Signori se Google licenzia 12 mila persone nel cosiddetto Occidente industrializzato siamo messi male/ MATTINALE 912

21 gennaio 2023
  • Proviamo a capire e a illustrare perché i giganti del Big Tech segnano il passo
  • Nella rete la democrazia è tutto, se viene meno si perdono allegria e fiducia 
  • La lettera dell’amministratore delegato di Google ai dipendenti 

Proviamo a capire e a illustrare perché i giganti del Big Tech segnano il passo

L’unica cosa che si può ammettere – che i giganti americani del Big Tech possono ammettere – è che con il tramonto dei grandi affari della pandemia e l’arrivo della recessione provocata dalla guerra in Ucraina è giunto il tempo di ridimensionare gli organici. Adesso tocca a Google. A parlare, via e-mail, nel rigoroso rispetto della neo-lingua capitalistica-globalista del nostro tempo, è l’amministratore delegato di Alphabet Inc., società madre di Google, l’ingegnere metallurgico indiano-americano Sundar Pichai. Insomma, anche per Google arrivano tempi difficili. Quando licenziano le industrie si parla di “ristrutturazione industriale”, in questo caso che tipo di “ristrutturazione” è? Vattelappesca! Quello che sappiamo è che Amazon ha già licenziato quasi 20 mila dipendenti; Microsoft la metà di Amazon, circa 10 mila addetti; anche Facebook è andato pesante con 11 mila licenziamenti; Salesforce, impresa statunitense di cloud computing, ha mandato a casa il 10% dei propri dipendenti; mentre Wayfair ha licenziato quasi mille e 800 impiegati. L’unica compagnia del settore a non aver effettuato tagli di personale importanti fino ad ora è Apple. Magari queste società ci ripenseranno con gli aiuti che il Governo statunitense sta mettendo in campo, circa 3 mila e 700. Ma non è detto.

 

Nella rete la democrazia è tutto, se viene meno si perdono allegria e fiducia 

Se per Amazon e, in generale, per i negozi virtuali con il ridimensionamento degli effetti della pandemia la crisi ci sta, lo scenario è un po’ diverso per altre realtà. La rete ha senso se è democratica e pluralista ma se non si deve discettare delle elezioni presidenziali americane gravate dal dubbio che siano state ‘taroccate’ con i voti postali, se bisogna celebrare  le ‘gesta’ delle multinazionali farmaceutiche e se bisogna inneggiare agli “immancabili destini” degli occidentali nella demenziale guerra in Ucraina molta gente si rompe le scatole. Se poi – nel caso dell’informazione – entrano in azione gli algoritmi che fanno circolare alcuni articoli e ne fanno sparire altri, ebbene, il volume di affari non può che ridursi. Certo, facendo sparire gli articoli che raccontano una versione diversa della pandemia, una versione diversa delle elezioni presidenziali americane del Dicembre 2020, una versione diversa della guerra in Ucraina e – per arrivare alle ultime settimane – una versione diversa delle elezioni presidenziali in Brasile probabilmente ‘taroccate’ e una versione diversa di quanto avvenuto in Perù, dove l’Occidente ha fatto passare per ‘golpista’ il presidente socialista Petro Castillo quando invece i golpisti sono quelli che l’hanno ‘silurato’ raccontando un sacco di bugie, beh, alla fine le cose non possono andare bene. E infatti non vanno bene. Per carità: è legittimo che gli americani difendano l’area del dollaro minacciata dalla strategia a tenaglia della Cina e dei suoi alleati. Ma penalizzare il dibattito politico e culturale è un errore.

 

La lettera dell’amministratore delegato di Google ai dipendenti 

Ora arrivano i problemi economici. Non per i ‘capi’ di questi colossi ai quali gli occidentali non gli fanno mancare certo aiuti. A cominciare dalla basse imposte che pagano, ad esempio, nei Paesi europei. A pagare per le scelte non esattamente lungimiranti sotto il profilo aziendale sono i lavoratori. “Ho delle notizie difficili da condividere – ha scritto Pichai ai dipendenti -. Abbiamo deciso di ridurre la nostra forza lavoro di circa 12.000 unità. Abbiamo già inviato un’e-mail separata ai dipendenti statunitensi interessati. In altri Paesi, questo processo richiederà più tempo a causa delle leggi e delle pratiche locali”. Nella lettera non è specificato quanti saranno i dipendenti americani licenziati e quanti saranno i dipendenti licenziati negli altri Paesi del mondo dove questa multinazionale opera. “Negli ultimi due anni – scrive sempre l’amministratore delegato di Google che noi prendiamo da scenarieconomici.it –  abbiamo assistito a periodi di forte crescita. Per soddisfare e alimentare tale crescita, abbiamo assunto per una realtà economica diversa da quella attuale. Le riduzioni riguarderanno tutte le unità e le aree geografiche di Alphabet. Abbiamo quindi intrapreso una revisione rigorosa delle aree di prodotto e delle funzioni per garantire che il nostro personale e i nostri ruoli siano allineati con le nostre più alte priorità come azienda. I ruoli che stiamo eliminando riflettono il risultato di questa revisione. Sono trasversali ad Alphabet, alle aree di prodotto, alle funzioni, ai livelli e alle regioni”. Da quello che si sa i dipendenti licenziati lavoreranno per altri sei mesi e poi andranno via con 16 mensilità. Che dire di quanto sta accedendo? E cosa succederà in Europa? Se un colosso come Google licenzia 12 mila persone non c’è da stare allegri. Non tanto e non soltanto perché è sempre triste sapere che migliaia di persone perdono il lavoro, ma anche perché non si sa cosa potrebbe succedere nell’immediato futuro. Durante la pandemia Google ha assunto circa 50 mila persone e, volendo, rispetto ai risultati aziendali che leggiamo ne Manifesto, tutto sommato, non sta usando la mano pesante. “Nel primo trimestre del 2023 – leggiamo su Il Manifesto – si prevede per Alphabet una crescita annua dell’1,7% (contro il +32% dello stesso periodo dell’anno precedente). L’utile netto dovrebbe calare di quasi il 25%”. La crisi c’è ma, in proporzione, lo ribadiamo, almeno fino a questo momento, il numero di licenziati rispetto alla drastica riduzione della crescita sembra un po’ contenuto.

Foto Wikipedia

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