Grano duro in ‘bio’: la vittoria degli agricoltori della Sicilia e del Sud

28 novembre 2018

Il Ministero delle Politiche agricole ha ceduto sulla rotazione triennale del grano duro coltivato in biologico che, com’era stata congegnata in un decreto ministeriale dello scorso luglio, avrebbe fatto perdere agli agricoltori un terzo della produzione di grano duro ‘bio’ in tre anni. Accettata la deroga per la Sicilia con il sì alla rotazione quadriennale. Deroga che dovrebbe essere estesa a tutto il Mezzogiorno  

Come abbiamo anticipato nei giorni scorsi il Ministero delle Politiche agricole ha accettato la deroga per la coltivazione, in Sicilia, del grano duro in biologico: stop alla cervellotica rotazione triennale (grano una volta ogni tre anni, prescrizione che avrebbe ridotto di un terzo la produzione) e sì, invece, a una rotazione quadriennale, che consente di coltivare il grano duro in biologico sue anni su quattro (QUI IL NOSTRO ARTICOLO NEL QUALE ABBIAMO AZZARDATO ‘ESITO POSITIVO DI QUESTA STORIA).

La deroga è stata accettata per la Sicilia, ma va da sé che si tratta di un provvedimento che potrà essere esteso a tutto il Mezzogiorno d’Italia. Chi coltiva il grano duro in biologico – e supponiamo che a cimentarsi con il ‘bio’ non siano solo gli agricoltori siciliani – potrà organizzare la propria produzione con una rotazione quadriennale.

Soddisfatto il commento del presidente di Confagricoltura Sicilia, Ettore Pottino, che sulla propria pagina Facebook scrive:

“Ci siamo riusciti, qualche volta anche Don Chisciotte ha le sue soddisfazioni”.

Per Pottino, che si batte da anni contro questo decreto dal 2009, è una bella soddisfazione. La storia, infatti, comincia nove anni fa, quando il Ministero delle Politiche agricole – era l’anno del Governo Berlusconi – introduce una prescrizione un po’ discutibile, imponendo a chi coltiva il grano duro in biologico una rotazione triennale con un anno grano e nei due anni successivi una coltura diversa dal grano.

Motivo: tutelare la biodiversità. Per le aziende cerealicolo-zootecniche può anche funzionare un anno grano duro in ‘bio’ e i due anni successivi leguminose per alimentare gli animali.

Ma per per un’azienda che produce solo grano uro in biologico è una forzatura che fa perdere, nei tre anni, il 33% della produzione.

Tanti agricoltori siciliani che coltivano il grano duro in biologico hanno ovviato a questa prescrizione cervellotica coltivando, dopo l’anno del grano, due colture in dodici mesi.

Ma lo scorso luglio il Ministero ha imposto tre colture in tre anni, con un solo anno per il grano duro ‘bio’. Per fortuna che lo stesso decreto contiene la possibilità di deroghe per particolari condizioni pedoclimatiche: e qui sono stati bravi i vertici burocratici dell’assessorato regionale all’Agricoltura e i docenti universitari Gaetano Amato e Salvatore Cosentino che, non a caso, Pottino, nel suo post, ringrazia.

Il presidente di Confagricoltura Sicilia ringrazia anche il parlamentare europeo del Movimento 5 Stelle eletto in Sicilia, Ignazio Corrao: l’unico europarlamentare europeo siciliano che ha sempre difeso l’agricoltura della nostra Isola, mentre gli altri hanno approvato provvedimenti che penalizzano la Sicilia, a partire dal CETA (QUI VI ABBIAMO RACCONTATO PERCHE’ IL CETA FAVORISCE ALCUNE PRODUZIONI DEL CENTRO NORD ITALIA E PENALIZZA IL SUD E LA SICILIA).

Pottino ringrazia anche I Nuovi Vespri che ha appoggiato questa battaglia.

La decisione adottata dal Ministero è tecnica o politica? A nostro modesto avviso, è tecnica e politica.

E’ tecnica, perché la rotazione triennale – un anno grano e due anni altre colture – per le aziende siciliane e, in generale, del Mezzogiorno d’Italia che coltivano solo grano duro in ‘bio’ è una forzatura.

E’ politica perché la Lega – che oggi controlla il Ministero delle Politiche agricole – non aveva motivo di mettersi contro la Sicilia e, in generale, tutto il Mezzogiorno d’Italia, visto che il grano duro è una coltura d’elezione del Sud.

Ci sarà stato di certo anche il ruolo del Movimento 5 Stelle che, avendo fino ad oggi perso la battaglia sulla privatizzazione della varietà di grano duro Senatore Cappelli (che è ancora monopolizzata da un gruppo privato) e sulla CUN (la Commissione Unica Nazionale che dovrebbe vigilare sul mercato del grano duro, bloccando le speculazioni al ribasso del prezzo), non si poteva certo permettere di perdere anche su questo tema.

Foto tratta da informacibo.it

 

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