Garibaldi entra a Palermo grazie ai traditori borbonici. Le finte barricate. I picciotti di mafia saccheggiano la città

5 giugno 2021
  • L’entrata di Garibaldi a Palermo nel 1860 non è solo la ‘vittoria’ dei generali traditori Duosiciliani, ma  anche la vittoria dei picciotti di mafia che ‘svuoteranno’ le abitazioni della piccola borghesia cittadina 
  • “Abitazione inglese”
  • Arriva Garibaldi con cautela… ma piazza Fiera Vecchia è deserta…
  • I saccheggi dei picciotti di mafia
  • A proposito delle «barricate» destinate a diventare famose…

L’entrata di Garibaldi a Palermo nel 1860 non è solo la ‘vittoria’ dei generali traditori Duosiciliani, ma  anche la vittoria dei picciotti di mafia che ‘svuoteranno’ le abitazioni della piccola borghesia cittadina 

Cosa ci hanno raccontato della ‘conquista’ di Palermo da parte di Garibaldi nel 1860? Grande rivoluzione di popolo, grandi battaglie e bla bla bla. Fesserie col botto. Nei giorni precedenti l’arrivo dei garibaldini, le famiglie palermitane che se lo potevano permettere – in pratica, le più ricche – erano fuggite. Per due semplici ragioni. A Palermo tanti cittadini sapevano che i generali borbonici erano traditori e corrotti. E sapevano che avrebbero fatto entrare in città Garibaldi con i picciotti di mafia. Sapevano che i generali borbonici avrebbero messo nel conto il bombardamento della città per mettere in cattiva luce il re Francesco II per giustificare l’intervento inglese. Ma sapevano, soprattutto, che appena entrati a Palermo con  garibaldini ‘vincitori’, i picciotti di mafia – delinquenti e vigliacchi di natura – avrebbero cominciato a saccheggiare le abitazioni dei civili. Era l’accordo tra il ‘liberatore’ Garibaldi e i mafiosi: noi abbiamo ‘protetto’ la vostra marci fino a Palermo, ma appena entrati a Palermo voi e gli inglesi vi dovete togliere di mezzo per consentirci di fare l’unica cosa che sappiamo fare bene: derubare la gente. E’ questo il motivo per il quale tantissime famiglie di palermitani, nei giorni precedenti l’entrata di Garibaldi a Palermo, erano scappati. Chi se lo poteva permettere – ovviamente nobili e ricchi borghesi – aveva trovato posto fuori Palermo. Molta gente, sapendo che sarebbero arrivati i picciotti di mafia per fare razzia, erano fuggiti lo stesso, in tanti casi su navi o imbarcazioni di fortuna, portandosi dietro soldi e gioielli. Imbarcazioni che si ancoravano a qualche miglio dalla città in attesa della fine delle preannunciare scorribande dei picciotti di mafia.

“Abitazione inglese”

Queste cose, ovviamente, nei libri di storia non si raccontano. All’Italia – “Una e indivisibile” – vanno raccontate mirabolanti bugie, mirabolanti battaglie, mirabolanti barricate e bla bla bla. Non è stato raccontato ad esempio, che la popolazione anziana, che non aveva la forza di trovare posto da qualche altra parte – anche sulle imbarcazioni – provò ad escogitare un trucco per sfuggire ai famelici picciotti di mafia. Davanti alla porta di casa attaccavano la scritta “Abitazione inglese”. I palermitani sapevano tutto: sapevano anche che i picciotti di mafia non dovevano toccare le abitazioni degli inglesi. Riuscì lo stratagemma? In molti casi, sì. Anche se non mancano le testimonianze di picciotti di mafia insospettiti sia dalle troppe scritte, sia dal fatto che, in molti casi, le abitazioni che si cercava di fare passare come abitate da inglesi non erano proprio di lusso… Si racconta che qualche picciotto di mafia, tra le abitazioni vuote (i cittadini che erano scappati prima) e le case abitate da ‘inglesi’, a un certo punto abbia esclamato: “Troppi ‘nglisi ci sunnu…“. Non sappiamo come finì, ma adesso diamo la parola a Giuseppe Scianò:

 

Arriva Garibaldi con cautela… ma piazza Fiera Vecchia è deserta…

“La via di Porta Termini conduce alla piazza della Fiera Vecchia (oggi piazza della Rivoluzione), nel centro cioè della parte antica della città. Una piazza sempre affollatissima e punto d’incontro di cittadini e di commercianti. Garibaldi, in verità e checché ne dicano non pochi scrittori di scarsa obiettività, trova quella piazza completamente deserta. Anche l’Abba è costretto ad ammetterlo quando scrive: «“Ma che cosa fanno i palermitani, che non se ne vede?” Chiesi ad un popolano che sbucò da una porta armato di daga». Lo scrittore, però, ha pronta una favoletta per attenuare l’effetto di ciò che ha appena confessato. Subito dopo infatti riferisce la risposta che gli avrebbe dato il popolano: «Eh, signorino, già tre o quattro volte, all’alba, la polizia fece rumore e schioppettate, gridando “Viva l’Italia”, “Viva Garibaldi”. Chi era pronto veniva giù, e i birri lo pigliavano senza misericordia. Oh!… E i palermitani ora han paura d’un nuovo tranello?», avrebbe esclamato e chiesto il nostro Autore.  Bugie su bugie, insomma. Anche di fronte alla tragedia. Ed all’evidenza dei fatti. Persino Giancarlo Fusco (anche lui probabilmente scrittore filo-garibaldino, seppure, non di rado, ironico e dissacrante), così scrive: «La piazza (della Fiera Vecchia) è deserta. Le case di due, tre, perfino cinque piani, tacciono sotto il cielo perfettamente azzurro. L’eco degli spari e il vocío confuso dei combattenti arrivano soffocati in quel silenzio. Solo per un istante a un ultimo piano, si apre una finestra. Un uomo si affaccia, come il cucù di un orologio, grida: “Evviva!” e scompare». Evviva rivolto a chi? Supponiamo al vincitore del momento. Anche il buon Fusco con quell’evviva ha, in pratica, messo la sua pezza. Ma, stando al suo racconto, soltanto dopo mezz’ora la piazza si sarebbe riempita di gente”.

 

I saccheggi dei picciotti di mafia

“Un po’ di bottino ai picciotti di mafia, a questo punto bisogna pur consentirlo. Anche perché per il momento questo è il loro principale desiderio. Il tutto, ovviamente, in attesa del grande saccheggio. Scartati i palazzi della grande nobiltà, protetti, come è facile intuire dai vertici della mafia, si punta alle case della piccola e media borghesia. Viene così consentito, a piazza Ballarò, il saccheggio del palazzo del signor Filadelfio Mistretta «creduto spia della polizia», dice il De’ Sivo. Anticipiamo che gli assalti ed i saccheggi, nei confronti dei palazzi e delle case di Palermo, si centuplicheranno dopo che l’Esercito Duosiciliano avrà lasciato la città. Intanto constatiamo che il pretesto di accusare il Filadelfio Mistretta di spionaggio nei confronti della polizia Duosiciliana è un modello dei pretesti che serviranno a giustificare anche altri saccheggi, altre violenze, altri delitti. E che servono a terrorizzare quelli che non si sono ancora affrettati a passare dalla parte dei conquistatori Anglo-Piemontesi-garibaldini e mafiosi.

A proposito delle «barricate» destinate a diventare famose…

“A Palermo, per volontà del comando garibaldino, si cominciano a costruire tante barricate, talvolta a regola d’arte; il più delle volte in modo molto improvvisato ed inadeguato. Anche queste barricate saranno utili, perché non pochi scrittori le faranno apparire come realizzate prima dell’ingresso di Garibaldi, nell’ambito di una rivoluzione popolare e spontanea. Parleremo, più avanti, addirittura di una Commissione per le Barricate, insediata dallo stesso Garibaldi. Anticipiamo che (sempre dopo) le barricate saranno fotografate, entrando a far parte della storia della fotografia (se non della vera storia dell’occupazione della Sicilia) che in quell’anno fa appunto grandi progressi. Attraverso il trucco della retrodatazione quelle fotografie serviranno a rafforzare il mito (e la menzogna) della grande rivoluzione unitaria e filo-garibaldina della città di Palermo. Entrato a Palermo, Garibaldi riconosce ed insedia, nella nuova realtà, un Comitato Generale costituito poco prima e finalizzato a supportare la storiella della grande rivoluzione in corso a Palermo. Il Comitato è presieduto da Gaetano La Loggia. A questo Comitato ed al Segretario di Stato, Francesco Crispi, vengono dati tutti i poteri della civica amministrazione. Garibaldi, intanto, si insedia nel Palazzo Pretorio dal cui balcone può arringare i picciotti ed i loro amici. Ma in realtà è come se parlasse a se stesso, anche se, quando si tratta di arringare le folle, il Generale-Dittatore conosce ogni trucco di scena e non ha rivali. Come ben sappiamo, a Palermo, sono pochissimi coloro che comprendono o comprenderanno ciò che di volta in volta l’eroe di Varese ha già proclamato o che proclamerà successivamente. Nel 1860, infatti, in Sicilia si parla quasi esclusivamente in lingua siciliana. I pochissimi che parlano italiano, lo parlano con accento e tonalità non certamente uguali a quelli usati nell’Italia Settentrionale. La reciproca incomprensione è pressoché totale. Ed è quindi molto difficile, soprattutto per le masse, comprendere quello che dicono soprattutto gli Italiani del Nord (come Garibaldi, appunto), quando questi si cimentano in comizi adottando la lingua di Dante Alighieri. I picciotti di mafia sanno solo che – in qualche occasione – debbono applaudire ed acclamare l’Eroe dei Due Mondi e lo fanno come meglio possono. Con reciproco vantaggio”.

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