L’avventura di Ippolito Nievo con i Mille in Sicilia e la sua morte ancora oggi avvolta nel mistero

24 agosto 2022
  • L’autore de ‘Le confessioni di un italiano’ era un giovane ribelle e mazziniano, la disperazione della sua famiglia
  • Tra il 1857 e il 1859 sembrava che gli spiriti rivoluzionari non gli interessassero più. Invece nel 1860 quanto gli raccontano della prossima spedizione di Garibaldi in Sicilia…
  • Gli inglesi, i veri protagonisti dell’impresa dei mille
  • Grande persona per bene e intellettualmente onesto, Ippolito Nievo, sulla presenza di Garibaldi in Sicilia aveva capito tutto: e forse è lì la possibile spiegazione della sua misteriosa morte 
  • Il naufragio della nave Ercole
  • La morte di Ippolito Nievo apre la lunga stagione dei misteri italiani che arriva fino ai nostri giorni

L’autore de ‘Le confessioni di un italiano’ era un giovane ribelle e mazziniano, la disperazione della sua famiglia

Ancora oggi la morte di Ippolito Nievo è avvolta nel mistero. Veneto di Padova, classe 1831, figlio di un magistrato, nobile da parte di madre, Ippolito Nievo, avvocato per volere della famiglia, raffinato letterato e scrittore di polso, è di certo una delle figure più interessanti della spedizione dei Mille in Sicilia. La sua vita, spezzata all’età di 30 anni in circostanze mai del tutto chiarite, dà la misura delle ombre che hanno accompagnato l’avventura di Giuseppe Garibaldi in Sicilia. Ma andiamo con ordine. Nei libri di storia della letteratura italiana Ippolito Nievo è ricordato per un romanzo pubblicato qualche anno dopo la sua morte: Le Confessioni di un italiano. Ma oltre ad essere stato un raffinato letterato, Ippolito Nievo è stato, giovanissimo, un seguace di Giuseppe Mazzini. Insomma, una bella testa calda. Per la disperazione di suo padre che lo voleva laureato in Legge, avvocato e poi Notaio. Ma il giovane Ippolito non era soltanto appassionato di poesia e letteratura: era anche un giovane che sognava l’Italia vista da Mazzini: e tra il 1848 e il 1860 questo era un problema, perché gli austriaci, contro i mazziniani, andavano pesante.

Tra il 1857 e il 1859 sembrava che gli spiriti rivoluzionari non gli interessassero più. Invece nel 1860 quanto gli raccontano della prossima spedizione di Garibaldi in Sicilia…

La vita giovanile di Ippolito Nievo è stata una continuo vagare tra Veneto, Lombardia e Toscana. Suo padre cercava di tenerlo lontano dai focolai ‘rivoluzionari’: ma lui, il giovane Ippolito, ‘sti focolai per l’Italia repubblicana li trovava sempre: e trovava sempre giornali dove esprimere le sue idee che agli austriaci non piacevano affatto. Nel 1856 scrisse un racconto piuttosto pesante e si beccò una denuncia per vilipendio. Poiché l’anno prima si era laureato in Legge, si difese da sé. Nel 1857 la famiglia di Ippolito Nievo era felice: pensavano che finalmente il figlio avesse messo da parte i bollenti spiriti mazziniani. In effetti così sembrava. Il giovane Nievo si era ritirato a Colleredo perché aveva deciso di scrivere quello che sarà il romanzo che, dopo la sua morte, lo avrebbe reso famoso. Il titolo del romanzo l’abbiamo già citato: Le confessioni di un italiano. Insomma, sembrava cosa fatta. Ma… Ma nella Primavera 1860 si diffonde la voce che Giuseppe Garibaldi sta preparando una grande operazione militare: la conquista della Sicilia, detta anche Impresa dei Mille. E che fa Ippolito? Molla tutto: letteratura, poesia, avvocatura, persino il grande amore della sua vita, Bice Melzi d’Eril, e si imbarca a Quarto con i Mille, numero 690 dell’elenco.

Gli inglesi, i veri protagonisti dell’impresa dei mille

Qui inizia l’avventura siciliana di Ippolito Nievo, che sarà anche la sua ultima avventura. L’impresa dei Mille, è noto, fu voluta dall’Inghilterra, che considerava il Mediterraneo un “Grande lago inglese”. Gli inglesi avevano una flotta militare importante, se non unica in Europa: e lo facevano pesare. Nel 1860 erano già iniziati i lavori per l’apertura del Canale di Suez, che sarebbe stato inaugurato nel 1869. Gli inglesi volevano il monopolio delle attività commerciali che si sarebbero sviluppate con l’apertura del Canale di Suez. E il Regno delle Due Sicilie agli occhi degli inglesi era un problema, perché era uno Stato che avrebbe esercitato le attività commerciali facendo ombra all’Inghilterra. Tra l’altro, negli anni precedenti i rapporti tra inglesi e Regno delle Due Sicilie si erano deteriorati. Agli inglesi serviva lo zolfo per le navi da guerra: e avevano deciso di piombare in Sicilia dove operavano tante miniere di zolfo. Re Ferdinando di Borbone non era molto contento d’avere in Sicilia gli inglesi, che si erano già acquartierati nell’Isola alcuni decenni prima con la scusa di valorizzare il vino Marsala. E divenne molto scontento quando venne a sapere che, con una scorretta politica dei prezzi – in pratica con la prepotenza – gli inglesi stavano mandando sul lastrico i proprietari delle miniere di zolfo della Sicilia. Ci fu uno scontro sullo zolfo siciliano e gli inglesi se la legarono al dito.

Grande persona per bene e intellettualmente onesto, Ippolito Nievo, sulla presenza di Garibaldi in Sicilia aveva capito tutto: e forse è lì la possibile spiegazione della sua misteriosa morte 

Il 5 Maggio del 1860 Ippolito Nievo si imbarca a Quarto, sulla nave ‘Lombardo’, insieme con altri garibaldini tra i quali spiccavano Cesare Abba, che era l’agiografo dell’Impresa del Mille, e Nino Bixio, che invece era un personaggio che aveva in odio siciliani e meridionali. Va detto – anche per entrare subito in tema – che Ippolito Nievo, oltre che scrittore e avvocato, era anche un grande idealista e, di conseguenza, una grande persona per bene. Cosa, questa, che non dispiaceva a Garibaldi, che aveva avuto modo di conoscere il giovane Nievo un anno prima, nella Seconda guerra d’Indipendenza. A differenza di Abba, che scriveva su commissione e spesso era costretto a inventarsi le cose, Ippolito Nievo scriveva lettere dal fronte siciliano raccontando ciò che vedeva. Giuseppe ‘Pippo’ Scianò, nel suo libro che vi consigliamo di leggere – … e nel Maggio del 1860 la Sicilia diventò colonia – cita alcuni passi delle lettere di Nievo che vale la pena di leggere, anche per comprendere l’onestà intellettuale del personaggio. Mentre al mondo gli inglesi – maestri insuperabili nell’arte delle mistificazione storica – facevano sapere che in Sicilia, con l’arrivo di Garibaldi e dei Mille, erano in corso rivoluzioni popolari contro il Borbone e feste grandi in favore dei garibaldini, Ippolito Nievo annotava: “La rivoluzione era sedata dappertutto o, per dir meglio, non avea (sic!) esistito: solo qualche banda di semi-briganti, che qui chiamano squadre, avevano battuto e battevano ancora qualche provincia dell’interno con molta indifferenza del Governo e qualche paura dei proprietari”. Le bande che “battevano ancora qualche provincia” erano i picciotti di mafia alleati di Garibaldi. Commenta Scianò: “Un giudizio, questo, sferzante, quanto mai veritiero ed in controtendenza rispetto al guazzabuglio di versioni ufficiali e non”. Lo storico inglese Denis Mack Smith cerca di giustificare Nievo dicendo che “vedeva le cose da settentrionale”. Commenta ancora Scianò: “Non ci pare, quella dello storico Denis Mack Smith, un’espressione felice in generale. Ed in particolare per il Nievo. Costui era, sì, un settentrionale, ma (a prescindere dalla considerazione che la diversità etnica non ha niente a che vedere con i fatti) ciò non significa che il grande scrittore non avesse capito meglio di tanti Meridionali e di tanti Siciliani e – ci sia consentito – di tanti altri Settentrionali e di tanti Inglesi, di che pasta fosse fatta la maggioranza degli eroi Garibaldini e dei picciotti di mafia che a questi si aggregavano. Insomma Nievo parla”. Per le sue qualità, per la sua rettitudine e per volere di Garibaldi il giovane Nievo era stato nominato intendente ed ispettore. Ricordiamo che era sempre un avvocato e dava grandi garanzie. Durante l’avanzata dei garibaldini in Sicilia, presso il comando della spedizione entrava parecchio denaro. Nievo doveva rendicontare entrate e uscite.

Il naufragio della nave Ercole

A questo punto diamo la parola di nuovo a Giuseppe Scianò: “Il Nievo è quindi un testimone di grande prestigio e soprattutto molto sincero, attendibile. Ancorquando unitario ad ogni costo. Ed è un uomo che ha amato molto la verità. Ancora oggi in Sicilia si sospetta che la sua morte non sia stata accidentale; si ritiene che «qualcuno», potente e compromesso, avesse avuto interesse a far fuori il Nievo per impedirgli di denunziare brogli ed ammanchi che, nella sua qualità di intendente e di ispettore, avrebbe scoperto nell’Amministrazione «unitaria ed italiana», non più Duosiciliana, quindi, in Sicilia. Infatti, dopo aver eseguito diligentemente l’ordine di raccogliere i documenti contabili (riteniamo scottanti) sui quali aveva indagato, per portarli a Torino (in quel periodo capitale del Regno d’Italia), il grande scrittore lasciò la Sicilia diretto a Napoli sul vecchio piroscafo ‘Ercole’ il 4 marzo 1861. Si può affermare soltanto che il piroscafo non arrivò mai a destinazione e che, del Nievo, non si ebbe più notizia. Né si conobbero mai con esattezza le vere cause del naufragio del vapore di Napoli (come veniva chiamato). Non sopravvisse nessuno. Ippolito Nievo, al momento della morte, aveva appena trent’anni”.

La morte di Ippolito Nievo apre la lunga stagione dei misteri italiani che arriva fino ai nostri giorni

Chi volesse approfondire la storia non ancora del tutto chiarita di Ippolito Nievo può leggere due libri che segnaliamo: “Il caso Nievo” di Lucio Zinna e “Per l’onore di Garibaldi” di Fausta Samaritani. Noi concludiamo il nostro piccolo ‘viaggio’ attorno al mistero del grande scrittore scomparso ancora Giuseppe Scianò: “Sulla tragedia – scrive Scianò – si hanno solo due certezze: la prima è che il Nievo aveva con sé un’enorme quantità di documenti che provavano gli imbrogli che egli stesso aveva scoperto, ad iniziare dai prelievi che i Garibaldini avevano effettuato a man bassa alla Tesoreria dello Stato delle Due Sicilie a Palermo; l’altra è costituita dal fatto che del piroscafo Ercole fino ad oggi non sono stati mai rinvenuti relitti, neppure parziali. In pratica non si è mai avuta la certezza che la causa della scomparsa della nave fosse da attribuire ad un naufragio, ad un incendio accidentale oppure ad un attentato…”. Un secolo dopo un discendente del grande scrittore, Stanislao Nievo, scrive un romanzo sulla morte del suo celebre avo. Il romanzo s’intitola “Il prato in fondo al mare”, Mondadori editore, anno di pubblicazione 1974. Stanislao Nievo scrive senza mezzi termini di un attentato per coprire i finanziatori internazionali dell’Impresa dei Mille, Inglesi in testa. Cesare Garboli, nella prefazione al libro di Stanislao Nievo, scrive di “una sospetta strage di Stato italiana, maturata dalla Destra e decisa dal potere piemontese per liquidare la Sinistra garibaldina: ‘strage’ con la quale si sarebbe aperta la storia dell’Italia unita”. Da allora, in Italia, di stragi e di misteri mai chiariti ce ne sarebbero stati tanti. Forse troppi.

Foto tratta da Alta Terra di Lavoro 

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