Grano duro: contratti di filiera in Sicilia? Piacciono solo alla Coldiretti. Il resto è un coro di “No”

22 agosto 2018

Ieri un servizio del TGR Sicilia ha aperto una finestra sul grano duro. Dove si è ‘infilata’ la Coldiretti proponendo i soliti contratti di filiera. Tutti d’accordo? Assolutamente no. Ettore Pottino (Confagricoltura) mette i paletti. Mentre la CIA siciliana, per bocca di Carmelo Allegra, spiega che il rilancio del grano duro in Sicilia passa per le produzioni biologiche. Il ‘premio’ dei contratti di filiera: già due anni di ritardi nei pagamenti 

… e così il problema grano duro della nostra Isola, ieri, è approdato al TGR Sicilia. Un servizio di qualche minuto, con sullo sfondo Gangi, sulle Madonie, qualche deposito di grano, un agricoltore che spiega che l’annata non è stata delle migliori. La produzione si è ridotta e il prezzo è basso: da 18 a 20 euro al quintale.

Fin qui nulla di nuovo, a parte l’anomalia di un prezzo che, in presenza di una riduzione della produzione, dovrebbe aumentare e invece si riduce. Perché? Misteri di Chicago…

Vabbé, andiamo avanti. La TV ha i suoi tempi. Veloci. Ci lascia di stucco il finale. La parola va a una donna. Intuiamo che si tratti di una rappresentante della Coldiretti: mamma mia!

Il rimedio al prezzo basso del grano c’è, dice miss Coldiretti: i contratti di filiera!

Che sono ‘sti contratti di filiera? I lettori del nostro blog lo sanno, perché ne parliamo spesso: e non ne parliamo bene (COME POTETE LEGGERE QUI).

Sono stati lanciati dall’ex Ministro della Politiche agricole del passato Governo, Maurizio Martina (l’attuale segretario nazionale del PD). Come leggerete in seguito, fino ad oggi sono una promessa non mantenuta (leggere soldi promessi e ancora non erogati). Riassumiamo il significato di tali contratti a beneficio dei lettori che si accingono per la prima volta a seguire i problemi dell’agricoltura.

I contratti di filiera – nella filiera del grano duro – servono ad agevolare le industrie della pasta, non certo gli agricoltori. Funzionano così: il prezzo del grano – come avviene in Sicilia da due anni a questa parte – è bloccato a 18 euro al quintale? Bene: io, industria, propongo a un agricoltore il seguente contratto: tutto il tuo grano duro l’acquisto io e te lo pago a 25 euro al quintale. O magari a 27 euro al quintale.

Apparentemente è conveniente. Poi, però, arrivano le condizioni: te lo pago a 27 euro al quintale a condizione che la percentuale di proteine (cioè il glutine) ‘viaggi’ tra il 13 e il 14%.

Già, in Sicilia, questo è un problema. Perché i nostri grani duri non vanno mai oltre l’11% di proteine. E allora? E allora gli industriali ti dicono: invece di seminare il ‘tuo’ grano semini il ‘mio’ grano duro. Poi, però, devi aggiungere una bella concimazione: sennò quando lo raggiungi il 14% di proteine?

Ovviamente, caro agricoltore, il costo della concimazione è a carico tuo. Via, già te lo pago a 27 euro a quintale; a questi soldi aggiungi l’integrazione pagata dall’Unione Europea e anche il premio ci circa 90 euro ad ettaro stanziato dal Governo nazionale.

Eh già, perché il Governo Renzi – il già citato ex Ministro Martina – due anni fa ha deciso di erogare un premio-contributo di 90 euro per ettaro per gli agricoltori che aderiscono ai contratti di filiera. E le regole della concorrenza? Boh…

Poi, però, scopriamo che l’anno scorso il premio-contributo per gli agricoltori che hanno aderito ai contratti di filiera non è stato erogato. Dicono che verrà erogato quest’anno. Ne erogheranno due: quello dello scorso anno e quello di quest’anno.

Chi deve pagare? L’AGEA, l’Agenzia dello Stato che eroga i pagamenti in agricoltura? Per caso è la stessa Agenzia che è in ritardo nei pagamenti, in media, di due anni (e in Sicilia di tre anni)? A quanto pare sì…

Vabbé, dai, questo è un dettaglio…

Insomma, abbiamo già appurato che i contratti di filiera interessano gli industriali della pasta. Perché? Perché si è scoperto che la pasta industriale italiana, regina del Made in Italy, ‘perla’ della Dieta Mediterranea, fiore all’occhiello… produce pasta con il grano duro estero, soprattutto canadese.

Anzi, ora di grano duro canadese non se ne deve parlare più. Fino a due anni fa Oscar Farinetti, il patron di Eataly, andava in televisione per magnificare il grano duro canadese (COME POTETE LEGGERE QUI).

Da quando si è scoperto che il grano duro canadese è pieno di glifosato (COME POTETE LEGGERE QUI) e di micotossine DON (COME POTETE LEGGERE QUI) si tace e basta. Anzi la regola è dire che in Italia di grano duro canadese non ce n’è più. Possibile?

Per appurarlo ci vorrebbero i controlli. Ma i controlli su pasta e semole  – a parte quelli promosso da GranoSalus e da I Nuovi Vespri – in Italia non ne esistono. Bisogna credere per fede…

Noi ovviamente non ci crediamo. Però registriamo un aumento dei contratti di filiera: evidentemente gli industriali della pasta hanno bisogno del grano duro italiano, che per l’80% è prodotto nel Sud Italia (il 20% del grano duro prodotto nel Centro Italia è di qualità inferiore: la differenza la fa il sole, che nel Mezzogiorno crea migliori condizioni per la maturazione naturale).

Insomma, gli industriali della pasta hanno paura. Già l’informazione che è stata data negli ultimi due anni ha scoperto gli ‘altarini’ del binomio-grano duro canadese-glifosato. Il consumo della pasta industriale è sceso e i prezzi pure.

E’ aumentata invece la pubblicità dove ci dicono che la pasta è fatta tutta con grano duro italiano, trafilata di qua, trafilata di là, essiccata in 24 e forse più e bla bla bla.

E’ così? Dovete credere per fede. Anche perché il ‘famigerato’ decreto del Governo Renzi che impone di indicare la provenienza del grano nei pacchi di pasta non sembra sia molto rispettato: anzi.

Tra l’altro – e non poteva che essere così, visto che è stato ‘partorito’ dal Governo Renzi – il decreto Martina è confusionario: pasta con grano UE, pasta con grano non UE, della serie, là dove venisse applicato non si capirebbe una mazza!

Qual è il timore degli industriali della pasta? Che l’attuale Governo nazionale cambi la legge e ne faccia una semplice semplice: in ogni pacco di pasta va indicata la provenienza senza confusione: il grano duro che hai usato viene dalla Sicilia? Scrivi pasta con il grano siciliano. Arriva dalla Puglia? Scrivi pasta fatta con il grano duro pugliese? Li hai mescolati? Scrivi pasta fatta con grano duro siciliano e pugliese. 

Utilizzi il grano duro messicano? Bene: allora scrivi pasta fatta con il grano duro messicano. Idem per il grano duro francese, ucraino, canadese. Il tutto con controlli periodici sull’eventuale presenza di contaminanti e, soprattutto, controlli sul DNA

Abbiamo divagato un po’. A questo punto, visto che la posizione della Coldiretti sui contratti di filiera la conosciamo già – e il servizio di ieri sul TGR Sicilia ne ha dato contezza – abbiamo raccolto il parere dei rappresentanti di altre organizzazioni agricole.

Cominciamo con il presidente di Confagricoltura Sicilia, Ettore Pottino:

“I contratti di filera? Pannicelli caldi. In ogni caso, il prezzo che le industrie della pasta dovrebbero pagare agli agricoltori deve essere superiore a 30 euro al quintale. Altrimenti non è conveniente”.

Più articolato il ragionamento di Carmelo Allegra, presidente dell’Associazione giovani imprenditori agricoli della CIA (Confederazione Italiana Agricoltori):

“Non sono d’accordo con la tesi della Coldiretti. La Coldiretti ha interesse a vendere il seme cartellinato. E, magari, anche con i pastifici. In Sicilia i contratti di filiera, per il grano duro, non vanno bene. Gli industriali chiedono agli agricoltori grani duri con almeno il 13% di proteine. E nella nostra Isola non si va mai oltre l’11% e, solo in alcuni casi, non oltre il 12%. In Sicilia ci sono fasce di territorio nelle quali l’11% di proteine è già un successo. La soluzione non è questa”.

“La possibile soluzione per il grano duro siciliano – aggiunge Allegra – potrebbe essere la coltivazione in biologico. La nostra Isola è vocata per il grano duro in biologico. E i prezzi sono molto interessanti: intorno a 35 euro al quintale”.

Resta da capire che varietà coltivare: grani duri tradizionali o grano duri antichi?

“Con i grani duri antichi della Sicilia – ci dice sempre Allegra – bisogna essere cauti -. Se ci si inserisce nel circuito di Simenza (QUI LE NOTIZIA SU SIMENZA E I SUOI PROTAGONISTI) va bene. Ma puntare sui grani antichi senza la certezza di collocare il prodotto è un rischio. basta vedere quello che è avvenuto negli ultimi anni con la Timilia (o Tumminia): in giro ce n’è tanta e non si vende. Questo perché c’è molta confusione e c’è il dubbio che la qualità, in alcuni casi, sia venuta meno”.

“La mia azienda – conclude Allegra – opera in biologico coltivando le varietà di grano duro tradizionale. Con il Kore, ad esempio, quest’anno la produzione i è attestata intorno a 35 quintali per ettaro. Per noi è stato un successo”.

 

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