Primi controlli di GranoSalus sul grano duro che arriva con le navi: ecco cosa ci fanno mangiare!

13 gennaio 2017

E’ iniziata la serie di controlli annunciati da GranoSalus sul grano duro che arriva in Italia dall’estero e sui derivati dello stesso grano duro. Si comincia con i controlli disposti sulle navi cariche di grano duro estero arrivate in sei porti della Puglia negli ultimi due anni (biennio 2015-2016). Scarne le notizie fornite dalle autorità. Nessuna informazione precisa sulla micotossina DON. E dalle poche notizie decifrabili viene fuori che oltre il 40% di questo prodotto non va   

Il grano duro che arriva in Italia – e che poi finisce sulle nostre tavole sotto forma di pasta, pane, pizze, farina, semola, biscotti, dolci e via continuando – è praticamente sconosciuto, sotto il profilo della qualità? Almeno da quello che è venuto fuori da una verifica avviata da GranoSalus in sei porti della Puglia purtroppo è così. E di quel poco del quale si hanno notizie, anche se frammentarie – sempre con riferimento ai sei porti pugliesi – oltre il 40% è grano duro di pessima qualità!

Quello avviato da GranoSalus – l’associazione che raccoglie produttori di grano duro in tutte le Regioni del Sud Italia e tanto consumatori – è solo la prima di una serie di verifiche.

“Abbiamo chiesto l’accesso agli atti all’Agenzia delle dogane per i porti di Bari, Barletta, Trani, Molfetta, Monopoli e Manfredonia – di dice Saverio De Bonis, presidente di GranoSalus -. Le notizie delle quali siamo entrati in possesso riguardano le navi arrivate in questo porti da Paese extraeuropei. Si tratta di navi che attraccano direttamente in questi sei porti della Puglia, senza passare prima da altri porti europei”.

La precisazione è importante: infatti, se una nave carica di grano attracca prima in un porto europeo – per esempio, nel porto di Marsiglia – poi può circolare liberamente in tutti gli altri porti dell’Unione Europea. E in Italia sono tante le navi cariche di grano che arrivano dopo aver attraccato in altri porti d’Europa.

La differenza è importante perché i controlli sulla qualità sono stati effettuati sono sulle navi cariche di grano duro estero che sono arrivate direttamente nei sei citati porti della Puglia.

Intanto la quantità di grano duro estero che è arrivata con tali navi negli ultimi due anni (biennio 2015-2016), che ammonta a 2 milioni e 406 mila tonnellate.

Che tipo di grano duro è arrivato?

In primo luogo va detto che non si conosce ancora la provenienza: “In questa fase sappiamo soltanto che è un grano duro estero – ci dice De Bonis -. Ma stiamo lavorando per chiedere di conoscere anche da quali Paesi del mondo arriva”.

“L’ufficio delle Dogane – ci ha detto De Bonis – ci ha fornito sette codici di nomenclatura. Ma di questi sette condici noi ne abbiamo identificato solo due.

Il primo dei due codici identificati è il 1001190012:

“Questo codice – spiega il presidente di GranoSalus – ci dice che si tratta di frumento duro con un peso specifico di chilogrammi 80 per ettolitro. Le caratteristiche sono le seguenti:

chicchi di grano ‘bianconato’ (cioè di qualità scadente) fino a un massimo del 20%;

chicchi dio grano no perfetti fino a un massimo del 10%;

chicchi di grano striminziti o ispessiti fino a un massimo del 7%;

chicchi di grano attaccati da parassiti fino a un massimo del 2%;

chicchi di grano attaccati da fusariosi o volpati fino a un massimo del 5%;

chicchi di grano germinati con un massimo dello 0,5%”.

“Se facciamo i conti – racconta sempre De Bonis – ci accorgiamo, da questo primo controllo, che oltre il 40% del grano duro che è arrivato in questi porti della Puglia è di qualità scadente. E ci accorgiamo anche che è presente una percentuale di grano attaccato dai funghi che producono le micotossine DON: parlo, ovviamente, del Fusarium”.

Chiediamo: ma non si fa prima a chiedere direttamente la percentuale di micotossine DON eventualmente contenuti in questo grano duro?

De Bonis non si tira indietro:

“Certo che si farebbe prima. Ma questo dato, allo stato attuale dei fatti, non c’è. Ovviamente, torneremo alla carica per avere il dato esatto sull’eventuale presenza di micotossine DON”.

“Detto questo – aggiunge il presidente di GranoSalus – ci sembra assurdo che non siamo stati messi nelle condizioni di identificare tutti i codici tariffari. Infatti, oltre al codice del quale abbiamo illustrato i contenuti siamo riusciti ad identificare un secondo codice – il 1001110000 – che riguarda il grano da semina. Poi ci sono altri cinque codici – ed esattamente: il 1001110010, il 1001110020, il 1001110030, il 1001190018, il 1001190020 e il 1001190030 – sui quali il portale dell’Agenzia delle Dogane non dà informazioni”.

“Un’altra notizia che ci sembra importante – dice sempre De Bonis – è che il grano pugliese non si esporta fuori dall’Unione Europea. Non è vero, ad esempio, che il grano pugliese viene esportato in Nord Africa”.

“Questo – conclude il presidente di GranoSalus – è soltanto l’inizio del lavoro che abbiamo avviato. Nelle prossime settimane inoltreremo richieste di accesso agli atti in tutti i porti italiani. Per capire – e soprattutto per far conoscere a tutti i cittadini del nostro Paese – che cosa l’Unione Europea fa arrivare sulle nostre tavole”.

©Riproduzione riservata

P.S.

E’ la domanda che, a giudicare da questi primi controlli, ci poniamo anche noi: che cosa ci fanno mangiare i signori di Bruxelles? Domanda che vale non soltanto per noi italiani, ma anche per gli abitanti degli altri Paesi europei e del mondo dove esportiamo i derivati del grano, a cominciare dalla pasta.

Altra domanda: se in soli sei porti italiani, negli ultimi due anni, sono arrivati quasi 2 milioni e mezzo di tonnellate di grano duro, che ‘numeri’ verranno fuori quando i controlli verranno estesi a tutti i porti italiani?

E questo riguarda – lo ricordiamo – le navi che attraccano direttamente nei porti del nostro paese senza passare prima da altri porti dell’Unione Europea.

La vera domanda è: quanto grano duro importa il nostro Paese?

Domanda che chiama altre domande:

che senso ha importare tutto questo grano duro – di qualità inferiore a quello prodotto nel Mezzogiorno d’Italia e, spesso, anche di pessima qualità – quando il Sud del nostro Paese lo potrebbe produrre senza problemi?

ben 600 mila ettari di seminativi del Meridione d’Italia sono stati abbandonati. Dietro c’è una strategia?     

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