Catalogna 2017: “Un referendum legale e vincolante”

5 gennaio 2017

Nel suo discorso di fine anno, il presidente della Generalitat catalana, Carle Puigdemont ha lanciato l’ennesima sfida a Madrid annunciando una consultazione indipendentista effettiva. Modi e i tempi restano segreti per evitare l’ennesima impugnativa mentre quattro promotori del referendum del 2014 finiscono sotto processo. Intanto, grazie  al debolissimo governo di Mariano Rajoy, le speranze di un appoggio da parte del Parlamento spagnolo crescono. E dai balconi di Barcellona sventolano sempre le bandiere giallo rosse…

L’orgoglio di un popolo a Barcellona è sotto gli occhi di tutti: in ogni calle, in ogni vicolo, in ogni piazza, la bandiera catalana è sempre la prima donna. Non parliamo delle sedi istituzionali, dove, come è ovvio che sia, sventola accanto a quella spagnola e quella dell’Unione europea, ma delle case e dei palazzi di civile abitazione che dai loro balconi la espongono con passione. Alcune sono sbiadite dal sole, altre sono nuovissime e lo si intuisce oltre che dai colori che ancora conservano tutta la loro forza, anche dalla scritta che vi compare sopra o accanto: “9 N”. Che sta per 9 Novembre, giorno in cui, nel 2014, i catalani si sono recati alle urne, su chiamata del governo di Barcellona, per esprimersi sull’indipendenza della loro regione. Il risultato scontato: oltre l’80% dei 2 milioni di votanti ha detto “sì”. Quel referendum, lo sapevano bene i catalani, era solo un test, potremmo definirlo consultivo, ma la battaglia politica che ne è seguita è stata concreta e Madrid continua a presentare il conto: si aprirà a febbraio il processo contro quattro politici catalani (tra i quali l’ex presidente Artur Mas) rei di avere promosso il referendum e di non essersi attenuti ai veti che arrivavano dalla capitale spagnola.

Carle Puigdemont

Il popolo catalano risponde esponendo nei balconi delle proprie case le bandiere con su scritto ‘9N‘. E il rappresentante di questo popolo, il presidente della Generalitat catalana, Carle Puigdemont, per nulla intimorito, ha dedicato all’argomento il suo discorso di fine anno trasmesso in diretta e seguito nelle case e nei bei locali dei quartieri tipici di Barcellona: “Nel 2017 in Catalogna si celebrerà il referendum sull’indipendenza e questa volta sarà legale e vincolante” ha detto il presidente catalano. 

Tutti i quotidiani, il giorno seguente, hanno aperto con una sua foto e con le sue parole. Interrogandosi sul significato da attribuire agli aggettivi “legal y vinculante”. Cosa si sono inventati i catalani per evitare l’ennesimo colpo di scure del Tribunal Costitucional? In realtà, si sa poco. Perché secondo quanto abbiamo letto sui quotidiani a Barcellona nell’ultimo giorno dell’anno appena passato, lo schema che il governo catalano vuole seguire è volutamente secretato. E questo perché si vuole evitare la solita impugnativa preventiva e cautelare da parte di Madrid. Nemmeno la data è certa. Secondo alcuni addirittura prima dell’estate e non più Settembre come precedentemente annunciato.

L’unica certezza è che i catalani non si arrendono. Ma questa volta potrebbero davvero avere qualche chance in più. E questo non certo grazie a Mariano Rajoy, il primo ministro spagnolo da sempre acerimmo nemico dell’autoderminazione dei catalani (e non un caso che i giornali locali, come La Vanguardia, lo definiscono “il principale garante dell’ordine dell’Unione europea nel Sud Europa”, e non è un complimento), ma per le condizioni politiche che si sono determinate a Madrid. Rajoy, dopo 316 giorni senza governo, è stato riconfermato Premier, ma il suo partito – il PP-  non ha più la forza di un tempo e nemmeno la maggioranza in Parlamento: ha ottenuto 170 voti a favore, quelli del Partito Popolare e dei centristi di Ciudadanos e 68 astensioni del Psoe. Contro hanno votato Podemos, i suoi alleati catalani, valenciani e galiziani, i partiti baschi e, ovviamente, quelli indipendentisti catalani.

Un Governo debolissimi il suo. Tant’è che il 2017, oltre all’anno del referendum catalano, è stato definito anche come l’anno del “Congreso de los dipatutados”, l’anno del Parlamento, insomma. Che potrà impedire a Rajoy fughe in avanti e colpi di mano. “Obbligati a patteggiare” scrive el Periodico (stampato in due lingue: castillano, la lingua ufficiale di Madrid e catalano).

In questo contesto di estrema fluidità politica, potrebbe aprirsi una via che porti ad un appoggio della causa catalana. In questo contesto si inserisce anche quella ‘operacion dialogo’ di cui si parla in questi giorni a Barcellona e che vedrebbe una serrata trattativa in corso con Madrid portata avanti dalla vice presidente catalana Soraya Santamaria.

Nessuno a Barcellona si illude che sarà facile, ma certamente neanche Madrid può farsi nessuna illusione: il processo indipendentista va avanti.

Alle diplomazie il compito di evitare lo scontro frontale. Perché se è vero che Madrid avrebbe anche l’appiglio legale per usare le maniere forti, nessuno vuole arrivare a tanto. Neanche Rajoy che ormai deve pensare a tenere in piedi il suo partito e il suo governo e che di certo non uscirebbe rafforzato da una operazione bruta in Catalogna. 

Vedremo come andrà a finire.

Quello che è certo è che questa splendida regione della penisola iberica resta un modello per la Sicilia. Alla quale mancano però rappresentanti politici che facciano gli interessi dei Siciliani. Ed è questo il segreto di tutto. L’indipendentismo catalano non nasce solo sulla base di considerazioni prettamente economiche: vero è che è la regione più ricca della Spagna e vero è che una parte sostanziosa delle sue sue risorse finisce fagocitata nel bilancio di Madrid. Il che potrebbe renderla simile alla situazione economica della nostra Isola.

Ma lì i politici locali, oltre a lavorare per ribaltare questa situazione, danno prova di sapere amministrare al meglio la cosa pubblica. Ce lo ha spiegato bene Jaume Fores Llasat, politico di Esquerra Republicana di Catalunya, nell’intervista che potete leggere integralmente qui:  “In Catalogna anche i nuovi arrivati diventano indipendentisti perché si accorgono che le leggi varate dal Parlamento di Barcellona sono migliori di quelle del Governo centrale di Madrid, soprattutto, da un punto di vista sociale”.

In Sicilia, dunque, la battaglia è doppia: la necessità di liberarsi dal cappio dei Governi centrali che l’hanno ridotta a colonia va di pari passo con la necessità di liberarsi dei politici locali che lo hanno consentito e che continuano a governare contro gli interessi generali. La sensazione è che siamo già qualche passo avanti dalla linea di partenza.

 

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