800 tonnellate di olio d’oliva tunisino ‘bio’ a dazio zero sbarcate a Palermo. Pottino: “Così in Sicilia chiudiamo”

29 agosto 2018

Non bastava la concorrenza sleale sui prodotti agricoli tradizionali. Adesso arriva anche la concorrenza – sempre sleale – sull’olio d’oliva extra vergine biologico: 800 tonnellate di questo prodotto sbarcate nel porto di Palermo e destinate a Sciacca. Ettore Pottino, presidente di Confagricoltura Sicilia: “Non possiamo subire la concorrenza sleale, frutto della delocalizzazione, anche sul biologico. Se non si fa qualcosa l’agricoltura siciliana è destinata a morire”   

La notizia – che ha dell’incredibile! – ce la comunica il presidente di Confagricoltura Sicilia, Ettore Pottino:

“In queste ore il porto di Palermo ha sdoganato 800 tonnellate di olio d’oliva tunisino biologico a dazio zero. Quando mi hanno dato la notizia sono rimasto di sasso. Si tratta di un grande quantitativo di prodotto che è destinato a Sciacca”.

Sciacca, provincia di Agrigento, cittadina nota per la sua millenaria storia, per la tradizione della ceramica, per il pesce azzurro salato, prima che le sbaraccassero pure per le Terme. Ma è anche una città dove l’agricoltura svolge un ruolo importante: c’è l’uva da vino, la frutta e anche l’olivicoltura.

L’olivo, anzi, l’olio d’oliva a Sciacca vanta una grande tradizione, se è vero Accursio Miraglia, sindacalista, presidente della Camera del Lavoro subito dopo il secondo conflitto mondiale, ucciso il 4 gennaio del 1947, quando cercò di rilanciare l’economia di queste contrade cominciò proprio con la valorizzazione di questo prodotto.

Anche se la produzione non raggiunge i livelli del ‘triangolo’ della Nocellara del Belìce, cultivar di olivo molto presente tra Castelvetrano, Partanna, Cambobello di Mazara, in provincia di Trapani (negli anni ’80 questa area agricola nota per le olive da mensa, poi anche per la produzione di olio d’oliva extra vergine), l’olivicoltura di Sciacca, di Ribera (più nota per le arance bionde Washington Navel) e di Caltabellotta è importante.

Proprio a Caltabellotta è molto diffusa la cultivar Biancolilla che, in purezza, dà un olio extra vergine per palati raffinati (in genere, l’olio extra vergine di Biancolilla viene considerato troppo ‘leggero’ e le olive vengono macinate con olive di altre varietà che producono un olio più ‘corposo’).

Insomma, Sciacca – con Ribera, Caltabellotta e qualche altro Comune della zona – nell’Agrigentino è considerata un’area vocata per l’olio extra vergine di oliva: conoscendo bene la realtà, siamo rimasti basiti quando Pottino ci ha detto che le 800 tonnellate di olio d’oliva extra vergine biologico tunisino sono destinate a Sciacca!

Che debbono fare, a Sciacca – o forse a Sciacca e dintorni, chi lo sa? – con tale quantitativo di olio d’oliva tunisino?

Il caso ha voluto che, proprio in questi giorni, insieme con un gruppo di agricoltori pugliesi, abbiamo lanciato una campagna per provare a valorizzare l’olio extra vergine di oliva del Sud Italia: Puglia, Calabria e Sicilia, infatti, producono quasi il 90 per cento di olio d’oliva extra vergine italiano.

Ma la commercializzazione e la distribuzione segue i circuiti imposti dalla Grande Distribuzione Organizzata (GDO) e dalle grandi aziende con sede legale ben oltre la linea di demarcazione del Mezzogiorno. Così c’è il dubbio – che è più di un dubbio – che nelle bottiglie di olio d’oliva extra vergine vendute a 4-5 euro nei supermercati in Italia finisca un prodotto che poco o nulla potrebbe avere a che fare con l’extra vergine di oliva prodotto in Puglia, Calabria e Sicilia.

Da qui l’invito ai consumatori del Sud Italia a utilizzare l’olio d’oliva extra vergine prodotto nel nostro Mezzogiorno, acquistandolo nei nostri frantoi o direttamente dalle aziende (qui il nostro articolo: “Cari cittadini del Sud, l’olio extra vergine di oliva acquistatelo nei frantoi e nelle aziende del Sud!”).

Ora arriva la notizia che, dalla Tunisia, arrivano in Sicilia grandi quantitativi di olio d’oliva addirittura biologico a dazio zero!

“A questo punto, se le cose stanno così, possiamo chiudere – commenta lo stesso Ettore Pottino, titolare di un’azienda agricola che, oltre al grano duro in biologico e alla pasta, produce anche olio extra vergine di oliva in biologico -. Da quello che abbiamo capito – aggiunge – queste 800 tonnellate di olio d’oliva biologico tunisino sono state acquistate al prezzo di 3-4 euro al Kg. Così non ci può essere partita. In Sicilia produrre un Kg di olio d’oliva extra vergine con le tecniche tradizionali costa non meno di 7 euro, e mi sto mantenendo basso. Un Kg di extra vergine biologico costa di più, perché le tecniche agronomiche da seguire sono diverse e più complesse”.

“Le nostre aziende olivicole non possono reggere la concorrenza tunisina – prosegue Pottino -. In Tunisia il costo del lavoro è bassissimo, se è vero che un operaio viene pagato più di 5 euro al giorno. Da noi un operaio agricolo, invece, non costa meno di 80-100 euro al giorno”.

Il presidente di Confragricoltura Sicilia parla anche di “delocalizzazione”. Fa riferimento al fatto che, già da un decennio, agricoltori italiani – anche siciliani – si sono trasferiti in Tunisia (e, se la dobbiamo dire tutta, anche in Egitto), attirati lì non soltanto dai bassi costi della manodopera, ma anche da altre agevolazioni fiscali: per esempio, assenza di imposte e tasse per un certo numero di anni.

“L’ho più volte detto e lo ripeto: l’agricoltura siciliana – aggiunge Pottino – non è in grado di reggere la concorrenza con alcuni Paesi del mondo. La differenza dei costi – costo del lavoro in testa – è troppa. Ora arriva anche la concorrenza in un settore, il biologico, dove la Sicilia ha investito tanto. Attenzione: se qui non si trova qualche soluzione nel giro di pochi anni l’agricoltura siciliana rischia il definitivo tracollo, compresa l’agricoltura biologica”.

Per la cronaca, l’agricoltura biologica siciliana – la prima in Italia per estensione territoriale – sconta anche un altro problema: i ritardi nei pagamenti da parte di AGEA, l’Agenzia dello Stato che eroga agli agricoltori i contributi stanziati dall’Unione Europea (ritardi di due anni e, in alcuni casi, anche di tre anni!). E non si capisce se tali ritardi dipendano da Roma (che magari ha utilizzato tali fondi per altre finalità: cosa probabile) o dall’amministrazione regionale.

I lettori che ci seguono sanno che noi, quando parliamo di prodotti agricoli che arrivano dal Nord Africa o dalla Cina, ci interroghiamo su che tipo di pesticidi si utilizzano da quelle parti. Il nostro dubbio – che anche in questo caso è più di un dubbio – è che in certi Paesi si utilizzino pesticidi che in Italia e, in generale, in Europa sono stati banditi da anni dalla farmacopea agricola perché dannosi per la salute umana.

Nel caso di queste 800 tonnellate di olio d’oliva extra vergine biologico non possiamo porre il problema dei pesticidi perché, per definizione, un prodotto agricolo biologico non deve contenere residui di pesticidi, erbicidi e, in generale di contaminanti. E siccome è stato sdoganato dalle autorità statali e – supponiamo – anche regionali siamo più che certi che saranno stati effettuati i controlli: sarebbe, infatti, assurdo, sdoganare 800 tonnellate di olio d’oliva extra vergine biologico tunisino senza che siano prima state accertate le caratteristiche di tale prodotto.

Dopo di che sarebbe corretto, da parte delle autorità, informare i cittadini su tali analisi – che non possono non essere state effettuate, trattandosi di un prodotto ‘bio’ – anche per conoscere, in dettaglio, tale prodotto.

Anche se noi, però, qualche dubbio lo manteniamo. Giusto per dare alcune indicazioni ai nostri lettori, va detto che la produzione biologica è difficile, perché gestire coltivazioni erbacee o arboree senza l’ausilio dei pesticidi non è una passeggiata: tutt’altro!

A noi, ad esempio, hanno detto che in Tunisia molti oliveti insistono in terreni pianeggianti e sono in irriguo. In generale, l’olivo, coltivato nelle aree pianeggianti e in irriguo, è più sensibile agli attacchi dei parassiti. Ciò significa che gli agricoltori debbono essere molto bravi per produrre in biologico.

Insomma, l’olivo coltivato in ‘bio’ ha costi di produzione maggiori, sia perché si ottiene, in generale, una produzione di olive (e quindi di olio) inferiore rispetto alle produzioni di olive ottenute con tecniche tradizionali, sia perché le tecniche utilizzate in alternativa ai pesticidi sono più costose. Tant’è vero che l’extra vergine biologico costa più dell’olio d’oliva extra vergine tradizionale (ci sono aree della Sicilia – per esempio, sull’Etna – dove il costo di una bottiglia di mezzo litro di extra vergine d’oliva ‘viaggia’ intorno ai 20 euro (e talvolta di più): anche se in questo caso gioca pure il fascino del luogo).

Va da sé – ma questo l’ha già detto con chiarezza Pottino – che un extra vergine biologico acquistato a 4 euro ‘ammazza’ le produzioni siciliane!  

Rimangono alcuni problemi.

Primo problema. E’ chiaro che, se 800 tonnellate di olio d’oliva extra vergine tunisino sono arrivate a Sciacca a dazio zero, è con tale denominazione che dovranno essere vendute ai consumatori: sarebbe infatti singolare se, a Sciacca e dintorni, da novembre in poi (è a novembre che inizia la stagione olivicola), si dovesse vendere solo “olio d’oliva extra vergine siciliano” (magari biologico)!

Detto questo, ci piacerebbe osservare l’espressione dei consumatori di Sciacca e dintorni quando, nelle indicazioni, leggeranno che stanno per acquistare olio d’oliva extra vergine biologico tunisino… Perché è così che dovrà essere venduto, no?, indicando l’origine. O forse i programmi sono altri?

Insomma, queste 800 tonnellate di olio d’oliva tunisino ‘biologico’ non potranno sparire nel nulla, magari per essere vendute come olio d’oliva extra vergine siciliano!

Secondo problema. Per caso siamo venuti a conoscenza di questa partita di olio d’oliva biologico tunisino sbarcata nel porto di Palermo. Ma ci chiediamo e chiediamo: quanti altri prodotti agricoli esteri arrivano ogni giorno nei porti siciliani (si pensi al grano duro canadese o di altri Paesi) e, in generale, nei porti italiani?

Ce lo chiediamo perché – per tornare all’olio extra vergine di oliva – ci sono Regioni italiane che, pur producendo, sì e no, il 4% delle olive da olio del nostro Paese esportano il 40% dell’olio d’oliva extra vergine regolarmente imbottigliato ricorrendo a chissà quali ‘magie’!

Terzo problema: l’Unione Europea. Ricordiamo che è stata l’Unione Europea a imporre all’Europa “l’invasione” di ben 70 mila tonnellate di olio d’oliva tunisino. Provvedimento voluto dal Governo della UE (la Commissione) e approvato dal Parlamento europeo (come potete leggere in questo articolo: Sì del Parlamento Europeo alla truffa dell’olio d’oliva ‘extra vergine’ tunisino).

E’ l’Unione Europea che ci impone le arance marocchine: è l’Unione Europea che ha stravolto le regole sanitarie sul grano duro per consentire al Canada di importare in Europa – e soprattutto in Italia – grano duro canadese prodotto nelle aree fredde e umide di tale Paese: è sempre l’Unione Europea che, travolgendo la sovranità dei Parlamenti di 27 Paesi, ha imposto l’applicazione del CETA – l’accordo commerciale con il Canada – da quasi un anno. Anche le 800 tonnellate di olio d’oliva tunisino ‘bio’ a dazio zero, che ‘allieteranno’ i consumi di questo prodotto a Sciacca e dintorni, sono un ‘regalo’ della UE.

E’ chiaro che in questa Unione Europea l’agricoltura siciliana e, in generale, il Sud Italia non farà molta strada. Quanto meno abbiamo il dovere di provare a cambiare l’attuale Unione Europea, rimuovendo furbizie e speculazioni. 

Quarto problema: il Ministero delle Politiche agricole. La Lega di Matteo Salvini ha preteso e ottenuto, nell’attuale Governo italiano, la guida di questo Ministero. Da quando si è insediato, il Ministro leghista, Gian Marco Centinaio, non ha proferito una sola parola sull’agricoltura del Sud Italia.

Per la Lega di Salvini la Sicilia è la Regione dalla quale far partire le battaglie mediatiche sui migranti (in alcuni casi anche in modo improprio, come abbiamo documentato ieri sul ‘caso’ della nave ‘Diciotti’, come potete leggere qui: Il caos sulla nave ‘Diciotti’: “Procedure sanitarie non corrette”).

Dopo di che vorremmo capire dalla Lega di Salvini che cosa c’è, in termini di attività di governo, oltre alle polemiche sui migranti: non toccherebbe al Ministro Centinaio raccontarci dell’arrivo dell’olio d’oliva tunisino e di altre ‘prelibatezze’ e di che cosa fare per non distruggere l’agricoltura del Sud Italia? O il Ministro leghista è stato messo lì per occuparsi solo dell’agricoltura che sta sopra la ‘linea gotica’?

Ci dovrebbe essere un quinto problema: la Regione siciliana. Ma noi, ormai, non la consideriamo più: in agricoltura, infatti, la Regione siciliana non è altro che la materializzazione dell’assenza.

Come definire una Regione che, da cinque mesi – da cinque mesi! – organizza vertici di qua e di là in vista della costituzione di un gruppo di lavoro che dovrebbe controllare, addirittura!, tutti i prodotti agricoli che arrivano in Sicilia da chissà dove e che, fino ad oggi, di fatto, ha prodotto solo il nulla mescolato col niente?

Dopo di che qualcosa bisogna fare. E qui torniamo al ragionamento che abbiamo avviato con i nostri amici Domenico Iannantuoni
Michele Eugenio Di Carlo: già, qualcosa bisogna fare. Anche perché, se non ci organizziamo da noi, noi meridionali (con riferimento all’agricoltura meridionale) siamo destinati a soccombere.

Non ci resta che ribadire – tornando all’olio d’oliva extra vergine – l’invito ai cittadini del Mezzogiorno d’Italia ad acquistare solo olio d’oliva extra vergine nostro, prodotto nel Sud Italia: acquistandolo presso i nostri frantoi e presso le aziende.

Dopo di che con gli amici Domenico Iannantuoni e Michele Eugenio Di Carlo e con altri amici pugliesi, calabresi e di altre Regione del Sud provvederemo a informare i cittadini del Meridione cosa fare per tutelare e rilanciare l’olio d’oliva extra vergine del Sud e, magari, anche altre produzioni agricole del Mezzogiorno.

Foto tratta da giovanimpresa.coldiretti.it

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