Gli investimenti nella scuola più che mai necessari per rilanciare il Sud e la Sicilia

17 maggio 2021
  • Istruzione e ricerca sono – dopo anni di smantellamento – più importanti delle sei missioni e delle sedici categorie di spesa previste dal PNRR
  • Ridisegnare il rapporto con la scuola
  • Il Covid ha accentuato crisi e fragilità
  • Le diseguaglianze globali 

di Alessio Lattuca
Presidente Confimpresa Euromed

Istruzione e ricerca sono – dopo anni di smantellamento – più importanti delle sei missioni e delle sedici categorie di spesa previste dal PNRR

Il Recovery Plan – nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) italiano – vale 31,9 miliardi, ovvero il 17% delle risorse: 191,5 miliardi finanziati con le risorse in arrivo da Bruxelles e 30 dal fondo complementare. Quella riservata all’Istruzione e Ricerca, è (finalmente dopo lunghi anni di smantellamento e indifferenza) una delle più importanti delle sei missioni previste e delle sedici categorie di spesa previste dal PNRR: assorbirà 31,9 miliardi, ovvero il 17% delle risorse. I fondi – si legge nel documento di sintesi messo a punto dal Mef – saranno impiegati per la formazione degli insegnanti e per il rafforzamento del sistema educativo, le competenze digitali e STEM (acronimo di scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) la ricerca e il trasferimento tecnologico. Risulta, tuttavia, utile ricordare che non si tratta soltanto di dotare la Scuola di “mezzi”. Posto che essi possano essere “facilmente” adottati grazie alla mole di risorse economiche messe a disposizione dal PNRR: intelligenza artificiale, esperienze virtuali, blockchain, big data, gamification, altro.
Ma di occuparsi di rifare programmi e formare docenti alla complessità! E’ scontato, infatti, che la “complessità del mondo” dovrà essere sempre più materia di studio. Riconosciuta (seppure in notevole ritardo) l’importanza degli “asili nido, delle materne e dei servizi di educazione e cura per la prima infanzia”, oggi deve essere tra le priorità l’attenzione verso la “scuola 4.0”, ovvero scuole “moderne, cablate e orientate all’innovazione grazie anche ad aule didattiche di nuova concezione”, unitamente, al “risanamento strutturale degli edifici scolastici”.

Ridisegnare il rapporto con la scuola

In definitiva occorre riconsiderare il rapporto con la Scuola che da troppi anni è stata falcidiata da una classe dirigente talvolta, inconsapevole dei guasti che via via arrecava ma, prevalentemente, inadatta. E ragionare, possibilmente, in modalità condivisa, su come la Sicilia (ancora Obiettivo 1: Regione a ritardo di sviluppo) potrà connettersi con la modernità e competere con altri Continenti, Paesi e, perfino, con le Regioni del Nord che sui rapporti Scuola, Impresa, Innovazione Tecnologica sono impegnati da tempo e, pertanto, risultano avanzati. E ponderare (attivando opportuni Tavoli di Lavoro) su come debba essere la scuola del futuro, su come riconsiderare le discipline STEM (Science, Technology, Engineering e Matehematics) nella futura “Scuola 4.0” e, soprattutto, su quale sarà il ruolo degli insegnanti, in un tempo in cui le tecnologie incombono. E fare comprendere che incombono perché non tutti sanno usarle, appunto perciò considerare che tutti possono imparare. E, a tale proposito, bisognerà riflettere, approfondire, su come investire le risorse a disposizione per innovare il mondo dell’istruzione e per costruire il rapporto delle prossime generazioni con il Mondo che verrà.
Perché solo ponendo al centro il Lavoro e l’Impresa sarà possibile sconfiggere il tarlo della disoccupazione e assicurare un futuro alle nuove generazioni , posto che l’ Obiettivo del PNRR – Piano Nazionale Ripresa e Resilienza sia quello di modellare il destino del Paese e incidere sui fattori che possono dare impulso all’economia. Disoccupazione, Parità di genere e Questione giovanile sono priorità trasversali al piano ma occorre verificare se vi siano le premesse ( tenuto conto delle condizionalità), perché la clausola delle quote sia efficace.

Il Covid ha accentuato crisi e fragilità

Il Covid si è innestato in una situazione di grandissima fragilità: prima che il virus si propagasse, l’Italia era il Paese dell’UE con il maggior numero di giovani (oltre tre milioni) classificati come NEET, con una notevole percentuale di bambini e giovani classificati “poveri”, con una percentuale di donne occupate al di sotto della media europea (vedi accordo di Lisbona), con la più bassa produttività e con la più bassa “crescita”. La pandemia ha acuito i divari di produttività e reddito. Pertanto, tra gli effetti positivi del Recovery Plan dovrebbe esservi “l’occupazione”: si prevede, appunto, che entro il 2024 gli occupati in più dovrebbero essere 750 mila. Al fine di incentivare l’occupazione di giovani e donne è stata introdotta una clausola di condizionalità: imprese che prendono parte a progetti finanziati dal Pnrr dovranno includere giovani e donne unitamente ad altri fattori, tra i quali l’accelerazione della trasformazione. Fattore essenziale che può contribuire a realizzare una società inclusiva ma, in proposito, serve cooperazione transnazionale al digitale e la spinta a ridurre le disuguaglianze. Al riguardo, il Governo ha affermato che la crescita e la distribuzione geografica della trasformazione digitale sono ancora diseguali e ha espresso preoccupazione sul fatto che i cambiamenti digitali conseguenti alla crisi pandemica possano contribuire ad aumentare le disparità e i divari esistenti di produttività e di reddito. Ed ha precisato che tra i più colpiti dalla pandemia in questi termini, vi sono donne e giovani, oltre a lavoratori non qualificati e atipici.

Le diseguaglianze globali 

Nel merito i dati mettono in luce il persistere di evidenti disuguaglianze a livello globale: l’Unctad ha stimato che nel 2020 appena una persona su cinque tra coloro che vivono nelle economie meno sviluppate (vedi Sud) abbia usato internet. Secondo l’Unesco, anche nelle economie avanzate oltre il 10% degli studenti ha avuto difficoltà di accesso all’educazione digitale. È evidente che le il ruolo dell’identità digitale, la più rilevante sfida transnazionale in corso (nel passaggio dal locale al globale), rendano urgente riconsiderare l’attuale modello di sviluppo e indispensabile trasformare la crisi in opportunità, condizione necessaria, per accelerare la trasformazione digitale e favorire una società digitale inclusiva. Queste considerazioni pongono tutti gli attori in campo, di fronte a una sfida globale e locale allo stesso tempo e la obbligano a verificare se gli obiettivi della strategia italiana, a partire dalla eliminazione degli attuali divari digitali, siano compatibili con le condizionalità imposte dall’UE e se siano, davvero, programmati (anche per il Sud) investimenti nelle infrastrutture scolastiche, nella connettività a banda larga, fattori diretti a migliorare unitamente alla digitalizzazione dei servizi pubblici, la qualità della vita e lo sviluppo delle competenze digitali dei cittadini.

Foto tratta da MioLegale.it

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