Quando nel Sud e in Sicilia bastava insultare lo stemma dei Savoia o il ritratto del re per essere fucilati

2 dicembre 2021
  • Ecco il proclama del generale savoiardo Ferdinando Pinelli, un dei tanti criminali piemontesi arrivati nel Sud all’indomani della ‘presunta’ unificazione italiana – che in realtà fu solo un’occupazione militare – per scannare migliaia di meridionali che si rifiutavano di sottomettersi ai trogloditi piemontesi
  • Una poesia di Rocco Scotellaro, sindaco socialista di Tricarico e poeta 
  • Fucilare, fucilare, fucilare…
  • I piemontesi subito dopo la conquista del Sud inviarono nel Meridione e in Sicilia 120 mila militari per sedare le rivolte contro gli invasori

Una poesia di Rocco Scotellaro, sindaco socialista di Tricarico e poeta 

Spuntano ai pali ancora
le teste dei briganti, e la caverna,
l’oasi verde della triste speranza,
lindo conserva un guanciale di pietra.
Ma nei sentieri non si torna indietro.
Rocco Scotellaro

Fucilare, fucilare, fucilare…

Dal proclama del generale piemontese Ferdinando Pinelli:
“1) chiunque sarà colto con arma da fuoco, coltello, stili od altra arma qualunque, da taglio o da punta, e non potrà giustificare di essere autorizzato dalle autorità costituite sarà fucilato immediatamente
2) chiunque verrà riconosciuto di aver con parole o con dinari e con altri mezzi eccitato i villici a insorgere sarà fucilato immediatamente;
3) eguale pena sarà applicata a coloro che con parole od atti insultassero lo stemma di Savoia, il ritratto del Re o la bandiera nazionale italiana. ( … ) deponete le anni, rientrate tranquilli nei vostri focolari, senza di che state certi che tardi o tosto sarete distrutti … ”…

I piemontesi subito dopo la conquista del Sud inviarono nel Meridione e in Sicilia 120 mila militari per sedare le rivolte contro gli invasori

Quanto durò questa guerra non dichiarata, sanguinosa, con violenze inenarrabili da entrambe le parti, che contrappose un esercito regolare a gruppi (anche foltissimi) di contadini e di sbandati e di delinquenti comuni (questi, in minor numero), in scontri senza trincee, senza retrovie, e, soprattutto, senza pietà? Dal ’60 al ’65 gli episodi più salienti. Impossibile precisare il momento in cui cessò del tutto, perché, naturalmente, “non fu firmato alcun armistizio”. Si può dire, con De Jaco, “che finì quando nelle selve incendiate e semidistrutte a colpi di cannone non rimasero che poche decine di banditi, mentre nelle carceri o a domicilio coatto migliaia di contadini d’Abruzzo, di Puglia, di Terra di Lavoro, di Basilicata, di Calabria, incominciarono a scontare le loro condanne. Lo Stato Italiano, appena costituito, impegnò nella repressione del brigantaggio meridionale un vero e proprio esercito: centoventimila uomini (3), ai quali andavano aggiunti i componenti della Guardia Nazionale, organizzata in ogni Comune. E l’esercito contadino? Buio completo. Si possono solo fornire cifre “medie”, indicative di particolari momenti e situazioni. Ad esempio, nella sola piazza del Comune di Melfi vennero fucilate in una volta trentadue persone: in tutto il Melfese, secondo notizie non prive di attendibilità, dovute a cronisti contemporanei, sarebbero state uccise complessivamente tremila persone. Ma, stando ad altri dati, nel solo periodo ’61-’63 in Basilicata furono fucilati 1.038 briganti; altri 2.413 furono uccisi in conflitto; 2.768 vennero catturati; 2.400 persone furono arrestate per “sospetta connivenza” e 525 (fra le quali 140 donne) spediti al confino.

Romana Tuchini Brigantaggio nel Sud – La “guerra dei caffoni” Tratto da ALTA TERRA DI LAVORO

Articolo tratto da Regno delle Due Sicilie.eu 

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