Il libro di Paolo Mieli che fa giustizia delle menzogne raccontate sul Risorgimento nel Sud e in Sicilia

21 febbraio 2022
  • “La prima trattativa tra Stato e mafia è di centocinquant’anni fa… Dobbiamo eliminare molte menzogne… Chi studia il passato e cerca una conferma a quello che pensava prima è una persona intellettualmente disonesta…” 
  • Sul risorgimento nel Sud e in Sicilia  “una reticenza che dai testi dell’epoca è transitata nelle pagine degli storici”

“La prima trattativa tra Stato e mafia è di centocinquant’anni fa… Dobbiamo eliminare molte menzogne… Chi studia il passato e cerca una conferma a quello che pensava prima è una persona intellettualmente disonesta…” 

“La prima trattativa tra Stato e mafia è di centocinquant’anni fa. Anzi di più. A dicembre del 1861, pochi mesi dopo la morte di Cavour, parlando alla Camera deI Deputati, il parlamentare Angelo Brofferio sostiene che «la maggior parte dei disordini che succedono in Italia è da attribuire a forze della pubblica sicurezza in combutta con bande illegali»… “Pezzi di Stato che «non hanno rossore di trattare con i malviventi»”. Comincia così il secondo capitolo del nuovo libro di Paolo Mieli intitolato In guerra con il passato. Le falsificazioni della storia (Rizzoli, euro20) che in 280 pagine ripercorre eventi storici, non solo italiani, con l’obiettivo di ripulirli da mistificazioni, pregiudizi e strumentalizzazioni. “Per vincere le guerre del presente e del futuro dobbiamo prima regolare un conto bellico con il passato. Dobbiamo eliminare molte menzogne. Ad ogni stagione la politica cerca di tirare la storia dalla sua parte. Ogni storico deve muoversi a smentire la versione che ha già in testa, non deve cercare conferme. Chi studia il passato e cerca una conferma a quello che pensava prima è una persona intellettualmente disonesta… Se vogliamo essere in pace con il passato – dice Mieli – dobbiamo essere disposti a rivedere qualcosa di importante, anche pezzi della memoria collettiva cui siamo legati”.

Sul risorgimento nel Sud e in Sicilia  “una reticenza che dai testi dell’epoca è transitata nelle pagine degli storici”

Mieli, oltre alle dichiarazioni del parlamentare Brofferio, cita anche La mala setta di Francesco Benigno che descrive come “Destra e Sinistra storica (e quest’ultima forse ancora di più della prima) intrattennero rapporti con la malavita organizzata fin dalla fondazione del nostro Stato Unitario. Anzi, Destra e Sinistra quasi incoraggiarono mafia e camorra a trasformarsi in quello che sarebbero diventate un secolo dopo”. La storiografia non ha mai voluto approfondire questi nessi, “una reticenza che dai testi dell’epoca è transitata nelle pagine degli storici”. Mieli aggiunge che di camorristi e mafiosi si parlava già prima del 1861, “si trattava però di malavitosi di infimo rango al servizio di più padroni, la cui attività era confinata nelle carceri e nei quartieri più malfamati delle città meridionali. Nella Palermo liberata da Garibaldi qualche contatto improprio venne addebitato a Giuseppe La Farina, emissario di Cavour”. Lo stesso avvenne a Napoli con Silvio Spaventa: “Questi, che pure aveva avviato una campagna di disinfestazione dai camorristi promossi e legittimati da Garibaldi, a un certo punto venne accusato dalla stampa democratica di usare metodi illegali non troppo diversi da quelli usati dalla famigerata polizia borbonica”. Ma l’uomo simbolo di questa stagione resta Liborio Romano che “garantì il passaggio dal regime borbonico a quello garibaldino garantendo l’ordine pubblico grazie ad un esplicito accordo con i principali boss della malavita organizzata”Particolarmente interessanti le parole di Diego Tajani, Procuratore del re a Palermo, secondo il quale, come si legge nel volume, “la mafia è  temibile non tanto perché pericolosa in sé ma in quanto strumento di governo e perciò fonte di una rete invisibile di protezione”.

QUI IL NOSTRO ARTICOLO PER ESTESO DI ANTONELLA SFERRAZZA CON LA VIDEO-INTERVISTA A PAOLO MIELI  

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