L’Olio d’oliva extravergine siciliano e la possibile ricetta per rilanciare questo settore/ MATTINALE 821

22 ottobre 2022
  • Qual è la situazione dell’olivicoltura da olio in Sicilia? 
  • Che fine fa la produzione di olio d’oliva extravergine siciliano?
  • E’ servita a qualcosa la protesta degli olivicoltori della nostra Isola? 
  • Perché non provare a vendere direttamente ai consumatori? 
  • Non è che Mario Pagliaro è un po’ troppo ottimista? 
  • Sbagliamo nell’affermare che, da quando esistono Forza Italia e il PD, l’agricoltura siciliana è andata indietro?

Qual è la situazione dell’olivicoltura da olio in Sicilia?

 

Nel MATTINALE di oggi torniamo ad affrontare un tema in questi giorni attuale: l’olio d’oliva extravergine siciliano. In questo momento è in corso la raccolta e la molitura delle olive ma è in corso anche la protesta degli agricoltori che producono olive da olio che lamentano un sensibile incremento dei costi di produzione a fronte di un prezzo dell’olio extravergine di oliva siciliano – 6 euro al kilogrammo – troppo basso rispetto ai costi. Partiamo da un post su Facebook di Mario Pagliaro, ricercatore del Cnr e esperto in materia di agricoltura. “Le #piogge di Agosto, Settembre è ancora inizio Ottobre salvano la produzione olearia di qualità della Sicilia – scrive Pagliaro – : quella della calda costa meridionale che da Mazara raggiunge il Siracusano. Serve dunque una disanima #concreta della situazione concreta dell’olio extravergine di oliva in #Sicilia.
Produzione: 20 milioni di piante
158.502 ettari di terreno coltivati
35mila tonnellate di olio extravergine di oliva prodotte ogni anno
619 frantoi (124 in Provincia di Palermo, 91 Agrigento, 84 Messina, 67 Catania, 44 Enna, 36 Siracusa, 33 Ragusa, 97 Trapani; 43 Nissa)”.

 

Che fine fa la produzione di olio d’oliva extravergine siciliano?

 

“Le 35mila tonnellate di #olio extravergine di oliva prodotte in Sicilia – prosegue Pagliaro –  #svolgono esattamente lo stesso ruolo delle 800mila tonnellate di #grano duro siciliano: nell’uno e nell’altro caso (con poche e importanti eccezioni) da aziende agricole troppo piccole e incapaci di associarsi fra loro. Ovvero, le produzioni di olio d’oliva extravergine e di grano duro vengono portate via ad un prezzo irrisorio dal capitale tenendovi bassi i prezzi attraverso un semplice meccanismo basato sull’importazione #locale da parte del #capitale di olio d’oliva e grano duro esteri immessi sul mercato a prezzi bassissimi. Una volta acquistati i pregiatissimi olio extravergine di oliva e grano duro siciliani, questi possono essere #rivenduti dal capitale costituito in società commerciali a prezzi che – se i contadini siciliani conoscessero – smetterebbero immediatamente di vendere anche 1 solo kg del loro due prodotto. Andato avanti per oltre 20 anni, il #meccanismo deflazionario e sfruttatore si è #spezzato circa tre anni fa. Sia per il grano duro, che per l’olio extravergine di oliva. Per due ragioni. Nel caso del grano duro, per il #crollo della produzione di grano estero da importare a bassissimo costo. Nel caso dell’olio extravergine d’oliva, per il collasso della produzione nordafricana. Le poche #grandi aziende del grano duro siciliane hanno così smesso di cedere il loro grano a prezzi bassissimi, e hanno iniziato a vendere direttamente il loro grano ai trasformatori (le aziende molitorie). Una gran parte delle aziende più piccole a vendere a società commerciali di intermediari. Ma ormai anche i tanti piccoli produttori di grano duro hanno compreso che, o si mettono insieme, o è meglio vendere la proprietà (la domanda di terreni è altissima)”.

 

E’ servita a qualcosa la protesta degli olivicoltori della nostra Isola?

 

“Analogamente – scrive sempre Pagliaro – le #grandi e le medie #aziende olearie siciliane da anni vendono pressoché interamente all’estero il loro olio a 15, 20 ed anche 100 euro al litro (in bottiglie da 250 cc che è facile trovare nei negozi di prodotti alimentari più ‘in’ di Svizzera, Francia, Austria età). Bypassando completamente qualsiasi intermediario commerciale. A differenza del mercato del grano, però, molti piccoli produttori di olio d’oliva extravergine siciliani hanno compreso che #imbottigliando il loro olio e vendendolo con nuove capacità di marketing (ad esempio attraverso i siti web delle loro aziende), possono vendere il loro olio a 12 e a 15 euro al litro. Lo #fanno sistematicamente da anni, remunerando il loro lavoro. Chi non lo fa, è costretto a svendere il prodotto “sfuso” (cioè non imbottigliato) a 3 o 4 al litro a intermediari commerciali. Ovvero a prezzi che, con il raddoppio dei costi di produzione di quest’anno, non coprono nemmeno le spese sostenute. Di qui, per la #prima volta da 40 anni ad oggi, una #vera protesta con gli agricoltori della formidabile provincia di Agrigento che hanno deciso che non avrebbero nemmeno raccolto le olive se non gli fosse stato riconosciuto un prezzo minimo di almeno 6 euro al litro”.

 

Perché non provare a vendere direttamente ai consumatori? 

 

“Man mano però che anche i piccoli produttori siciliani emulano i loro concorrenti iniziando anche loro ad #imbottigliare e a vendere via #internet fuori dalla povera #Sicilia l’ineguagliabile olio extravergine di oliva siciliano – scrive ancora il ricercatore del Cnr – ecco che la quantità di prodotto di qualità in mano al capitale costituito in società commerciali inizia a diminuire in modo (per loro) #preoccupante. Di qui, la voce #infastidita espressa dal capitale attraverso i suoi giornali, siti internet, tv, e radio: ‘Cosa vogliono, questi Siciliani? Vogliono forse portare il prezzo dell’olio a 10 euro? Ma come si permettono?!’. E’ esattamente ciò che devono continuare a fare gli agricoltori siciliani: imbottigliare e vendere il loro pregiatissimo olio direttamente ai consumatori a non meno di 12 euro al litro.
Quanto ai 2 milioni di famiglie siciliane che ancora vivono in Sicilia – conclude Pagliaro – possono (e dovrebbero) fare una cosa #semplicissima. Una bella passeggiata presso uno dei 619 frantoi vicino casa loro. Per #acquistare lì direttamente dai produttori i 15, 20 o 40 litri di olio di cui avranno bisogno fino al prossimo mese di Ottobre. Acquisteranno olio di altissima qualità, autentico scrigno di salute e benessere, sostenendo il loro benessere e il lavoro dei loro #compatrioti agricoltori e frantoiani. Gli verrà fornita in comode, sane ed ecologiche #latte in acciaio realizzate in banda stagnata, ovvero da lamierino d’acciaio protetto dall’ossidazione da un sottile strato di stagno purissimo (purezza minima 99,85%). Buona campagna olearia a tutti”.

 

Non è che Mario Pagliaro è un po’ troppo ottimiste?

 

Pagliaro scrive cose condivisibili, ma è troppo ottimista. Intanto a Caltabellotta e in altre zone dell’Agrigentino la protesta è finita: gli agricoltori hanno iniziato la raccolta e la molitura delle olive e stanno vendendo il proprio olio d’oliva extravergine a 6 euro. Una cifra irrisoria, ma l’alternativa sarebbe straperdere, perché non sono nelle condizioni di trovare sbocchi di mercato. A qualche chilometro di distanza da Caltabellotta c’è Ribera dove si coltivano le arance bionde varietà Washington Navel. Anche gli agricoltori di Ribera, per anni, hanno combattuto per trovare sbocchi di mercato. Oggi in parte ci sono riusciti organizzandosi tra di loro, perché dalla Regione dallo Stato non arriva nulla. Di fatto, se non ci fossero le risorse finanziarie del Primo Pilastro della PAC (Politica Agricola Comune) l’agrumicoltura sarebbe in grande crisi. Pagliaro scrive bene quando dice che ci sono realtà – anche nel mondo dell’olio d’oliva extravergine siciliano – che hanno saputo organizzarsi. Ha di certo ragione, ad esempio, per i piccoli produttori di olio d’oliva extravergine dell’Etna e di qualche altro areale della Sicilia, che vendono il proprio prodotto di alta qualità sulla rete. Poi ci sono altre esperienze associative, ma sarebbe importante capire se queste ultime danno soddisfazioni economiche a chi li gestisce o agli agricoltori.

 

Sbagliamo nell’affermare che, da quando esistono Forza Italia e il PD, l’agricoltura siciliana è andata indietro?

 

La verità è che, da quando è finita la Prima Repubblica, l’agricoltura siciliana è andata indietro. Se solo si rivedesse la ripartizione dei fondi del Primo Pilastro per il grano duro, gli agricoltori siciliani non avrebbero più problemi. Invece assistiamo agli agricoltori del Nord che ogni anno, sulla base di parametri stabiliti oltre venti anni fa, si prendono una barca di soldi anche se nei loro seminativi non si coltiva il grano (nel Nord Italia il grano tenero canadese Manitoba ha soppiantato il grano tenero italiano); mentre Sud e Sicilia, dove si coltiva il grano duro, prendono le briciole. In più, l’ex Ministro  grillino e nordista dell’Agricoltura Stefano Patuanelli ha trovato del tutto normale scippare altre risorse a Sud e Sicilia per darle alle impese agricole del Nord, con l’appoggio di tutti gli altri partiti che sostenevano il Governo di Mario Draghi, dal PD a Forza Italia, dalla Lega a Italia Viva. Nell’olivicoltura da olio, Puglia, Calabria e Sicilia producono il 90% delle olive da olio, ma il mercato italiano dell’olio d’oliva (extravergine?) è controllato dal Nord Italia. Sarebbe sufficiente, con i satelliti, verificare quanti alberi di olivo ci sono nelle Regioni italiane ‘leader’ nell’imbottigliamento e nell’export di olio d’oliva: ci sarebbe da divertirsi! Nella Prima Repubblica si realizzavano i miglioramenti fondiari, lo Stato interveniva nei vari settori agricoli, dal grano ai Piani Agrumi, dalla zootecnia alla stessa olivicoltura del Sud e della Sicilia che non veniva certo derubata come avviene oggi. Un Ministro dell’Agricoltura democristiano, Giovanni Marcora, scatenò una guerra con la Cee, Comunità economica europea che, già negli anni ’80 del secolo passato, cominciava a favorire gli imbrogli dell’agricoltura del Nord Europa su latte e burro. In Sicilia l’Azienda Foreste Demaniali acquistava e rimboschiva i terreni abbandonati, l’Associazione allevatori funzionava (anche se non mancavano gli invidiosi che cercavano di denigrarla), c’erano gli interventi di grande respiro economico e sociale della Regione siciliana nei vari settori dell’Agricoltura. E oggi? Da quando esistono Forza Italia e il PD – due partiti politici che definire rovinosi per la Sicilia è poco – la Regione siciliana e l’agricoltura sono andate indietro. Quanto ai grillini – quelli che dovevano aprire l’Italia come una scatoletta di tonno – in Sicilia hanno solo provocato danni. Siamo troppo pessimisti? Parlano i fatti. In Sicilia, nel mondo agricolo, vanno bene solo coloro i quali non hanno bisogno della Regione siciliana. Al massimo prendono quello che possono prendere e che gli spetta, ma senza farsi troppe illusioni.

Foto tratta da Sicilia Verde Magazine

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