Agricoltura

C’è un nesso tra incendi delle aree verdi e il grande affare degli impianti fotovoltaici? A nostro avviso, no/ SERALE

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  • A nostro avviso, gli incendi non hanno nulla a che vedere con il fotovoltaico. Proviamo a illustrare il perché
  • Il fotovoltaico era diventato un affare con il grano duro del Sud Italia e della Sicilia a 18-20 euro al quintale. Oggi il prezzo del grano duro è in grande crescita e gli agricoltori non hanno interesse a cedere i terreni a seminativo

A nostro avviso, gli incendi non hanno nulla a che vedere con il fotovoltaico. Proviamo a illustrare il perché

Esiste una correlazione tra gli incendi che hanno funestato la Sicilia, la Calabria e la Sardegna e la pressione speculativa per realizzare impianti fotovoltaici? Non conosciamo l’orografia delle aree incendiate in Sardegna. Ma da quello che sappiamo di Sicilia e Calabria, le fiamme hanno colpito per lo più aree montane e collinari. Vanno bene anche le aree collinari e montane per realizzare impianti fotovoltaici? A nostro modesto avviso, no. Per almeno due motivi. In primo luogo perché i terreni collinari e montani, dopo gli incendi, on la scomparsa della vegetazione, sono soggetti a frane e smottamenti. In secondo luogo perché l’equazione di primo grado + incendi + impianti fotovoltaici metterebbe in cattiva luce chi investe nel fotovoltaico agli occhi del territorio: e chi vuole investire nel fotovoltaico non lo fa contro la volontà del territorio. Dopo di che, è vero: c’è una pressione forte su alcune Regioni italiane – Sicilia, Calabria, Puglia, Campania, ma anche Lazio e Veneto – da parte di chi vuole realizzare impianti fotovoltaici. Ma… Ma le condizioni economiche stanno cambiando.

Il fotovoltaico era diventato un affare con il grano duro del Sud Italia e della Sicilia a 18-20 euro al quintale. Oggi il prezzo del grano duro è in grande crescita e gli agricoltori non hanno interesse a cedere i terreni a seminativo

Gli impianti fotovoltaici al posto dell’agricoltura avevano un senso quando il grano duro del Sud si vendeva a 18-20 centesimi al quintale. Chi ha un po’ di memoria ricorderà che la pressione sull’agricoltura da parte degli industriali del fotovoltaico è iniziato proprio in quegli anni. E noi qualcosa abbiamo scritto. Quattro anni fa il grano duro del Sud Italia e della Sicilia si vendeva a 18-20 centesimi al quintale. In quell’anno si profilò l’ipotesi di un aumento dell’IMU agricola. Scelta che avrebbe facilitato il land grabbing. Un’ipotesi che scatenò un putiferio. Oggi lo scenario è diverso. Il grano duro del Sud Italia e della Sicilia ‘viaggia’ su 40-50 euro al quintale. Con la prospettiva di ulteriori aumenti. Difficile che i signori del fotovoltaico trovino agricoltori disposti ad affittargli i terreni o, a venderli. Il mercato internazionale del grano – o meglio, la secca riduzione dell’offerta del grano nel mondo – sta rivalutando i terreni seminativi del Sud Italia e della Sicilia. Tant’è vero che chi parla di rimettere a coltura i 600 ettari di terreni a seminativo dislocati tra Sud e Sicilia che erano stati abbandonati negli anni scorsi. In più c’è un altro fattore che gioca a sfavore della industria del fotovoltaico. Bisognerà capire, a questo punto, cosa combinerà il Governo di Mario Draghi, che a noi non sembra molto favorevole agli interessi del Sud e della Sicilia. Ricordiamoci che l’Unione europea pressa per un incremento della produzione di energia fotovoltaica. Nel Pnrr ci sono 4 miliardi di euro. Useranno questi soldi per strappare terreni all’agricoltura dove piazzare pannelli fotovoltaici? La partita è complicata. Domani proveremo ad approfondirla meglio nel nostro Mattinale.

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