735 anni fa la rivolta del Vespro siciliano. E oggi? Cacciamo gli ascari dalla Sicilia!

31 marzo 2017

“Se mala signoria, che sempre accora li popoli suggetti, non avesse mosso Palermo a gridar “Mora, Mora: questa frase di Dante accompagna ogni giorno I Nuovi Vespri. Nel 1282 gli “esosi baroni di Carlo d’Angiò” opprimevano le libertà e massacravano i Siciliani con tasse odiose e vessazioni di ogni tipo. Gli ascari che oggi governano la Regione siciliana fanno la stessa cosa e, di fatto, sono i collaborazionisti del Governo di Roma. Oggi come ieri i Siciliani debbono riconquistare la libertà!

 

di Ignazio Coppola

La sera del 31 marzo 1282, lunedì di Pasqua, esattamente 734 anni addietro, scoppiava a Palermo sul sagrato della chiesa di Santo Spirito la rivolta del Vespro. Era l’inizio della cacciata dalla Sicilia dei vituperati angioini che, con la loro “mala signoria”, così come la definì Dante (“Se mala signoria, che sempre accora li popoli suggetti, non avesse mosso Palermo a gridar “Mora, Mora”), avevano fatto di tutto, con la riduzione delle libertà baronali, con un’opprimente politica fiscale, con vessazioni, soprusi ed angarie di ogni genere nei confronti della popolazione, per farsi odiare.

E infatti l’odio accumulato esplose quel lunedì di Pasqua del 1282, allorquando un soldato francese. tale Drouet, con la scusa di perquisirla, mettendo le mani addosso ad una donna, che assieme a i suoi familiari era in attesa della messa del Vespro, suscitò la immediata reazione del marito che, pieno di rabbia, lo uccise trafiggendolo con la sua stessa spada.

Scrive Michele Amari nella sua opera La guerra del Vespro Siciliano:

“E avvenne che i cittadini di Palermo, cercando conforto in Dio dalle mondane tribolazioni, entrati in un tempio a pregare, nel tempio, nel giorno sacro alla passione di Cristo, tra i riti di penitenza e di pace, trovassero più crudeli oltraggi. Gli scherani del fisco adocchian tra loro i debitori delle tasse; strappanli a forza dal sacro luogo; ammanettati li traggono al carcere, ingiuriosamente gridando in faccia all’accorrente moltitudine: ‘Pagate, Paterini pagate’. E il popolo sopportava. Il giorno appresso la Pasqua, cadde esso addì di trantuno marzo, si celebrò una festa nella chiesa di Santo Spirito. Allora, brutto oltraggio a libertà fu principio e il popolo stancassi di sopportare”.

Questa la scintilla che infiammò la rivolta e che, partendo da Palermo, si diffuse poi, a macchia d’olio, in tutta la Sicilia: Corleone, Taormina, Messina, Siracusa, Augusta, Catania, Caltagirone e via tutte le altre città. Tranne Sperlinga, che fu l’unica città della Sicilia a concedere ospitalità ai francesi in fuga e sul frontespizio del cui castello scavato nella roccia ancor oggi si legge questa eloquente scritta:

“Quod siculis placuit sola Sperlinga necavit” (Ciò che piacque ai Siciliani – di fare strage dei francesi – solo Sperlinga lo negò”.

Le prime due città da cui partì la lotta di indipendenza e di affrancamento al potere Angioino, all’indomani della rivolta, furono Palermo e Corleone che si costituirono in liberi Comuni nominando capitani reggenti delle due città, rispettivamente il palermitano Ruggero di Mastrangelo e il corleonese Bonifacio di Camerana. Al grido di “buono stato e libertà” fu sottoscritto tra i due Comuni un patto federativo di reciproco aiuto e il mutuo impegno di darsi “auxilium consilium et iuvamen cum armis pecunia et personis” che di fatto fu l’inizio di quella “Communitas Siciliae” che avrebbe poi coinvolto in una indissolubile alleanza tutte le altre città della Sicilia che prontamente raccolsero l’invito loro rivolto dal capitano di Palermo Ruggero Mastrangelo:

“Con le nostre forze siamo in grado di sollevare tutta l’Isola sino a Messina, e Messina stessa non sarà dello straniero: Abbiamo un comune lignaggio e comuni la lingua, le glorie del passato e l’ignomia del presente: abbiamo consapevolezza che tirannide e miseria sono frutto della divisione. Cristo che predicava libertà agli uomini e che vi ispirò questo riscatto, distende su di voi il suo braccio onnipotente, si vi aiutate da uomini. Cittadini, capitani del popolo ritengo che con messaggeri si debba richiedere a tutte le terre di collegarsi con noi nel buono stato comune e che con le armi con celerità e con audacia si aiutino i deboli, si convincano gli incerti e si combattano gli ostinati”.

L’appello che era anche un programma fu accolto e la rivolta divampò così in tutta l’Isola. Il patto federativo tra le comunitates di Palermo e Corleone, stipulato da 29 rappresentati delle due città, comportò in quell’occasione anche, il 3 aprile 1282, la nascita della bandiera giallo-rossa (formata dal rosso di Corleone e dal giallo di Palermo) con al centro la Triscele che sarà ininterrottamente il simbolo d’appartenenza dei siciliani al concetto di nazione e poi ai nostri giorni, con la conquista dell’Autonomia, diverrà la bandiera ufficiale della Regione siciliana.

La parola d’ordine adottata allora dai rivoltosi del Vespro fu “ANTUDO”. Una parola d’ordine dalle oscure origini che si presta a molteplici interpretazioni, una delle quali, a nostro avviso, indurrebbe a pensare che derivi dal francese ENTENDUE (inteso) ossia l’intesa stipulata tra le città dell’Isola nella rivolta contro gli angioini. Un’altra interpretazione, a sua volta, è quella data dallo storico Santi Correnti che la fa derivare da un acronimo Animus Tuus Dominus (Il coraggio è il tuo signore).

E il coraggio e la rabbia dei siciliani di ribellarsi alle ingiustizie e alle vessazioni della mala signoria angioina alla fine ebbero il sopravvento su chi, sulle loro teste (il Papato e l’Impero) voleva fare della Sicilia facile terra di conquista.

La voluntas siculorum di essere “nazione” e di essere indipendenti, in quelle gloriose giornate della rivolta del Vespro, era anche la presa di coscienza di essere i continuatori di chi, come Ruggero II re di Sicilia e monarca illuminato, alla costruzione di una coscienza nazionale siciliana, con comportamenti ed atti consequenziali (a lui si deve il primo Parlamento della storia), diede il proprio fondamentale e peculiare contributo.

Indipendenza e salvaguardia dell’identità siciliana che sarà, poi, successivamente tutelata e salvaguardata, con tutte le sue forze, da Federico III re di Sicilia che, tenendo testa a scomuniche e tradimenti e battendosi sino alle estreme conseguenze, e a più riprese, contro angioni, aragonesi e papato, fu, con l’appoggio incondizionato del popolo, il vessillifero dell’indipendenza e dell’Autonomia siciliana.

Federico III regnò per 41 anni (morirà nel 1337) nel pieno della guerra del Vespro che non si esaurirà con la pace di Caltabellotta (31 agosto 1302), ma continuerà nei confronti degli angioni ancora per molto tempo. Federico III, monarca illuminato, fu il primo re della storia a governare sempre e solo con il consenso del Parlamento e questo avveniva, per la prima volta nella storia, quando ancora le monarchie costituzionali non esistevano in nessuna altra parte del mondo.

Ruggero II, la rivolta del Vespro e Federico III per questo, a buon diritto, si possono ritenere i soggetti fondanti ed i propulsori della presa di coscienza dei siciliani di essere “nazione” e costituiscono uno dei momenti più esaltanti e più nobili della travagliata storia della Sicilia.

In conclusione, la guerra del Vespro, esplosa in quel lontano 31 marzo lunedì di Pasqua del 1282, affermò degnamente il diritto all’esistenza e la rivendicazione dei Siciliani, della loro identità nella giusta convinzione, in quel particolare contesto temporale, di essere nazione, proprio perché allora la Sicilia era un nodo centrale in cui si incontrarono, si combatterono e si ricomposero le forze dominatrici del tempo: il Papato e l’Impero. E fu infatti in questo periodo storico ed in questo crocevia politico, culturale e religioso che nacque, in età normanno-sveva e in pieno basso medio-evo, il concetto di Stato moderno. Il concetto di quello Stato di cui la guerra del Vespro prima e poi Federico III ne difesero con orgoglio l’indipendenza.

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