La crisi delle marinerie: la denuncia dell’Associazione Armatori Siciliani (che è un’inchiesta sul mondo della pesca)

8 giugno 2022
  • Il blocco delle attività di pesca è una delle tante testimonianze del fallimento del Governo di Mario Draghi e dei partiti che lo sostengono 
  • Non condividiamo le tesi della Federazione Armatori Siciliani sulla guerra in Ucraina
  • Le ragioni della crisi della pesca
  • L’incompetenza di chi governa 
  • Con il costo del carburante triplicato la pesca rischia di scomparire
  • I pescherecci italiani non possono pescare nel mare libico e tunisino. ” Di contro, in Italia si consente ai pescherecci Tunisini e Libici di venire a pescare a casa nostra indisturbati, rimanendo gli organi competenti orbi, surdi e muti”.  
  • Le proposte per uscire dalla crisi 

Il blocco delle attività di pesca è una delle tante testimonianze del fallimento del Governo di Mario Draghi e dei partiti che lo sostengono 

C’è una categoria che si sta ribellando contro il Governo di Mario Draghi che, piano piano, sta affossando l’Italia. E’ la categoria dei pescatori. Ne abbiamo già scritto qualche giorno fa: il costo del gasolio è diventato insostenibile per chi esercita l’attività di pesca con i motopescherecci. Da qui la decisione di iniziare la protesta. “La Federazione Armatori Siciliani – leggiamo in un comunicato – ritiene che è giunta l’ora di dire basta al mal governo, dove di onorevole è rimasto solo l’aggettivo, riteniamo di essere stanchi di una classe politica che annuncia, pubblicizza, taglia i nastri, brava a propagandare, ma che non ha capacità attuativa e la consapevolezza dei compiti a loro assegnati nell’adempimento del mandato ricevuto, non considerando e valutando le problematiche di chi li ha eletti a rappresentare. Analizzando le insensate scelte della Comunità Europea sui fermi biologici, accettando la avvenuta crisi derivante dalla pandemia da Covid 19, non ultimo, la scellerata guerra che ha fatto traballare il mondo e il settore delle flotte dei pescherecci italiani e siciliani”. A questo punto arriva una serie di giudizi affrettati: “Una Guerra scellerata e non dichiarata di una Russia totalitarista e nazista, che occupa uno Stato sovrano bombardando e massacrando esclusivamente la popolazione civile per estinguere gli aventi diritto e impossessarsi di ciò che non gli appartiene”.

Non condividiamo le tesi della Federazione Armatori Siciliani sulla guerra in Ucraina

Il nostro è un blog democratico e pubblichiamo tutto, ma ovviamente ci riserviamo di commentare. Con molta probabilità, gli amici della Federazione Armatori Siciliani non sanno che i nazisti stanno dall’altra parte! Dopo di che, tutto si può dire dell’Ucraina, tranne che sia uno Stato sovrano: non lo era quando c’era il comunismo sovietico, non lo era nemmeno prima del colpo di Stato americano del 2014, perché la Russia di Putin non è un Paese dove vige la democrazia. Ma l’Ucraina, Stato sovrano non lo è nemmeno oggi, se è vero che lì comandano gli Stati Uniti d’America. Proprio ieri abbiamo scoperto che il “grano ucraino bloccato nei porti ucraini” non è affatto ucraino: è grano di proprietà delle multinazionali che in Ucraina fanno quello che vogliono, altro che Stato sovrano! Fatta queste precisazioni doverose – visto che noi seguiamo la guerra in Ucraina da quando è esplosa – riprendiamo con il comunicato della Federazione degli Armatori Siciliani: “Di contro, le scelte politiche occidentali sono mirate a restare a guardare, misurando le armi alla resistenza Ucraina per evitare di colpire concretamente il tiranno.
Le stesse scellerate politiche, colpiscono il settore della pesca e la filiera, mettono in ginocchio gli armatori e i pescatori siciliani e italiani, colpiscono i giusti e tutelano i rei. Le considerazioni scellerate attuate dalla comunità europea (che poi non è la comunità europea, ma l’Unione europea ndr) che applica restrizioni, queste basate su calcoli matematici utilizzando fattori infondati, quindi totalmente scostati dalla realtà, hanno visto ridurre le flotte dei pescherecci siciliani di oltre la metà. Un dato inconfutabile che per coloro che dovrebbero occuparsi di politica seria, dovrebbe fare squillare una sirena d’allarme e saltare dalla sedia”.

Le ragioni della crisi della pesca

In questo comunicato c’è un po’ di confusione. Sicuramente la guerra in Ucraina crea problemi, ma non crediamo che la crisi del mondo della pesca sia nata ora. la crisi della pesca nel Mediterraneo va avanti da anni ed è dovuta a vari fattori. In primo luogo all’eccessivo sforzo di pesca, esercitato soprattutto dai motopescherecci. Le reti a strascico delle ‘Paranze’ non sono un toccasana per i fondali marini e non aveva tutti i torti l’ormai scomparso leader della Libia, Gheddafi, quando decise di precludere ai motopescherecci un ampio tratto di mare. Violava il diritto internazionale? Sì, ma ha tutelato un ampio tratto del Mediterraneo, piaccia o no. Un altro elemento he ha determinato la crisi della pesca è l’Unione europea, o meglio le cervellotiche direttive Ue, spesso irrazionali, come il divieto di certe attrezzature di pesca, come se il Mediterraneo fosse tutto europeo! Il risultato è che i pescatori dell’Europa mediterranea non possono utilizzare certi attrezzi di pesca, che vengono invece utilizzati da altri Paesi non europei che si affacciano nel Mediterraneo e che, magari, poi esportano il pescato in Italia! Sono le decisioni balorde di un’Unione europea dalla quale l’Italia dovrebbe chiamarsi fuori. Poi ci sono le quote di Tonno Rosso del Mediterraneo che favoriscono le multinazionali che vendono il Tonno Rosso in Giappone. E’ in questo scenario che si è inserito il caro-gasolio problema che, se non affrontato, determinerà non soltanto la fine della pesca, ma la fine dell’economia italiana che dipende dai trasporti su gomma.

L’incompetenza di chi governa 

Tornando al comunicato della Federazione Armatori Siciliani leggiamo ancora: “Il dilemma è cosa sta succedendo nel mondo reale ad un settore fondamentale e trainante di questa nazione, cosa hanno prodotto le scelte della politica europea, nazionale, regionale. Si pone rimedio o si continua a rimanere inermi ad assistere al baratro annunciato per le attività propulsori e trainanti di questa nazione? L’errore fondamentale” è che “il trasferimento degli ordini impartiti da Bruxelles” viene meditato “da chi ha competenza e pensa ai propri interessi nazionali, diversamente dalle nostre inesistenti competenze, che si limitano a recepire e attuare i comandi impartiti da Bruxelles, per trasferirle alle Regioni che, nella stessa massima incompetenza, applicano il massacro del settore della marineria locale. Il dramma è nella consapevolezza che la poltrona, in ogni caso, garantisce loro un intoccabile stipendio”. Il riferimento dovrebbe essere a chi applica le direttive europee. Sono soggetti “che rifiutano il confronto con chi dipana il lavoro reale nel mondo della pesca, tramutando e camuffando l’imposizione catastrofica in paralisi e annientamento del settore. Per restituire dignità alle marinerie e a tutti i settori trainanti di questa nazione bisogna invertire i fattori, la politica deve tradurre le problematiche degli operatori che vivono in mare, per trovare le soluzioni attuative per muovere la ‘macchina’ regionale che, a sua volta, deve avere il
compito di fare recepire le soluzioni al governo nazionale, per proiettarle a Bruxelles. Questo oggi è lo specchio inverso, è la politica che porta le imposizioni al mondo della pesca, in quanto chi sta seduto nella poltrona di comando è stato generato dalla stessa politica che sceglie i propri adepti a sua immagine e somiglianza, tanto è che abbiamo le persone giuste nelle poltrone sbagliate, di fatto è giustificata la mancanza di competenza e professionalità al riguardo del ruolo da
svolgere”.

Con il costo del carburante triplicato la pesca rischia di scomparire

La Federazione Armatori Siciliani non risparmia critiche a chi si trova ai posti di comando”,  persone “i cui titoli di studio” nulla hanno a che vedere “con il settore in cui devono esprimere le proprie competenze. Il guaio e che mentre questi sono seduti nelle poltrone di comando, asseverano e rappresentano l’attività di chi giornalmente lavora, rischia e suda in mare per garantire un sostentamento economico per le proprie famiglie”.  Insomma, questo il ‘succo’, chi oggi comanda in Italia non conosce il mondo della pesca. “L’insieme dei fattori determinati da imposizioni e direttive inappropriate, totalmente scostate dalla realtà quotidiana, nonché, la pandemia e la guerra – si legge sempre nel comunicato – ha determinato l’ultimo scossone per la caduta libera nel baratro delle attività del settore della pesca di questa nazione”, con una politica che non si rende conto “che i problemi intaccano tutti i settori trainanti di questo Paese”. Una “politica ingorda e miope” che “non riesce a programmare, pianificare, progettare e attuare per consentire ai cittadini di pagare le tasse”. A questo punto la denuncia pesante: “Oggi, il caro gasolio cola a picco tutte le flotte del settore della pesca, affonda consapevolmente le attività, mentre la politica si accorge che il costo dei carburanti sale, non si accorge che l’aumento scellerato è avvenuto quando ancora i serbatoi di stoccaggio erano pieni e saturi di scorte e pertanto operazioni vengono perpetrate sempre da affaristi intenti a trasformare ogni evento in un loro ritorno economico rubando dalle tasche dei cittadini. Allo stesso modo non si accorge che se il costo dei barili rimane nella media, i costi aumentano in modo sproporzionato. Nella considerazione che il settore era già in ginocchio, si è consentito al prezzo del gasolio di schizzare tre volte il vecchio prezzo, passando da 0,40 € all’attuale 1,20 € al litro. Volendo fare i conti in tasca ad un peschereccio d’altura, che è costretto a rimanere, nel migliore dei casi, una settimana in mare, con un consumo di carburante di circa 1600 litri al giorno, per una battuta di pesca ci vogliono 13.400 € di carburante. L’armatore deve mantenere il peschereccio nei corretti parametri di manutenzione, pagare l’assicurazione e le tasse, deve tenere in sicurezza l’imbarcazione, deve pagare le multe” e rischia “di fare rientro a casa in posizione orizzontale se degli scellerati pirati ti sparano addosso”.

I pescherecci italiani non possono pescare nel mare libico e tunisino. ” Di contro, in Italia si consente ai pescherecci Tunisini e Libici di venire a pescare a casa nostra indisturbati, rimanendo gli organi competenti orbi, surdi e muti”.  

“Non serve certo la laurea – prosegue il comunicato – per comprendere che non conviene certo accendere i motori dei pescherecci, in quanto rimangono solo le perdite che ad oggi divengono di fatto catastrofiche e inaccettabili, e che queste hanno necessità di una regolamentazione intenta a fermare la speculazione. Se a questo aggiungiamo il fantallegorico fermo pesca, le giornate di blocco dettato dalle condizioni atmosferiche, le quote di pescato”, gli armatori e pescatori debbono decidere se andare “in mare consapevoli di rimetterci di tasca propria per far vedere di esserci ma non contare nulla, oppure attuare l’unica scelta sensata: mettere in disarmo i pescherecci. Il disarmo delle flotte negli ultimi anni è stato sempre più crescente e questo ha determinato nelle teste degli incompetenti che il pescato è diminuito perché il fatturato è sceso e se questo è avvenuto è perché la fauna marina autoctona a loro dire è diminuita. Non comprendono che se il fatturato è crollato, i mali risiedono esclusivamente nell’incompetenza di chi ha il privilegio di restare seduto su una poltrona” non conoscendo affatto “come ci si sporca le mani lavorando dignitosamente per portare a casa un tozzo di pane duro per sfamare la propria prole”, mentre la politica “non si rende conto che è crollato il fatturato perché in mare non ci sono più i pescherecci di qualche anno addietro e, quindi, meno attività e meno pescato. La scelleratezza politica ha consentito il ritorno al periodo dei ‘Malavoglia’: da Acitrezza si inizia e ad Acitrezza si torna. Dopo avere distrutto la flotta mazzarese, la più grande concentrazione
di flotte del Mediterraneo, si sta riportando la marineria locale alle sue origini, dove l’unica soluzione attuabile è mandare in disarmo le nostre marinerie. Se a questo aggiungiamo gli atti di pirateria, senza che la politica sappia far valere le regole scritte che tutti hanno l’obbligo di rispettare. Di contro, in Italia si consente ai pescherecci Tunisini e Libici di venire a pescare a casa nostra indisturbati, rimanendo gli organi competenti orbi, surdi e muti. La Federazione Armatori Siciliani si è prodigata a seguito dell’atto di pirateria nei confronti dei 18 pescatori di Mazzara, oggi si reitera l’atto di pirateria che ha intaccato direttamente la nostra
Federazione Armatori Siciliani, il Salvatore Mercurio e il Luigi Primo della famiglia Suaria, mitragliati in acque internazionali dalle navi italiane regalate ai Libici”. Cosa, questa, che viene definita una “minchiata”. Oggi il caro gasolio sta determinando il crollo della nazione e lo sfascio della politica europea, nazionale e regionale, non si rendono conto di creare e generare esclusivamente problemi, sottosviluppo e programmato impoverimento”.

Le proposte per uscire dalla crisi 

Quindi si arriva ai giorni nostri: “Da ciò, si è reso necessario attuare l’iniziativa di scioperare, fermare le marinerie locali e mostrare l’azione corretta per dare e manifestare in maniera chiara la propria voce e il disappunto su scelte politiche che hanno imboccato una strada che ha incanalato la nazione al collasso e a cui una
politica seria deve trovare soluzioni e risposte concrete. L’iniziativa della Federazione Armatori Siciliani ha fatto registrare una grande affluenza di partecipazione, dando alla politica un segnale di compattezza da parte di tutte le marinerie siciliane, al fine di ottenere una reale presa di coscienza sull’operato della politica europea, nazionale e regionale, ma soprattutto, un segnale chiaro e forte, ai deputati siciliani regionali e nazionali ed agli uffici regionali competenti, di attivarsi e interfacciarsi nella risoluzione della problematica, di aprire tavoli di trattativa con Bruxelles, sfruttando ed utilizzando i fondi europei che attualmente sono
destinati a progetti inutili e spesso mai realizzati o mal realizzati. Con l’augurio di ottenere risposte e soluzioni concrete, a breve termine, onde evitare che lo
sciopero si protragga a lungo, paralizzando la nazione è arrecando ulteriori danni ai cittadini utenti. Chiediamo l’attuazione dei tavoli di trattativa per trovare la soluzione che consente di livellare il costo del carburante per le marinerie a 60 centesimi al litro e che l’importo eccedente sia a carico dei governi regionali, nazionali e della comunità europea, al fine di venire incontro alle marinerie che malgrado ciò, si vedono costretti a forzare la mano per bloccare ed evitare questa discesa libera nel baratro che vede il settore della pesca estinguersi. Per quanto sopra è chiaro che le commissioni della pesca, i fondi FLAG, GAG, gli studi e le risorse destinate alla pesca non sono servite a nulla, contribuendo al baratro di un settore trainante di questa nazione.
E’ emerso un fatto inconfutabile, l’assemblea scesa in piazza a manifestare le proprie volontà e ragioni, in assenza di risoluzione alle problematiche scaturite nel malcontento popolare, ha già preso posizione di continuare l’azione del blocco delle marinerie, protraendo la protesta nel rifiuto di andare a votare e/o consegnando scheda bianca alle prossime votazioni regionali e nazionali. Alla nostra iniziativa si sono uniti anche le associazioni di agricoltori e allevatori autonomi non legate alle associazioni storiche e tutti insieme, perseverare un cammino di protesta per vedere restituire dignità a tutti i lavoratori e a tutti i cittadini.

Foto tratta da La Sicilia

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