Le restrizioni dei Governi nel nome del Covid? I Siciliani disobbediscono senza clamori

9 dicembre 2021
  • In pratica, nella nostra Isola, a rispettare le norme discriminatorie del Governo nazionale è poco più del 16% della popolazione lavorativa che vi sarebbe tenuta
  • Mentre nel Nord si scende in piazza, in Sicilia i cittadini preferiscono non andare a votare e non pagar le tasse

Ciro Lomonte

In pratica, nella nostra Isola, a rispettare le norme discriminatorie del Governo nazionale è poco più del 16% della popolazione lavorativa che vi sarebbe tenuta

Nonostante i quotidiani del regime che ormai da quasi due anni affligge Italia e Sicilia continuino a usare termini di guerra come “è caccia”, “bersaglio” e “campagna sempre più aggressiva”, il comportamento della società siciliana di fronte alle norme e ai provvedimenti liberticidi dei governi nazionale e regionale suggerisce una comprensione più utile e realistica della comunità siciliana. Mentre le massicce proteste di piazza con milioni di partecipanti dalle piccole Udine e Lucca alle grandi Torino e Milano continuano sempre più numerose, per non parlare del blocco a Trieste del porto più grande di Italia con lo sciopero tanto dei portuali che degli addetti al rimorchio, in Sicilia le proteste vedono poche centinaia di persone limitate alle sole città, fra cui Siracusa, Catania, Messina, Agrigento e Palermo. La società siciliana reagisce come ha imparato a fare dall’occupazione militare piemontese: disobbedendo, senza clamori. Non solo è la regione con meno persone che si sono fatte iniettare il siero genico sperimentale (e in misura molto maggiore dei numeri cosiddetti “ufficiali”), ma adesso non rispetta in alcun modo le norme della tessera verde. Scorati, i redattori dell’inserto siciliano del giornale di proprietà piemontese riportavano come, a fronte di 180.000 tamponi attesi ogni giorno, finora nel migliore dei casi si è arrivati a 32.000. In pratica, a rispettare le norme discriminatorie del governo nazionale è poco più del 16% della popolazione lavorativa che vi sarebbe tenuta. È, in pratica, la continuazione dell’astensionismo di massa, ben oltre il 50% del corpo elettorale che ha visto per prima la Sicilia tanto nelle elezioni regionali del 2012, che in quelle del 2017, quando anche a Palermo per le amministrative votò meno della metà degli aventi diritto. Con l’eccezione della sempre più piccola percentuale di chi beneficia del sistema politico ed economico della fallimentare seconda Repubblica, i corpi sociali siciliani vedono i governi nazionale, regionale ed ora anche locale (le amministrazioni comunali), come degli oppressori. E lo dicono astenendosi dal seguirne i diktat. Dove porterà questa situazione di totale scollamento fra masse e potere, lo insegna facilmente la conoscenza della storia.

Mentre nel Nord si scende in piazza, in Sicilia i cittadini preferiscono non andare a votare e non pagar le tasse

Al Nord, invece, è ormai aperta ribellione: Milano, Torino, Genova, Trieste, Padova, Bologna, Reggio Emilia, Udine, vedono centinaia di migliaia di dimostranti ogni settimana, con le città paralizzate. Per ora solo il sabato. Ma – è facile prevederlo – a breve anche durante i giorni feriali. Al Sud, collassato durante la Seconda Repubblica a luogo di emigrazione giovanile di massa, pubblico impiego, e ora anche “Reddito di cittadinanza”, la protesta si esprime come in Sicilia. Dove a fronte dei 180.000 tamponi quotidiani attesi solo da chi ne avrebbe necessità per lavorare, se ne contano meno di 30.000, è difficile trovare un ristorante che richieda la tessera verde, e i cittadini che si astengono tanto dal votare che dal pagare le tasse. Con i sindaci e la loro associazione dei Comuni sconsolati e inermi nel constatare livelli di pagamento della tassa dei rifiuti che non arrivano al 30%.

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