L’agricoltura nel mondo collassa tra pandemia e cambiamenti climatici mentre la Sicilia pensa ai formaggi senza latte… / MATTINALE 545

21 gennaio 2022
  • Se affonda l’agricoltura affonda il mondo. Ma non ce ne rendiamo conto. Soprattutto in Sicilia
  • Il dumping nel mondo del lavoro agricolo promosso dalla Commissione europea per distruggere l’agricoltura europea
  • In tutto questo cosa fa la politica siciliana? In cerca d’autore…

Se affonda l’agricoltura affonda il mondo. Ma non ce ne rendiamo conto. Soprattutto in Sicilia

In poche righe, nella pagina Facebook di Simenza, si racconta quello che sta succedendo nel mondo tra pandemia, cambiamenti climatici e speculazioni economiche e finanziarie tipiche del folle mondo governato dal liberismo sfrenato: “Ormai i costi di produzione superano il prezzo di vendita e i nostri produttori sono allo stremo. Il recente protocollo d’intesa, sottoscritto dal Mipaaf per il comparto, prevede che gli allevatori possono ottenere fino al 31 Marzo 2022 il prezzo di 41 centesimi al litro, con un premio di ‘emergenza stalle’ fino a 3 centesimi al litro, ritenuto insufficiente rispetto ai costi sostenuti che per ora superano i 50 centesimi al litro”. Nel post si racconta del latte e, in particolare, dei formaggi di una nota azienda che li produce: l’azienda di Antonino Ciaccio. Ma il problema non riguarda solo il latte, ma un po’ tutta l’agricoltura. Un’ondata di aumenti dei prezzi che sta cogliendo il mondo occidentale impreparato, anche perché alle prese con una pandemia che ha ripreso piede, guarda caso, soprattutto nell’Occidente industrializzato, Stati Uniti d’America e Unione europea in testa (anche se adesso comincia a diffondersi anche in Sudamerica, come potete vedere qui). Interessante, al riguardo, l’analisi di ITALIA FRUIT NEWS che dà la parola ai vertici di Agrintesa, una cooperativa con sede in Emilia Romagna che associa circa 4 mila produttori di ortofrutta e di vino. Agrintesa è una realtà organizzata che riesce a dialogare alla pari con la Grande distribuzione organizzata. Un dato svetta su tutti: fino a prima dell’esplosione della pandemia, nel mondo, c’era un problema di surplus di prodotti che avvantaggiava la Grande distribuzione organizzata, che sceglieva a proprio piacimento e imponeva i prezzi. Oggi la situazione è cambiata. Per la precisione, si è capovolta: nel 2020 e, soprattutto, nello scorso anno, si assiste a una riduzione dei volumi di produzione. Il grano è un esempio paradigmatico. riduzione della produzione in Russia, in Canada e negli Stati uniti d’America.

Il dumping nel mondo del lavoro agricolo promosso dalla Commissione europea per distruggere l’agricoltura europea

Ma non c’è solo una riduzione della produzione di grano. Altre produzioni agricole si presentano a freccia in giù: si stima che, nel complesso, la contrazione dei volumi si attesti fra il 30 e il 40%. Le motivazioni? In primo luogo i cambiamenti climatici in atto. Ma ci sono anche gli effetti deleteri del liberismo economico: l’arrivo, in tante aree dell’Occidente industrializzato, di ortofrutta a prezzi stracciati (e spesso di pessima qualità) scoraggia molti agricoltori a coltivare certi ortaggi e certi frutti, anche per i proibitivi costi del lavoro. Si assiste a un fenomeno che non è esagerato definire demenziale: nel nome delle proprie leggi di ogni Paese gli stessi Paesi che dovrebbero tutelare la propria sovranità alimentare la stanno invece smantellando. Si chiama dumping del lavoro agricolo ed è voluto dalla Commissione europea che, da quando ha aperto ai Paesi dell’Est Europa, mette in competizione nella stessa Eurozona Paesi dove un operaio agricolo cosa meno di 10 euro al giorno, mentre nel resto d’Europa – per esempio in Italia – un operaio agricolo non costa meno di 100 euro al giorno. Se aggiungiamo che in Italia c’è la pressione fortissima dell’INPS – a caccia di soldi per pagare il Reddito di cittadinanza – la ‘frittata’, è il caso di dirlo, è fatta. Così molte aziende agricole italiane cercano di limitare al minimo il ricorso agli operai agricoli, utilizzati solo per le produzioni redditizie. Non è certo un caso che l’olivicoltura italiana – che ha sempre avuto anche un valore paesaggistico e culturale, stia virando verso la coltivazione degli oliveti a spalliera per potere raccogliere le olive meccanicamente come avviene per l’uva da vino e risparmiare sui costi del lavoro. Cosa, questa, che comprometterà il paesaggio. Ma nonostante tutto i margini, anche in agricoltura, si assottigliano. Provate a parlare con gli agricoltori che coltivano grano duro in Sicilia. Dovrebbero essere felici perché il prezzo del grano duro, in meno di tre anni, è passato da 18-20 euro al quintale a quasi 50 euro al quintale. Ma sono preoccupati perché registrano il raddoppio del costo delle sementi, i fertilizzanti il cui costo è aumentato di quasi due volte e mezzo, l’aumento del costo del carburante agricolo con la Regione siciliana che è riuscita anche a creare problemi, costringendoli, in alcuni casi, ad acquistare il gasolio agricolo a prezzo pieno! Non è esagerato affermate che, soprattutto da tre anni a questa parte, la Regione siciliana, tra incendi e inondazioni che non riesce a controllare per inadeguatezza e insipienza, è diventato un costo per gli agricoltori della nostra Isola. Se a questo aggiungiamo anche gli aumenti delle bollette di luce a gas – che pesano anche sulle aziende agricole (per non parlare degli effetti nefasti sulle aziende agrituristiche) – la situazione si complica ulteriormente.

In tutto questo cosa fa la politica siciliana? In cerca d’autore…

In tutto questo c’è il rapporto con il mercato, sempre più difficile. In Emilia Romagna avranno pure il problema enorme dell’inquinamento degli allevamenti intensivi, frutto anche di un’utilizzazione ‘patologica’ della soccide. Ma almeno, rispetto al mercato, sono organizzati. “L’incremento dei prezzi sulle materie prime – leggiamo sempre su ITALIA FRUIT NEWS – come energia, cartone, plastica e concimi, solo per citarne alcuni, era già in corso dalla fine della primavera scorsa ma nessun aveva chiaro quanto la situazione sarebbe esplosa arrivando ai livelli attuali. Oggi lo scenario è sicuramente fuori controllo, trainato da cause logistiche, socio-politiche, sanitarie, commerciali: è una situazione davvero insostenibile che mette in estrema difficoltà sia il mondo produttivo che altri anelli della filiera, fra cui le aziende di trasformazione e di lavorazione. Agrintesa, ovviamente, è stata ‘costretta’ a riconoscere gli aumenti ai propri fornitori che a loro volta sono stati costretti a pagare di più le materie prime. E altrettanto hanno dovuto fare i nostri soci per portare avanti le proprie produzioni e gli investimenti in essere in campagna: il problema nasce nel momento in cui non si riesce a fare sì che la Grande Distribuzione e il cliente finale riconosca l’esistenza di questi aumenti e accetti di condividerli. Non è soltanto ingiusto verso chi produce e chi trasforma: senza condivisione lungo la filiera, il sistema collassa”. In Emilia Romagna si pongono il problema e cercano soluzioni. E in Sicilia? Abbiamo il presidente della Regione Nello Musumeci che si deve ricandidare perché “ha governato bene” ( lo dice lui e se lo dice lui…), il presidente dell’Assemblea regionale siciliana, Gianfranco Miccichè, che fa la spola tra centrodestra centrosinistra per capire chi gli dovrà garantire la rielezione al vertice del Parlamento siciliano, ciò che resta della sinistra siciliana (o presunta tale) – che non va oltre il 10% – cerca sponde consociative e ribaltoniste “per fare l’amore con il sesso degli altri”, gli ex democristiani sempre in cerca d’autore che vagano alla ricerca di un improbabile Pirandello che li catechizzi… Si offende qualcuno se scriviamo che la Sicilia, con questi soggetti, andrà sempre più a fondo?

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