Elogio funebre dell’Autonomia siciliana

19 maggio 2016

I 70 anni dell’Autonomia siciliana sono passati sotto silenzio. Di fatto, stiamo ‘seppellendo lo Statuto: il bene che ha fatto muore con lo stesso Statuto, il male sopravvive. A poco vale la constatazione che, per la Sicilia, la migliore politica è quella autonomista e la peggiore è quella ‘ascaristica’. Oggi il dolore e l’indignazione sono tanto maggiori perché proprio quelle forze che avevano innalzato le bandiere del progresso economico e sociale dell’Isola sono quelle che le hanno ammainate più in fretta

Un silenzio assordante ha segnato i 70 anni della promulgazione dello Statuto della Regione siciliana. Un silenzio colpevole, di tutta la politica, dal Presidente della Repubblica al Presidente del Senato, al Ministro dell’Interno, tutti siciliani; dal Presidente della Regione al Presidente dell’Assemblea regionale siciliana, dagli assessori e dai deputati regionali ai deputati nazionali ed europei eletti in Sicilia.

I professori di economia, gli studiosi, poi, hanno gettato la spugna. Se ne sono rimasti al riparo dei massimi sistemi, l’Europa e le Banche.

I giornali hanno steso una pietosa cortina di omertà.

L’Autonomia è morta senza un gemito, senza un sospiro.

E allora sciogliamo “all’urna un cantico”. Rendiamo l’estremo omaggio ad una madre che non ha saputo crescere i suoi  figli. Useremo un tono aulico quale si conviene  alla gravità dell’evento.

“Amici, concittadini, siciliani, io vengo per seppellire l’Autonomia, non per lodarla. Il bene che essa ha fatto muore con lei, il male le sopravvive”.

Non c’è famiglia più infelice di quella in cui la madre tratta i figli con parzialità. E questo ha fatto la Regione. Milioni di persone, in questi 70 anni, attraverso la Regione hanno cambiato status. E non parlo soltanto di quelli che vi hanno trovato un posto fisso. Questi hanno trovato solidità, certezze e possibilità economiche non indifferenti. Mi riferisco a quanti, e sono legioni, speculando ai margini della legalità o nella pienezza dell’illegalità, si sono letteralmente arricchiti.

A fronte  di questi milioni di persone, altri non hanno avuto nulla di quanto alle Regione spettava di dare: lavoro, progresso sociale ed economico, miglioramento diffuso e parcellizzato della qualità della vita.

Per altri la Regione è stato un nome e nulla più, per altri ancora un Eden favoloso, inavvicinabile, riservato a pochi, chiuso nella sua bolla.

Ecco che il bene e il male sono il recto e il verso della stessa medaglia.

Ciò che è stato bene per alcuni è stato male per altri. Il bene fatto ad alcuni ha causato male ad altri.

Questo provoca una madre che agisce con parzialità verso i suoi figli.

Di anno in anno, gradino dopo gradino, si è scesi sempre più in basso negli inferi della politica mascalzona. I migliori hanno arretrato, tra lo spavento e l’indignazione, il peggio ha trionfato.

E’ un dato storicamente incontrovertibile che la migliore Regione resta quella che tentò di resistere al “ritorno” dello Stato, combattendo una battaglia autonomistica contro la malafede e l’arroganza dello Stato stesso e che la peggiore è quella in cui stiamo vivendo, quando un gruppo ristretto di politicanti, pur di assicurarsi cinque pasti al giorno, ha svenduto e continua a svendere la Regione a Roma.

Che cosa vuol dire questo? Che la politica migliore per la Sicilia è per sua natura una politica autonomista e che la politica peggiore è una politica ascaristica. 

E oggi il dolore e l’indignazione sono tanto maggiori perché proprio quelle forze che avevano innalzato le bandiere del progresso economico e sociale dell’Isola sono quelle che le hanno ammainate più in fretta.

Ars, il 24 Maggio si parla di riforma dello Statuto. E di come governare in caso di sconfitta

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