con il centrodestra e il centrosinistra per provare a garantire la permanenza sua e dei suoi accoliti sia a Roma, tra Montecitorio e il Senato, sia in Assemblea regionale siciliana.

Il trasformismo, tra i partiti della vecchia politica italiana, è diventato la regola. E di questo trasformismo i veri garanti sono Renzi e Berlusconi.

La serietà, le ideologie politiche, la linearità nella stessa azione politica per gli esponenti del centrodestra e del centrosinistra non contano nulla. Sui giornali leggiamo che Alfano e i suoi avrebbero a disposizione un pacchetto di voti pari all’8%: supponiamo che tale percentuale faccia riferimento alla Sicilia, perché non possiamo pensare che ci siano osservatori di fatti e cose politiche che pensino che Alfano e la sua ‘band’ di trasformisti possano raggiungere l’8% a livello nazionale!

In Sicilia l’8% dei consensi significa ‘viaggiare’ sui 220 mila voti. Tale numero viene fuori calcolando una partecipazione al voto del 55%: noi abbondiamo un po’ rispetto alla partecipazione al voto dei Siciliani alle elezioni regionali del 2012, che è stata leggermente inferiore al 50%, perché siamo convinti che i Siciliani siano veramente nauseati del Governo di Rosario Crocetta: poi, è chiaro, dopo lo spoglio delle schede alle elezioni comunali di Palermo, tutto è possibile…

Ora, pensare che Alfano e la sua ‘band’ di trasformisti possano contare, in Sicilia, su 220 mila persone che gli danno il voto – con lo spoglio delle schede regolare e non alla ‘palermitana’ – ci sembra molto esagerato. A nostro modesto avviso – anche alla luce delle ultime elezioni comunali – il Ministro degli Esteri e i suoi amici, in Sicilia, non dovrebbero nemmeno arrivare al 5%, nonostante il clientelismo legato alla gestione dei migranti.

E allora perché tanto interesse attorno ad Alfano, da parte di centrodestra e centrosinistra, a Roma come in Sicilia? La realtà è molto più semplice di quanto sembri.

Renzi sa di essere il ‘leader’ del peggio di quello che un tempo si chiamava sinistra italiana. Mentre Berlusconi sa di essere il leader del peggio della politica italiana.

Ora, due ‘leader’ politici che hanno in comune il peggio del mondo politico non possono che andare d’accordo. Magari potranno perseguire fini diversi, ma i metodi che seguono sono gli stessi.

E’ per questo che, a Roma, nel giro di poche ore, Alfano – che alla fine è un ‘distillato’ del peggiore berlusconsimo e del peggiore trasformismo – viene ricevuto dai ‘capi’ del centrodestra e del centrosinistra. Perché i ‘capi’ di questi schieramenti politici, uniti nel peggio, sanno che Alfano, sia che si collocherà nel centrodestra, sia che si collocherà nel centrosinistra (o a Roma da una parte e in Sicilia dall’altra parte), sarà sempre utile alla ‘causa’.

E la ‘causa’ che centrosinistra e centrodestra perseguono – a Roma come in Sicilia – è il mantenimento del potere, senza alcun’altra motivazione.

Mantenere il potere a Roma, per Renzi e Berlusconi, significa allontanare lo spettro dei grillini: per questo un giorno sì e l’altro pure la RAI renziana e le TV di Berlusconi attaccano la sindaca di Roma, Virginia Raggi: perché sanno che, se riusciranno a disarcionare la sindaca di Roma prima delle elezioni politiche nazionali avranno più possibilità di battere i grillini.

In Sicilia, per il centrodestra belusconiano, Nello Musumeci rappresenta il fumo negli occhi. Ieri Miccichè ha detto che “non vuole un fascista alla presidenza della Regione”. Chiaro il riferimento al passato di Musumeci nel Movimento Sociale-Destra nazionale.

In realtà Miccichè, su input di Berlusconi, deve sbarazzarsi di Musumeci. Perché, in Sicilia, il berlusconismo non potrebbe essere mai rappresentato da Musumeci.

Tra l’altro, Berlusconi ha un’esigenza: sa che chi vince le elezioni regionali in Sicilia poi, quasi matematicamente, le vince in Italia. Ma le elezioni in Sicilia, Berlusconi, non le può vincere con Musumeci: le deve vincere con un proprio esponente.

Se Salvo Pogliese non fosse rimasto intrappolato nella vicenda delle ‘spese pazze’ dell’Ars, già da tempo sarebbe il candidato di Forza Italia in Sicilia. Con molta probabilità, nelle prossime ore, l’ex Cavaliere, attraverso il suo ‘ventriloquo’ in Sicilia, darà il nome del candidato del centrodestra siciliano alla guida della Sicilia.

I centristi sperano – o s’illudono – che Berlusconi punti su Roberto Lagalla. Ma, con molta probabilità, il leader di Forza Italia indicherà, per la Sicilia, indicherà il proprio candidato: potrebbe venire fuori il nome di Giovanni Pitruzzella; o duello di Gaetano Armao: anche se una soluzione più ‘politica’, in questa fase, potrebbe essere più gradita all’elettorato di centrodestra dell’Isola: per esempio, il parlamentare nazionale Basilio Catanoso.

C’è anche una logica: siccome per l’elezione del presidente della Regione siciliana ci saranno sette-otto candidati in corsa, si dovrebbe vincerebbe con il 18-20%, Berlusconi – che con la vendita del Milan è di nuovo in ‘palla’ – pensa di giocarsi la partita anche contro Musumeci (magari offrendo l’assessorato alla Sanità a Roberto Lagalla per ingraziarsi il voto centrista e togliere di mezzo un candidato che convergerebbe su Forza Italia: ammesso e non concesso che Lagalla, che ormai in questo passaggio ha messo la propria faccia, decida di ritirarsi).

E nel centrosinistra? Rosario Crocetta non molla. Per potere consentire a Leoluca Orlando – o magari a Enzo Bianco, sindaco di un Comune, quello di Catania, in dissesto finanziario – di candidarsi, Crocetta deve dimettersi.

La legge elettorale siciliana prevede che un sindaco di una città con un numero di abitanti superiore a 20 mila – è il caso dei sindaci di Palermo e di Catania – per potersi candidare al Parlamento siciliano o alla presidenza della Regione, debba dimettersi sei mesi prima.

Questa prescrizione, però, decade nel caso di interruzione anticipata della legislatura in Assemblea regionale siciliana. E’ per questo che, ormai da alcune settimane, Orlando e il PD pressano su Crocetta per farlo dimettere: perché le dimissioni di Crocetta aprirebbero la strada alla candidatura di Orlando alla presidenza della Regione (o alla candidatura di Bianco).

Crocetta, però, resiste. E ha le sue buone ragioni: ha consentito a Renzi, tramite il ‘commissario’ Alessandro Baccei, di svuotare le ‘casse’ della Regione. Crocetta, per ingraziarsi Renzi, ha ‘incaprettato’ 5 milioni di Siciliani.

Ora, per ‘ricompensa’, Renzi vorrebbe sbatterlo fuori, senza garantirgli nemmeno uno ‘strapuntino’ parlamentare a Roma.

I renziani del PD siciliano, però, insistono. Lo scontro tra Crocetta e il PD si è trasferito all’Ars. Dove i renziani minacciano di non approvare il rendiconto 2016: cosa, questa, che provocherebbe il commissariamento della Regione e l’interruzione anticipata della legislatura.

Crocetta, da par suo, avrebbe risposto che della mancata approvazione del rendiconto 2016, da parte dell’Ars, se ne farebbe un baffo, perché resterebbe comunque candidato alla presidenza della Regione, alla faccia di Orlando o di Bianco.

Lo scontro è durissimo. e, come si può notare, su obiettivi e argomenti che, sul piano della miseria della politica, non sono diversi dal trasformismo di Alfano e dal peggio del peggio di Berlusconi e dei suoi accoliti.

In più, Orlando e Bianco (i due, nel trasformismo politico del centrosinistra siciliano, sono intercambiabili) hanno un altro problema: una lista alla sinistra del PD – capitanata dai vari Ottavio Navarra, Sonia Spallitta, Saverio Cipriano, Renato Costa (insomma, una parte della CGIL pronta a ‘divorziare’ dal PD) – che rischia di togliergli una barca di voti.

Ma chi l’avrebbe mai detto che Musumeci e Crocetta, avversari alle elezioni regionali di cinque anni fa, sarebbero diventati i ‘castigatori’, rispettivamente, del centrodestra e del centrosinistra della Sicilia?

Insomma, da qui a qualche settimana, o a qualche giorno, ne vedremo delle belle…

 

 

 

 

 

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