Annata amara per il grano duro siciliano: basse rese, costi di produzione elevati e prezzi insufficienti/ MATTINALE 688

3 luglio 2022
  • In condizioni normali, 53 euro per un quintale di grano duro – questo il prezzo attuale in Sicilia – sarebbe un buon prezzo. Ma la situazione non è normale: con le basse rese e con costi di produzione alle stelle, con 53 euro al quintale si lavora in perdita!
  • Impossibile, per gli agricoltori, reggere l’urto dell’aumento dei costi di produzione, tra costi delle sementi (raddoppiato), costo dei fertilizzanti (più che raddoppiato) e gasolio agricolo
  • In tutto in uno scenario internazionale che rimane ribassista
  • Servono interventi concreti da parte della Ue, degli Stati e delle Regioni

In condizioni normali, 53 euro per un quintale di grano duro – questo il prezzo attuale in Sicilia – sarebbe un buon prezzo. Ma la situazione non è normale: con le basse rese e con costi di produzione alle stelle, con 53 euro al quintale si lavora in perdita!

Annata complicata per il grano duro del Sud Italia e della Sicilia. Lo scenario internazionale è ‘ribassista’. In questo giocano fattori che non è facile controllare. Ma la realtà che si vive in questo periodo – la realtà degli agricoltori del Mezzogiorno d’Italia che stanno completando la trebbiatura – è tutt’altro che semplice. Intanto c’è una riduzione della produzione. In questa fase si fanno solo delle stime, ovvero ipotesi. Con riferimento alla nostra Isola, ad esempio, ci si aspettavano problemi legati alla siccità più accentuati nella pare orientale della Sicilia; invece purtroppo la siccità ha colpito e continua a colpire tutto il territorio siciliano, dove più, dove meno. Abbiamo raccolto la testimonianza di nostri aminici agricoltori che operano nell’entroterra della Sicilia, zona d’elezione per la coltivazione del grano duro. Ebbene, li abbiamo sentiti dopo la trebbiatura e le notizie che ci arrivano sono sconfortanti. Nella migliore delle ipotesi, si arriva a un resa di 30 quintali di grano duro per ettaro, anche se la media, quest’anno, non supera i 20-25 quintali per ettaro. E non mancano aree con rese da 15 quintali di grano duro per ettaro. Insomma, nell’entroterra della Sicilia la riduzione della produzione di grano duro oscilla fra il 30 e il 50%. Ribadiamo: per ora sono stime, ma il racconto che viene fuori è questo: ed è un racconto amaro. Lo stesso discorso vale per la Puglia, dove la riduzione della produzione è notevole.

Impossibile, per gli agricoltori, reggere l’urto dell’aumento dei costi di produzione, tra costi delle sementi (raddoppiato), costo dei fertilizzanti (più che raddoppiato) e gasolio agricolo

Basse produzioni e prezzi elevati, direbbe qualcuno. Il fatto che un quintale di grano duro, in Sicilia, venga pagato 53 euro (meno di quanto avviene in Puglia, dove il prezzo oscilla rea 56 e 57 euro al quintale, con punte di 60) significa poco. Perché? Perché, contemporaneamente, sono cresciuti a dismisura i costi di produzione. E’ cresciuto il costo delle sementi (quasi raddoppiato). E’ cresciuto il costo dei fertilizzanti (più che raddoppiato). Ed è cresciuto il costo delle lavorazioni agricole (leggere costo del gasolio agricolo). Insomma, il costo della mietitrebbiatura, oggi, è raddoppiato. Fatta questa breve disamina non è difficile capire che 53 euro per un quintale di grano duro sono ben poca cosa rispetto ai sacrifici che gli agricoltori hanno dovuto sostenere durante l’anno. Tra l’altro – chi ha un po’ di memoria lo ricorderà – lo scorso Autunno siciliano è stato insolitamente piovoso e le semine sono state ritardate (in molte aree della Sicilia la semina è stata effettuata addirittura a Gennaio, con i terreni bagnati, con problemi tecnici enormi e, ovviamente, costi maggiorati).

In tutto in uno scenario internazionale che rimane ribassista

Oggi arriva il primo consuntivo, piuttosto amaro: basse produzioni e prezzo tutt’altro che remunerativo per il grano duro rispetto ai costi di produzione sostenuti. E se lo scenario internazionale ci consegna una realtà dove la siccità ridurrà produzione di grano in tante aree del mondo (Europa, Sud America, India, Canada, Stati Uniti d’America, Ucraina e clima siccitoso anche in qualche area della Russia), non è detto che l’andamento del mercato si adegui immediatamente alla realtà, peraltro ancora in divenire. Oggi, come già accennato, c’è una tendenza ribassista che può dipendere da tanti fattori: le scorte, i grandi interessi commerciali che stanno dietro il mercato mondiale del grano, l’atteggiamento dei grandi Paesi come la Cina che acquistando o non acquistando grano influenzano il prezzo in modo sensibile. Per dirla in una parola, chi ha il grano deve fare i conti con l’attuale tendenza ribassista. Di dare consigli, ebbene, non se ne parla, perché lo scenario è veramente complicato. Ovviamente, chi ha bisogno di realizzare subito – perché per produrre grano duro ha sostenuto dei costi e, magari, si è anche indebitato – deve vendere almeno una parte della produzione. Stoccare una parte della produzione in attesa che il prezzo cresca? Dovrebbe essere così, però non bisogna fidarsi molto dell’andamento del mercato che può riservare sempre sorprese. Quello che invece ci sentiamo di dire, senza problemi, è che in questa fase storica servirebbe un aiuto concreto da parte della mano pubblica. Se è vero che l’Unione europea ha trascurato la propria autonomia alimentare (non soltanto per il grano, ma anche per la soia e per il mais), è anche vero che questo è il momento – per la Ue, per gli Stati e per le Regioni – di dimostrare vicinanza concreta agli agricoltori.

Servono interventi concreti da parte della Ue, degli Stati e delle Regioni

Al di là delle rivisitazione, oggi più che mai necessaria, del Primo Pilastro della PAC (che oggi sfavorisce Sud e Sicilia in modo smaccato!), servono interventi diretti e concreti: aiuti per la semina con l’abbattimento dei costi; aiuti per le lavorazioni agricole; aiuti per l’acquisto dei fertilizzanti e, in generale, sostegni agli agricoltori con interventi sulle cambiali agrarie e, in generale, sull’indebitamento delle aziende. Serve a poco scoprire, nel 2022 – come ha fatto l’Unione europea – che tanti seminativi sono stati abbandonati. Invitare gli agricoltori a seminare più grano senza aiutarli concretamente è esercizio di pura retorica. Affidarsi solo al mercato – la ‘certezza’ che tra sei-otto mesi il prezzo del grano crescerà – può essere rischioso, perché non sempre gli interessi dei commercianti coincidono con gli interessi degli agricoltori. Servono, lo ribadiamo, interventi concreti che Unione europea, Stati e Regioni debbono cominciare a mettere nel conto se si vuole salvaguardare l’agricoltura. Bisogna prendere esempio dagli Stati Uniti e dalla Russia, dove i Governi intervengono in favore degli agricoltori senza se e senza ma.

 

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