I dieci cibi più pericolosi per la nostra salute (tutti importati) segnalati in una black list dalla Coldiretti

27 novembre 2021
  • A leggere la classifica stilata dalla Coldiretti vengono i brividi, perché alcuni di questi prodotti sono molto comuni
  • A preoccupare di più è la presenza di aflatossine su 5 dei 1o prodotti segnalati: importante sapere il perché
  • Il problema non è solo per i prodotti che arrivano dai Paesi in via di sviluppo, ma anche per alcuni prodotti che arrivano da Paesi ad economie sviluppate come Francia, Olanda e Cina
  • Tutto questo, in buona parte, è il frutto ‘marcio’ (è proprio il caso di dirlo) della globalizzazione dell’economia

A leggere la classifica stilata dalla Coldiretti  vengono i brividi, perché alcuni di questi prodotti sono molto comuni

Come ha fatto lo scorso anno, anche quest’anno la Coldiretti ha stilato un rapporto sui cibi più pericolosi per la nostra salute. Sono alimenti che vengono importati e che, forse, andrebbero controllati un po’ meglio. Come leggiamo su sanità informazione, l’organizzazione agricola ha presentato questi dati – una vera e propria black list – al Forum internazionale dell’agricoltura che si è tenuto nei giorni scorsi a Roma. L’allarme della Coldiretti è stato lanciato, come leggiamo su sanità informazione, “sulla base delle rilevazioni fatte nell’ultimo rapporto del sistema di allerta rapido europeo (RASFF) che registra gli allarmi per rischi alimentari verificati in Italia a causa di residui chimici, micotossine e metalli pesanti, inquinanti microbiologici, diossine, additivi e coloranti”.

A preoccupare di più è la presenza di aflatossine su 5 dei 1o prodotti segnalati: importante sapere il perché

Vediamo quali sono i dieci prodotti  alimentari pericolosi per la nostra salute segnalati dalla Coldiretti. Al primo posto troviamo, con 296 segnalazioni, i semi di sesamo che arrivano dall’India sui quali sono stati trovati tracce di ossido di etilene (sostanza moderatamente tossica che provoca irritazione alle vie respiratorie e anche possibili catarratte). Al secondo posto c’è la carne di pollo che arriva dalla Polonia con 273 segnalazioni di salmonella. Al terzo posto troviamo 190 segnalazioni di non conformità per la frutta e la verdura che arrivano dalla Turchia (contengono tracce di pesticidi). Al quarto posto ecco 61 casi di pepe nero alla salmonella di provenienza brasiliana. Al quinto posto troviamo 58 segnalazioni per i fichi secchi che arrivano dalla Turchia: e qui lo scenario cominci a diventare brutto perché troviamo 58 segnalazioni di aflatossine. Per la cronaca, le aflatossine sono tossine prodotte da particolari funghi e sono molto pericolose per la salute umana perché sono sostanze cangerogene. Al sesto posto troviamo le arachidi che arrivano dagli Stati Uniti d’America con 49 segnalazioni di aflatossine- Al settimo posto spunta di nuovo la Turchia con 39 segnalazioni di pistacchi che contengono tracce di aflatossine. All’ottavo posto ecco 33 segnalazioni per le ostriche francesi dove è stata rintracciata la presenza di Norovirus, un virus responsabile di forme di gastroenterite gravi. Al nono e al decimo posto troviamo 29 segnalazioni per i pistacchi che arrivano dall’Iran e 29 segnalazioni per le arachidi che arrivano dall’Argentina: in entrambi i casi sono state segnalate tracce di aflatossine.

Il problema non è solo per i prodotti che arrivano dai Paesi in via di sviluppo, ma anche per alcuni prodotti che arrivano da Paesi ad economie sviluppate come Francia, Olanda e Cina

Se proprio dobbiamo essere sinceri, 5 segnalazioni su 10 di aflatossine non sono il massimo: anzi… Ma non c’è solo questo. “In generale in testa alla classifica dei Paesi dai quali giungono in Italia i cibi più contaminati – leggiamo sempre su sanità informazione – ci sono l’India, responsabile del 12% degli allarmi alimentari scattati in Europa, la Turchia con il 10% e la Polonia (10%) ma è la presenza di Paesi come Francia (6%), dall’Olanda (6%) e Cina (6%) a destare maggiore preoccupazione”. Il giornale cita una dichiarazione di Lorenzo Bazzana, responsabile economico della Coldiretti: “L’emergenza, quindi, non riguarda solo i Paesi in via di sviluppo ma anche quelli più ricchi per effetto della globalizzazione degli scambi e della competizione al ribasso sui prezzi. L’Italia in questa classifica rientra marginalmente, infatti solo il 19% dei prodotti non conformi sono di origine italiana, il restante 81% sono prodotti di importazione”.

Tutto questo, in buona parte, è il frutto ‘marcio’ (è proprio il caso di dirlo) della globalizzazione dell’economia

La Coldiretti si sofferma sull’esigenza di far entrare in Italia solo cibi sicuri. Ma questo è un obiettivo piuttosto difficile in un mondo che celebra la globalizzazione dei mercati come il rimedio infallibile per fare abbassare i costi e rendere i cibo a disposizione di quante più persone possibili. Sul piano teorico è così, perché la logica della globalizzazione economica – piena espressione del liberismo economico – favorisce chi produce a costi più bassi. Questa filosofia economica ha prodotto le delocalizzazioni, ovvero le imprese che lasciano un Paese, anche se sono in attivo, per andare a produrre in un altro Paese dove i costi di produzione (a cominciare dal costo del lavoro) sono più bassi e dove si pagano meno tasse. Così facendo, però, nel nome del profitto, si distruggono le economie di interi Paesi ( e l’Italia ne sa qualcosa, perché sta pagando un prezzo altissimo a causa delle delocalizzazioni). Non solo. Nella produzione di beni agricoli la globalizzazione provoca effetti ancora più deleteri, perché alcuni Paesi, pur di aumentare le produzioni agricole, non esitano ad utilizzare pesticidi ed erbicidi che sono molto dannosi per la salute umana (molti prodotti ortofrutticoli italiani subiscono la concorrenza di prodotti pieni di pesticidi che nel nostro Paese sono stati banditi da decenni perché dannosi per la salute: eppure questi prodotti arrivano in Italia, ‘ammazzano’ le produzioni italiane e avvelenano le persone… Nella classifica stilata lo scorso anno dalla Coldiretti erano stati riscontrati problemi legati alla presenza di residui chimici per i peperoncini piccanti provenienti da Repubblica Dominicana e dall’India, per le bacche di Goji provenienti dalla Cina, per il riso dal Pakistan, le per melegrane della Turchia, per il tè dalla Cina, per l’okra (o gombo) dell’India, per il dragon fruit proveniente dall’Indonesia per i fagioli secchi provenienti dal Brasile e per i peperoni dolci e le olive da tavola provenienti dall’Egitto importati a dazio zero nell’Unione europea. Non c’è da stupirsi: l’Unione europea è ‘quella’ che ha innalzato i limiti di glifosato e micotossine per far arrivare in Europa il ‘meraviglioso’ grano canadese…

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