Nuovo crollo della produzione mondiale di grano tra neve nel Nord America e gelate in Francia. Parla Mario Pagliaro

23 aprile 2022
  • Il clima continua a fare i capricci è crea problemi nel Nord America e in Francia. Così racconta Mario Pagliaro, chimico del CNR e appassionato di climatologia e agricoltura che è stato invitato dai produttori di Foggia a presentare i risultati delle sue analisi sull’andamento del mercato del grano 
  • Inevitabile la riduzione di produzione del grano duro nel mondo con contestuale aumento dei prezzi 
  • Perché il grano duro siciliano e meridionale è diventato strategico  

Tutte le volte che intervistiamo sul grano Mario Pagliaro – chimico del CNR e appassionato di climatologia e agricoltura – i nostri articoli sono molto seguiti. Ed è anche logico: in solitudine, tre anni fa ha previsto l’aumento del prezzo del grano duro, che è passato da 18-20 euro al quintale a 50 euro al quintale. E infatti una delle maggiori organizzazioni dei produttori agricoli ha invitato Mario Pagliaro a presentare i risultati delle sue analisi agli agricoltori del Foggiano, nella Capitanata, la ‘capitale’ del grano italiano. L’intervento si terrà fra una decina di giorni, e noi lo seguiremo. Ora, a poche settimane dal raccolto di grano di Giugno, siamo tornati a intervistare Pagliaro per fare il punto della situazione del grano nel mondo. Da appassionato di climatologia, Pagliaro sa quale potrebbe l’andamento della produzione di grano.

Della Russia e del conflitto ormai leggiamo ovunque. Qual è invece la situazione negli Stati Uniti e in Canada, da dove fino a pochi anni fa arrivava gran parte del grano duro importato in Italia?

“Il Nord Dakota e molti altri Stati delle grandi pianure americane dove si produce quasi tutto il grano nordamericano sono sotto la neve. Quella in corso in queste ore è la terza grande nevicata del mese di Aprile (https://www.msn.com/en-us/weather/topstories/blizzard-warnings-issued-as-snow-looms-for-northern-plains/ar-AAWuXXm). E’ il terzo anno che forti e tardive ondate di gelo colpiscono le regioni centrali degli Stati Uniti, con ovvie conseguenze per le colture, in particolare per quelle di grano. Ricordiamo che il grano, e il grano duro in particolare, è una pianta erbacea che cresce bene in regioni caratterizzate da clima mite, con inverni non molto freddi, come in Sicilia, il Sud Italia, alcune aree del Nord Africa o del Medio Oriente”.

INEVITABILE UNA RIDUZIONE DELLA PRODUZIONE MONDIALE DI GRANO E UN AUMENTO DEL PREZZO 

Quindi è verosimile che il flusso di grano dal Nord America si ridurrà ulteriormente. Questo dovrebbe causare un ulteriore aumento dei prezzi. E’ così?

“E’ così. E vi aggiunga che anche la produzione europea, in particolare quella della Francia colpita da continue gelate ancora nei giorni scorsi, subirà un’ulteriore riduzione”.

La situazione precipita, dunque. Si va veramente verso il razionamento?

“E’ inevitabile. L’Egitto, la cui enorme popolazione è letteralmente nutrita dal grano dei Paesi della ex URSS, ha grano fino a Settembre (https://www.rfi.fr/en/africa/20220421-grain-shortfall-from-ukraine-war-exacerbates-food-insecurity-in-africa). L’Algeria il mese scorso ha vietato l’esportazione di prodotti alimentari, in particolare di qualsiasi farinaceo (https://africa.cgtn.com/2022/03/14/algeria-bans-export-of-basic-foods-due-to-worries-of-shortages/). In Tunisia la situazione è già difficile (https://towardfreedom.org/story/archives/africa-archives/how-the-global-wheat-shortage-looks-in-tunisia-during-ramadan/). La Russia aumenterà le esportazioni fino al limite massimo che ne garantisca però la piena sicurezza alimentare. L’India farà la stesso. Ma, a differenza di Ucraina e Russia, il subcontinente indiano ha oltre 1 miliardo di abitanti da nutrire. Per cui la quota indiana di grano destinato all’export non sarà mai tale da poter sostituire il contributo dei Paesi ex URSS”.

E in Italia: come farà l’industria della pasta a sostituire la quota di grano duro garantita dalla produzione nordamericana?

“Non potrà sostituirla. L’Italia fino a pochi anni fa importava più del 50% del grano tenero e il 40% del proprio fabbisogno di grano duro (https://ilfattoalimentare.it/grano-pasta-andrea-villani.html). La metà della produzione nazionale di pasta è esportata in tutto il mondo. Se le importazioni di grano duro nordamericano dovessero crollare, all’industria italiana della pasta resterebbero come unico fornitore di grano duro le produzioni di Puglia, Sicilia e Calabria”.

PERCHE’ IL GRANO DURO SICILIANO E’ DIVENTATO STRATEGICO 

E’ per questo che lei ha sempre affermato che quella del grano in Sicilia è una questione strategica?

“Non solo per questo. L’industria della pasta è una parte essenziale dell’industria alimentare italiana. Ed è ovvio che i produttori ormai guardino alla Sicilia come la regione dove trovare il grano duro necessario ai loro impianti, specie considerando l’enorme potenziale di crescita della cerealicoltura in Sicilia, molto maggiore di quello possibile in Puglia. Adesso invece parliamo di una carenza di grano che riguarda anche il grano tenero. Che sta già mettendo in crisi l’intera industria alimentare italiana (come potete leggere qui).

Ma se il 50% del grano tenero era importato ed ora non arriverà più grano dai Paesi dell’ex Unione Sovietica, è inevitabile che il razionamento tocchi pure all’Italia. O sbagliamo?

“Non sbagliate, perché la quota del 50% del fabbisogno di grano tenero importato era vera dieci anni fa. Oggi l’Italia ha un fabbisogno annuo di 5,5 milioni di tonnellate di grano tenero che al 65% è coperto da grano importato. In queste condizioni, non ci sarà quindi razionamento diretto alla popolazione, come in tempo di guerra, ma certamente una drastica riduzione delle produzioni alimentari a base di farina. Con un ulteriore inevitabile aumento dei prezzi di tutti i farinacei, incluso il pane. La notizia non ha ricevuto l’attenzione che meritava, ma l’Ungheria il 5 Marzo ha vietato con effetto immediato l’esportazione di grano. L’Ungheria è un Paese comunitario e, stando ai vari trattati commerciali sul cosiddetto ‘Mercato unico europeo’, non avrebbe potuto farlo. Ma con la guerra ai propri confini, non si pensa ai trattati commerciali, ma alla sicurezza nazionale. In pochi sanno sa che il 30% del grano importato dall’industria italiana della farina è costituito da grano ungherese. Giustamente, l’industria molitoria già un mese fa ha spiegato come la produzione di farina in Italia sia già a rischio (come potete leggere qui)”.

Sbagliamo o la Sicilia da questa drammatica carenza di grano ne esce molto rafforzata?

“Non sbagliate. In questo quadro internazionale, la produzione di grano duro siciliana assume un ruolo nuovo: strategico per la sicurezza alimentare nazionale. Gli agricoltori siciliani devono esserne consapevoli. Saranno sottoposti a pressioni molto forti, sia da chi vorrà acquistarne i terreni dicendogli che l’aumento del costo dei fertilizzanti e del gasolio renderà comunque antieconomiche le loro produzioni, sia dagli intermediari che continueranno a provare ad acquistarne il grano sottocosto, approfittando della loro storica fragilità finanziaria dovuta all’eccessivo frazionamento della produzione. La soluzione è consorziarsi concretamente come i produttori di mele altoatesini, mentre ai produttori più grandi va lanciata la sfida di far crescere, e di molto, le loro produzioni, utilizzando i grandi utili realizzati nel corso degli ultimi due anni per comperare terreno ed ampliare la produzione. Personalmente, sono sicuro che lo faranno”.

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