“Nonostante gli innegabili meriti ‘sanitarì di questa soluzione, che ha permesso per quanto possibile la continuità dei servizi e ha tutelato la sicurezza dei lavoratori, ciò che è stato sperimentato non può certo definirsi nè smart working nell’accezione manageriale classica, nè lavoro agile secondo l’inquadramento normativo pre-pandemia come definito dalla legge 81/2017” spiega Brunetta. “Lo dimostra il fatto che si è proceduto a colpi di deroghe, innanzitutto con il venir meno della necessità dell’accordo individuale, e poi con eccezioni agli obblighi informativi e all’alternanza tra prestazione in presenza e prestazione da remoto. Deroghe che però sono state accompagnate dalla trasformazione per legge del lavoro agile da una delle possibili modalità di lavoro pubblico da incentivare nella Pa a ‘modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativà e poi a ‘una delle modalità ordinariè. “Non esiste ancora una piattaforma sicura dedicata allo smart working nella Pubblica amministrazione, l’interoperabilità delle banche dati è un processo in fieri, spesso i dipendenti sono stati costretti a lavorare ricorrendo ai propri computer e ai propri device” afferma Brunetta.
(ITALPRESS).
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