Famiglie e imprese della Sicilia non possono affondare per pagare i precari!

18 maggio 2016

A meno che gli stessi Siciliani non decidano, con un referendum, di pagare questo personale con nuove tasse locali. E’ bene chiarire che lo Stato non pagherà lo stipendi a questi precari. E che la Regione siciliana è praticamente fallita. E questo lo sa anche il professore Massimo Costa. Ciò significa – cosa che in parte avviene nel silenzio generale da due anni – che a pagare questo personale non potranno che essere le famiglie e le imprese della Sicilia. A questo punto, lo ribadiamo, si celebri un referendum. Anche per evitare che i Siciliani decidano di non pagare più le tasse locali

Abbiamo letto con molta attenzione l’articolo scritto dal professore Massimo Costa sui precari della Sicilia (che potete leggere qui). E diciamo subito una cosa: non siamo d’accordo con lui. Non ci convince la tesi del questi sì e questi no; e, soprattutto, non possiamo fare a meno di notare che non si possono indicare soluzioni sui precari della Sicilia senza specificare chi dovrà pagarli.

Se abbiamo ben capito, il ragionamento del leader di Siciliani Liberi è il seguente: i precari assunti da meno di dieci anni non hanno dove andare: per loro non c’è possibilità di stabilizzazione: al massimo, si potrà pensare “a forme di sostegno al reddito, di assistenza, per un numero di anni necessario a reinserirsi in un’attività lavorativa, ma nulla di più”. Gli altri precari, invece, ce li dobbiamo tenere. Dopo di che il professore Costa indica cosa bisognerebbe fare per continuare a fare lavorare questo personale.

In questo schema illustrato dal professore Costa ci sono almeno due cose che sono poco convincenti.

La prima cosa che suona – almeno a noi – incomprensibile è il perché il precari ‘anziani’ (cioè quelli con oltre dieci anni di anzianità di precariato sulle spalle) avrebbero ‘maturato’ il diritto alla stabilizzazione, mentre quelli con meno di dieci anni dovrebbero restare precari a vita ( a meno che, ovviamente, non trovino un’altra occupazione stabile).

Tutti sappiamo che si tratta, in entrambi i casi, di gente che non ha mai sostenuto un concorso pubblico e che è entrata nella pubblica amministrazione siciliana in barba all’articolo 97 della Costituzione.

Bene. Poiché lo stesso leader di Siciliani Liberi ammette che si è trattato di uno scambio – il posto in cambio di voti – non riusciamo a comprendere perché chi ha oltre dieci anni di precariato dovrebbe essere favorito rispetto a chi ha meno di dieci anni di pubblica amministrazione da precario.

La seconda cosa che non ci convince è l’assenza, nel ragionamento del professore Costa, anche di un benché minimo accenno alla sostenibilità economica di questi precari.

Eppure se c’è una persona che se meglio degli altri che la Regione siciliana è già fallita è proprio il professore Costa (come potete leggere qui).

Alla luce del fallimento della Regione siciliana, che è nei fatti (anche se da Roma, come ha assicurato più volte il Governo regionale di Rosario Crocetta, dovessero arrivare i 500 milioni di Euro da Roma, la Regione non potrà comunque arrivare a fine anno con un miliardo e mezzo di Euro di tagli rispetto al 2015), chi dovrebbe pagare e come questo personale?

Proviamo a ragionale solo sui 24 mila precari dei Comuni siciliani (tenendo conto che ce ne sono altri 80 mila circa sparsi tra uffici della Regione, ex Province e altri uffici pubblici vari, non considerando i 24 mila operai della Forestale).

Ebbene, i Comuni siciliani sono alla canna del gas. Lo Stato – ci riferiamo al Governo Renzi – ha drasticamente tagliato i trasferimenti ai Comuni. In Sicilia non si applica nemmeno la legge sul federalismo fiscale: ciò significa che questi enti locali non intercettano nemmeno i fondi per la perequazione fiscale e infrastrutturale.

Lo stesso discorso vale per i fondi della Regione in favore dei Comuni. Il Fondo regionale per le Autonomia locali, che fino a qualche anno fa ammontava a circa 900 milioni di Euro all’anno, è stato più che dimezzato. E i pochi fondi rimasti, alla luce del fallimento sostanziale della Regione (massacrata, a propria volta, dal Governo Renzi, che l’ha ridotta alla fame), vengono erogati con ritardo. Basti pensare che i Comuni, oggi, aspettano ancora una quota dei fondi del 2015 (dei fondi 2016 – e siamo quasi a Giugno, ancora non se ne parla!).

In questo scenario la domanda, oggi, è:

come sono stati pagati i precari dei Comuni siciliani negli ultimi due anni?

Risposta. In parte con i fondi regionali arrivati in ritardo, in parte con le scoperture di tesoreria disposte dai Comuni e in parte aumentando la pressione fiscale locale.

Di fatto, a parte i fondi che la Regione è riuscita ad erogare ai Comuni (c’è un fondo regionale apposito per i precari dei Comuni che, in ogni caso, da qualche anno, non copre tutto il fabbisogno), gli stipendi dei precari dei Comuni sono stati pagati dagli altri ignari cittadini con un aumento delle tasse comunali (soldi che sono stati utilizzati dagli stessi Comuni per pagare le scoperture di tesoreria).

In prospettiva, la situazione della Regione siciliana e dei Comuni siciliani non migliorerà: semmai peggiorerà. Proprio in queste ore l’Unione Europea ha fatto sapere che l’Italia, per evitare un aumento dell’IVA al 25%, dovrà sborsare a Bruxelles 8 miliardi di Euro entro il 31 Dicembre di quest’anno. Figuriamoci se il Governo Renzi erogherà alla Regione siciliana e ai Comuni della nostra Isola i soldi per pagare i precari!

Ciò significa che buona parte dei 24 mila precari dei Comuni dovranno essere pagati togliendo i soldi dalle tasche agli altri cittadini siciliani, con un aumento ulteriore della pressione fiscale locale.

Diciamo una parte e non tutti non perché siamo convinti che la Regione troverà i soldi da erogare ai Comuni siciliani, ma perché siamo certi che se i fondi del Patto per il Sud si materializzeranno, ebbene, una parte di questi fondi, in Sicilia, verranno utilizzati per pagare i precari.

I fondi del Patto per il Sud sono soldi delle Regioni del Sud non ancora utilizzati. Il Governo Renzi se n’è appropriato facendoli passare per interventi del “Governo nazionale”, grazie anche a una campagna di disinformazione.

Questi soldi dovrebbero servire per gli investimenti in infrastrutture. Ma potrebbero finire nel grande buco nero del precariato siciliano.

Il condizionale è d’obbligo. E sapete perché? Perché – come già ricordato – dovendo pagare 8 miliardi di Euro all’Unione Europea, il Governo Renzi non esiterà a rastrellare se non tutti, almeno una parte di questi fondi destinati al Sud.

Insomma, dovranno essere le famiglie e le imprese siciliane a pagare gli stipendi ai 24 mila precari dei Comuni e agli altri circa 80 mila precari.

Detto questo, il professore Costa non ce ne vorrà, ma prima di caricare sulle famiglie e sulle imprese della Sicilia questo enorme onere finanziario – siamo ben oltre il miliardo di Euro all’anno, se consideriamo tutto il precariato siciliano e non solo i 24 mila precari dei Comuni – non sarebbe opportuno sapere, democraticamente, cosa ne pensano i Siciliani?

Noi pensiamo a un referendum: visto che dovrebbero essere i Siciliani a pagare gli stipendi ai precari, perché non lasciare decidere loro?

Direte: se i Siciliani si rifiuteranno di sborsare questi soldi che si farà?

Risposta: si cercherà una soluzione diversa.

Perché se è vero – come giustamente dice il professore Costa – che non si può fare “macelleria sociale” con migliaia di precari che prestano servizio da anni nella pubblica amministrazione siciliana, è altrettanto vero che non si possono caricare le famiglie e le imprese della Sicilia – già massacrate dalle tasse e dalle imposte nazionali e locali – di altri oneri impropri.

Ci rendiamo conto che questi 100 mila precari e oltre sono un ‘pezzo’ importante degli 800 mila voti che tengono in piedi la vecchia politica siciliana. E, detto sinceramente, di questo aspetto non ce ne può fregare di meno.

Se con un referendum i Siciliani dovessero decidere di non pagare più con i propri soldi il precariato, beh, la politica siciliana – parlamentari e sindaci in testa – se ne dovranno fare una ragione.

Anche perché, ormai sufficientemente informati, i Siciliani, a un certo punto, potrebbero decidere di non pagare più, in masse, tasse e imposte locali.

Una soluzione alternativa potrebbe essere quella di avviare una trattativa con l’Unione Europea.

In ogni caso, lo ribadiamo, la parola dovrebbe andare ai Siciliani con un referendum.

 

 

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