Cambiare i regolamenti comunitari e porre i dazi doganali sul latte di pecora di altri Paesi europei/ MATTINALE 286

19 febbraio 2019

Le altre possibili soluzioni sarebbero fallaci. Perché la presenza sul mercato italiano di un prodotto che costa meno della metà – pariamo del latte di pecora – condizionerebbe inevitabilmente gli industriali del Pecorino. Lo scenario in Sicilia, dove il problema dei guasti provocati dalla globalizzazione dell’economia è generale. Perché ha ragione Cosimo Gioia quando chiede l’unità di tutti gli agricoltori dell’Isola

Qualcuno ci ha fatto notare che non si possono introdurre i dazi doganali sul latte di pecora che arriva da un altro Paese della ‘Grande’ Unione europea, che Dio l’abbia sempre in gloria. Quindi nel caso del latte rumeno che invade l’Italia non abbiamo dove andare. Quindi se il ragionamento è questo – leggi e regolamenti europei alla mano – il latte di pecora sardo e siciliano è destinato a scomparire o a restare un prodotto di nicchia, per gli amatori.

E’ stato calcolato che un litro di latte di pecora italiano, per far vivere dignitosamente i pastori, non può essere venduto a meno di un euro e 30 centesimi.

Il problema è che il latte di pecora rumeno costa molto meno. Quanto?Sembrerebbe 30-35 centesimo di euro. Non solo. Un ‘casaro’ – cioè chi produce il formaggio – in Romania costa 300 euro al mese. In Italia un operaio – peraltro specializzato – che lavora il latte, con 300 euro al mese non ci paga nemmeno le bollette della luce e dell’acqua.

In base a questo principio i pastori italiani che allevano pecore dovrebbero fallire. Ma non possono fallire. Perché? Perché la loro presenza giustifica il fatto che la DOP del Pecorino romano deve produrre esclusivamente con il latte di pecora italiano, soprattutto della Sardegna.

Però i pastori sardi – ma anche quelli siciliani – non debbono ‘rompere le scatole’: già è assai se il latte di pecora italiano viene pagato 50 centesimi di euro al litro. Ragazzi, scherzate: sono 15-20 centesimi in più del latte di pecora rumeno…

Anzi gli industriali del formaggio stanno facendo un grande sacrificio…

E i pastori sardi e siciliani? Che facciano pure la fame!

Poi è arrivata la protesta dei pastori sardi. La cosa è preoccupante, perché pretendono, addirittura!, di non morire di fame!

In un’Unione Europea liberista che ha ‘prodotto 120 milioni di disoccupati è una richiesta ‘assurda’…

Così si è mosso il Ministro leghista e capo della Lega, Matteo Salvini. Al quale dei pastori sardi non gliene può fregare di meno, ma dei voti dei sardi alle elezioni della Sardegna – previste tra qualche giorno – gliene frega, invece, assai.

Salvini è stato scelto dall’Unione europea dell’euro – cioè dai liberisti che oggi governano la UE (si spera ancora per poco) – per sostituire il PD di Renzi che, ormai, è in via di estinzione.

Salvini gioca su due tavoli: dice sì agli ‘europeisti’ e, ufficialmente, sta anche con i ‘Populisti’: si schiererà con chi vincerà le elezioni europee di fine maggio.

In questa fase – come già accennato – gli interessano i voti in Sardegna. Così, con il suo fido Ministro delle Politiche agricole, Gian Marco Centinaio, è andato a proporre ai pastori sardi un’offerta che i pastori sardi gli hanno sbattuto in faccia: 70 centesimi di euro al litro di latte di pecora.

Di più non si può. E i dazi doganali? Quelli, come ci hanno fatto notare, si possono mettere solo sui prodotti extra UE, mentre la Romania è un Paese della UE: un Paese della UE, la Romania, che deve fare chiudere l’ovinicoltura da latte italiana. 

Che fare, allora? Semplice: fregarsene dell’Unione Europea e fare in modo che un litro di latte rumeno, in Italia, venga pagato almeno dieci centesimi di euro in più di quello italiano.

Esempio: il latte di pecora italiano – che piaccia o no al Ministro e leader della Lega Salvini e al Ministro leghista Centinaio – si dovrà pagare non meno di 1,3 euro. Bene: un litro di latte di pecora rumeno dovrà costare non meno di 1,4 euro al litro.

Questi, tecnicamente, si chiamano dazi doganali. Diranno che non si possono mettere i dazi doganali perché la Romania è una Paese della UE? Bene: i pastori italiani debbono chiedere di cambiare i regolamenti UE.

Lo possono fare? Sì. Perché i pastori sardi e siciliani hanno una cosa che gli industriali non hanno: il latte. Perché se i pastori sardi e siciliani, e magari anche gli allevatori di ovini da latte di Lazio e Toscana, decidono di non vendere più il latte agli industriali del Pecorino, questi ultimi, il Pecorino romano, se lo vanno a produrre con il latte rumeno.

Potrebbe essere un’idea: Pecorino DOP romano-rumeno…

E la Sicilia come si sta comportando in questa vertenza?

Il problema l’ha centrato Cosimo Gioia che su Facebook scrive:

“Faccio un appello a tutti i gruppi di agricoltori che si vanno costituendo quasi giornalmente. Così non si va da nessuna parte. Sparpagliati e divisi in aggregazioni di pochi o molti agricoltori, diciamo la verità, perché i capi non vogliono perdere la loro leadership, magari per legittime ambizioni personali e mi fermo qui… Se non ci si unisce, visto che l’obiettivo è lo stesso, e non ci si organizza tutti insieme, non si conclude niente… Per questo faccio il libero pensatore e resto in attesa, da ultimo dei partecipanti, di una cosa seria come stanno facendo i Sardi… Scusate ma la penso così…”.

Cosimo Gioia si batte da anni per il grano duro siciliano, coltura che, come il latte di pecora, sembra condannata all’estinzione. In Sicilia non c’è solo il latte di pecora in crisi: c’è una crisi quasi generale dell’agricoltura provocata dalla globalizzazione dell’economia.

La Sicilia – come altre Regioni italiane – è invasa da prodotti agricoli esteri, spesso di pessima qualità. Ma che hanno la ‘qualità’ che piace ai commercianti e agli industriali: costano quattro soldi.

Così il grano duro siciliano che costa agli agricoltori da 23 a 24 euro al quintale deve essere venduto a 18 euro al quintale, perché così hanno deciso gli industriali, che comprano grano duro all’estero e usano il grano duro del Sud Italia come grano da ‘taglio’.

Così sono quasi del tutto scomparsi i pomodori di pieno campo, perché dalla Cina ne arriva una quantità industriale.

Così sono in crisi in  pomodori in serra, perché arrivano quelli africani che costano molto meno.

Così stanno distruggendo l’olio d’oliva extra vergine del Sud Italia: quest’anno, vista la bassa produzione di olive, una bottiglia da un litro di extra vergine di oliva non dovrebbe costare meno di 10-12 euro: invece nei centri commerciali costa 6 euro, 5 euro, 4 euro e anche 3 euro a bottiglia. ‘Casualmente’ siamo invasi dall’olio d’oliva tunisino che costa 2 euro al litro (e anche meno)…

Così stanno massacrando gli agrumi siciliani soppiantati da quelli spagnoli e africani.

Così stanno massacrando la frutta secca siciliana sostituita da quella californiana (mandorle), turca (nocciole) e via continuando.

Così il 90% delle lenticchie presenti oggi arriva dal Canada.

E nel giro c’è anche il latte ovino.

In più, in Sicilia, c’è anche il costo dell’acqua per irrigazione: siccome la Regione non ha più i soldi per pagare i duemila dipendenti circa dei Consorzi di bonifica, questo personale dovrebbe essere pagato dagli agricoltori con gli aumenti dei canoni idrici. Così hanno deciso il Governo regionale di centrosinistra di Rosario Crocetta e, adesso, il Governo regionale di centrodestra di Nello Musumeci.

Che fare? L’ha detto Cosimo Gioia: organizzarsi. Sono importanti, ma non conducenti le manifestazioni di Poggioreale, nella Valle del Dittaino, al bivio Manganaro, a Menfi e vi continuando.

Serve una regia comune. Con una rivendicazione centrale da articolare in ogni settore: stop alla globalizzazione dell’economia. Coinvolgendo – come hanno fatto i pastori sardi – gli studenti (foto sopra).

Le altre soluzioni – è bene dirlo con chiarezza – sono acqua fresca.

 

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