Rispetto per la morte della Regina Elisabetta ma l’Italia e soprattutto Sud e Sicilia non hanno molti motivi per celebrare l’Inghilterra

11 settembre 2022
  • Non dobbiamo dimenticare che in Sicilia gli inglesi sono stati grandi sfruttatori e prepotenti
  • Sono stati gli inglesi a regalare all’Italia un Sud e una Sicilia colonizzato da massoneria speculativa e mafie
  • 1838: gli inglesi rubano alla Sicilia gli zolfi
  • Il ruolo degli inglesi negli assassini di Giacomo Matteotti e Aldo Moro

Non dobbiamo dimenticare che in Sicilia gli inglesi sono stati grandi sfruttatori e prepotenti

La morte esige rispetto. Le celebrazioni, però, sono un’altra cosa. Giusto che l’Inghilterra celebri la Regina Elisabetta II, giusto che la celebrino alcuni Paesi del mondo legati agli inglesi. Un po’ meno giusto, se non fuori luogo, è che questa monarca venga celebrata dai Paesi che hanno subito il colonialismo e le prepotenze inglesi. In Italia, ad esempio, il Piemonte ha tutto il diritto di celebrare e ricordare la Regina di un Paese che, nel 1860, gli ha praticamente regalato il Sud Italia e la Sicilia con un’invasione in dispregio del diritto internazionale. Un’operazione di pirateria internazionale che ha messo fuori gioco il Regno delle Due Sicilie. La storia è storia e non può essere riscritta a uso e consumo dei potenti di turno. La Sicilia, ad esempio, non ha nulla da celebrare, dal momento che gli inglesi hanno sempre considerato la nostra Isola come una colonia da sfruttare. Esistono tante pubblicazioni che celebrano i Woodhouse e gli Ingham Whitaker, dimenticando che questi signori inglesi sono piombati nella nostra Isola per farsi i cavoli propri. E lo hanno fatto anche alimentando una sorta di ‘Stato alternativo’ che in Sicilia si chiama mafia, in Calabria ‘ndrangheta e in Campania camorra. Esageriamo? Non esattamente. Vediamo come sono andate le cose.

Sono stati gli inglesi a regalare all’Italia un Sud e una Sicilia colonizzato da massoneria speculativa e mafie

Durante l’invasione del Mille in Sicilia, scrive Federico Dezzani, “i picciotti, che agiscono sempre in sintonia con i baroni, danno un aiuto determinante all’avanzata dei Mille. Il Regno delle Due Sicilie, svuotato da uno Stato parallelo che è cresciuto dentro lo Stato di facciata, si squaglia rapidamente: Reggio Calabria non oppone alcuna resistenza, mentre Napoli precipita nel caos, lasciando che il vuoto di potere sia colmato la camorra, lieta di accogliere Garibaldi e le sue truppe. Nasce così il Regno d’Italia, che ancora oggi paga il prezzo del suo peccato originale. È uno Stato strutturalmente debole, nato senza possedere il monopolio della violenza, costretto a convivere con due gemelli siamesi, le mafie e la massoneria speculativa, che non solo altro che meri strumenti in mano a chi ha davvero orchestrato l’Italia unita: l’impero britannico… Le stesse mafie che hanno corroso il Regno delle Due Sicilie sono lasciate infatti in eredità allo Stato unitario: è un’eredità avvelenata, finalizzata a compiere una perdurante opera di destabilizzazione nel Meridione, cosicché non possa mai sfruttare il suo enorme potenziale geopolitico di avamposto verso Suez, il Levante ed il Nord Africa. Le mafie come strumento inglese di destabilizzazione non sono una peculiarità del Sud Italia. Si considerino ad esempio le Triadi Cinesi che smerciano nell’Impero Celeste quell’oppio per cui Londra ha addirittura combattuto una guerra (1839-1842): le analogie con la mafia, come già notato da Giovanni Falcone, sono incredibili. Tatuaggi, mutua assistenza, omertà, segretezza, riti d’iniziazione, diversi gradi di affiliazione, struttura piramidale: anche le Triadi sono sette criminali paramassoniche e, non a caso, quando i comunisti prenderanno il potere nel 1949, ripareranno nella colonia britannica di Hong Kong…” (Tratto dal blog di Federico Dezzani – Mafia, camorra e ‘ndrangheta: come il Meridione (e l’Italia) fu infettato dagli inglesi). Cosa combinarono, insieme, garibaldini e picciotti di mafia (gli uni valevano quanto gli altri), con la protezione degli inglesi, dopo che i militari borbonici lasciarono il capoluogo della Sicilia lo ha descritto in modo magistrale Giuseppe ‘Pippo’ Scianò, grande personalità dell’Indipendentismo siciliano scomparso di recente nel suo bel volume: “E nel Maggio del 1860 la Sicilia diventò colonia!“.

1838: gli inglesi rubano alla Sicilia gli zolfi

Prima di attaccare ed eliminare il Regno delle Due Sicilie utilizzando Garibaldi, la massoneria, la mafia in Sicilia, la ‘ndrangheta in Calabria e la camorra a Napoli, gli inglesi si erano scontrati con lo stesso Regno delle Due Sicilie. Già nel 1838, come ricorda Giuseppe ‘Pippo’ Scianò, gli inglesi consideravano il Mediterraneo “un grande lago inglese”; a loro – cioè agli inglesi- serviva lo zolfo per la propria flotta militare: e siccome di zolfo in Sicilia ce n’era tanto, decidono di prenderselo, fregandosene degli interessi della Sicilia: in pratica, quello che ha fatto e continua a fare l’Italia dal 1860 ad oggi. Allora, però, a difendere la Sicilia non c’era lo Stato italiano – eterno ‘nemico’ della nostra Isola – ma Ferdinando di Borbone, che si oppone alla prepotenza inglese. Cosa stavano combinando gli inglesi in Sicilia? Abbiamo detto che volevano lo zolfo siciliano, ma lo volevano a prezzi stracciati, meglio se gratis. Come stavano le cose lo ha illustrato Domenico Capecelatro Gaudioso nel suo saggio Ottocento Napoletano. “Fino al 1838 (lo zolfo siciliano ndr) era stato libero, per cui molti inglesi erano divenuti proprietari di solfatare. Gli inglesi, allo scopo di instaurare un monopolio nel commercio stesso, si unirono in trust, creando così, una grande, unica e ricca società inglese, in maniera d’avere la possibilità di aumentare lo sfruttamento del minerale in proporzione superiore alle richieste, per cui il prezzo dello zolfo sul mercato calò vertiginosamente, con grave danno dei piccoli proprietari di solfatare, che vennero a trovarsi in una critica situazione. Un Re, un vero Re (e Ferdinando II lo era) a questo punto aveva il dovere di salvaguardare gli interessi dei suoi sudditi che, in casa loro, rischiavano il fallimento a causa delle speculazioni da parte di commercianti di un’altra nazione che tutto inquadrava in un’ottica imperialistica e che mal tollerava opposizioni ai suoi interessi politici ed economici: l’Inghilterra… …lo stesso Governo (Borbonico, che istituì di conseguenza il monopolio statale sull’estrazione del minerale, n.d.scr.), aveva risposto picche alla richiesta di abolizione del monopolio statale e, logicamente, non aveva alcuna intenzione di aderire alla richiesta dell’immancabile (e ti pareva) risarcimento danni. La Gran Bretagna non volendo riconoscere quanto fossero assurde, arroganti ed in mala fede le sue pretese, conscia della circostanza d’essere nella disputa la più forte, inviò nelle acque territoriali di Napoli e Sicilia una squadra navale da guerra, con l’incarico di procedere alla cattura di tutte le navi napoletane, dirottandole nel porto di Malta, minacciando che il rilascio del naviglio catturato sarebbe avvenuto soltanto quando Napoli si fosse decisa a risolvere il contratto stipulato (nel frattempo, n.d.scr.) con la compagnia francese e all’avvenuto pagamento dei danni di cui erasi fatto cenno nella nota diplomatica inglese. Giunta nella rada di S. Lucia la flotta inglese – è sempre il Capecelatro a riportare – Ferdinando II, anziché dimostrarsi intimorito, decretò l’armamento delle coste, l’istituzione di un campo militare presso Reggio Calabria, un vasto richiamo alle armi e l’immediato invio di dodicimila uomini in Sicilia, preparandosi a partire egli stesso, poiché, e non a torto, sospettò che gli inglesi, che segretamente avevano sempre nutrito il proposito, dopo aver creato appositamente il casus belli, d’impadronirsi della Sicilia, avrebbero approfittato della circostanza per concretizzare i loro propositi…(queste testimonianze sono state riportate da Erminio De Biase L’Inghilterra contro il Regno delle Due Sicilie, Controcorrente Edizioni, pag. 21, 23, 24, 119, come potete leggere in questo articolo tratto da Regno delle Due sicilie.eu). 

Il ruolo degli inglesi negli assassini di Giacomo Matteotti e Aldo Moro

Gli inglesi li ritroviamo sempre nei passaggi più tormentati della vita italiana. L’omicidio di Giacomo Matteotti avvenuto il 10 Giugno del 1924 è legato agli inglesi. Scrive Roberto Torenzetti, riprendendo le prove nei documenti di Kew Gardens pubblicati ne Il golpe inglese di Mario J. Cereghino e Giovanni Fasanella: “In un viaggio a Londra, intrapreso due mesi prima della morte, Matteotti viene a sapere dai laburisti che Arnaldo Mussolini, fratello del duce, e alcuni membri di Casa Savoia hanno intascato tangenti per stipulare una convenzione tra governo italiano e una società petrolifera americana, la Sinclair Oil – precisa Cereghino – E’ questo lo scandalo che vuol denunciare nella seduta della Camera dell’11 giugno 1924, presentando i documenti che provavano quei maneggi. Ma il giorno prima sparisce e con lui spariscono le carte. Il regime è salvo, ma è salva anche l’Inghilterra che sarebbe stata danneggiata da questo accordo segreto con gli americani, che colpiva gli interessi petroliferi inglesi; un accordo annullato dopo la morte del deputato socialista”. Nel 2020 il giornalista e saggista Giovanni Fasanella è stato audito in commissione Esteri della Camera dei deputati e ha raccontato cosa gli aveva detto l’ex presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, che tira in ballo gli inglesi. La storia è quella del rapimento e dell’assassinio del leader della DC, Aldo Moro. “Ma quale Cia, qui un giorno dovremmo parlare degli inglesi”, ha detto Cossiga a Fasanella, allora — erano gli anni Ottanta — cronista politico dell’Unità. E con questa frase il giornalista ha introdotto il tema della sua audizione: il ruolo nella politica estera e interna italiana del Regno Unito. Che, come gli Stati Uniti era impegnato nella lotta al comunismo ma, a differenza degli Stati Uniti, anche ‘contro la politica mediterranea dell’Italia’, ha spiegato Fasanella: ‘contro l’attivismo di un Paese sconfitto in guerra, sottoposto a vincoli ma che nel dopoguerra aveva osato risollevare la testa e sviluppare una politica autonoma sino a diventare una potenza egemone nell’area’” (qui l’articolo per esteso). Per concludere, se Sud e Sicilia non hanno nulla da commemorare, nemmeno l’Italia ha molti motivi per celebrare l’Inghilterra.

Foto tratta da Il Messaggero

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