Il primo Seicento tra municipalismo e inquietudine politica/ Storia della Sicilia del professore Massimo Costa 29

16 maggio 2021
  • La Camera Demaniale è ancora un luogo vivo di politica
  • Sotto la Presidenza del Cardinale Doria restituite alla Sicilia le Isole Eolie e tensioni con la “Repubblica” di Messina
  • Il Viceré d’Ossuna riprende la Guerra da Corsa contro gli Ottomani e risana le finanze del Regno
  • Da Filippo II (III di Spagna) a Filippo III (IV di Spagna): l’ultima ondata di peste in Sicilia
  • Proposta-shock dei Messinesi a Madrid: dividere in due il Regno di Sicilia!
  • Sotto il Presidente del Regno Moncada di Paternò si ripubblicano le leggi “sicule” mentre i rapporti con i Cavalieri di Malta si fanno tesi
  • Quel giorno che l’esercito siciliano andò a reprimere gli indipendentisti catalani…
  • …Ma anche la Sicilia è inquieta, nell’era di Cromwell, della Fronda Francese e di Masaniello…
  • Come a Londra il Parlamento si scontra con la Corona sulla politica tributaria
  • La prima rivolta di Palermo e le riforme “democratiche” che ne seguirono

di Massimo Costa

La Camera Demaniale è ancora un luogo vivo di politica

Anche gli ordini costituzionali cominciavano a non essere pienamente rispettati, ma il braccio demaniale, il più democratico, dava ancora segni di vitalità. Ad esempio l’opposizione in Parlamento del Pretore di Palermo contro un’imposta spropositata sugli atti notarili, voluta dal governo per finanziare un aumento straordinario della flotta del Regno, gli valse la deposizione e il carcere da parte del viceré Paceco di Vigliena. Ma alla fine questi fu costretto a revocare l’imposta e a liberare il deputato per la ferma opposizione di tutto il Parlamento. Già inviso ai Messinesi per aver privilegiato Palermo, ed aver persino tentato di aprire a Palermo una seconda zecca, ora venne odiato pure dai Palermitani, e abbandonò l’amministrazione agli abusi dei sottoposti, dedicandosi unicamente ad atti di devozione ed implorando Madrid di essere sollevato dall’incarico, ciò che ottenne facilmente.

Sotto la Presidenza del Cardinale Doria restituite alla Sicilia le Isole Eolie e tensioni con la “Repubblica” di Messina

Nell’intervallo tra un viceré e l’altro assume la presidenza il Cardinale di Palermo, Giannettino Doria. Facciamo menzione di questa breve presidenza perché sotto di essa vennero a maturazione due eventi importanti. Nel 1610, dopo reiterate petizioni, la Sicilia riuscì pacificamente a ottenere indietro le Isole Eolie che erano state concesse a Napoli nel 1372 alla fine della Guerra del Vespro e mai più restituite fino ad allora. Altro fatto degno di nota fu il tentativo del Doria di nominare a Messina uno Stratigoto (supremo magistrato cittadino della nostra “quasi-repubblica” marinara) interinale al posto del supremo magistrato cittadino (il “Giudice Ebdomadario”) che normalmente teneva questa carica in caso di sede vacante. I Messinesi, che avevano ottenuto che lo Stratigoto venisse nominato direttamente da Madrid e fosse la seconda carica del Regno dopo quella del Viceré, riuscirono ad affermare la loro semi-indipendenza da Palermo. Il fatto è degno di nota, perché dimostra che le città demaniali (piccole repubbliche) e gli stati feudali (piccoli principati) avevano ciascuna le proprie magistrature e i propri ordinamenti distinti: celebre appunto lo Stratigoto di Messina, come il Pretore di Palermo o il Patrizio di Catania, per limitarci alle principali città. Non possiamo seguire in questa storia politica questa interessante storia istituzionale locale, che non è ancora amministrativa e omogenea, ma limitarci a rilevare come, da sempre, la Sicilia non aveva mai perduto la sua natura “federale” e policentrica.

Il Viceré d’Ossuna riprende la Guerra da Corsa contro gli Ottomani e risana le finanze del Regno

Il nuovo viceré Giron, duca d’Ossuna, utilizzò attivamente la flotta nella guerra da corsa, e in quegli anni Madrid non si interessò molto nemmeno alla politica estera del Regno, affidata in tutto alle cure del viceré. Con lui la Flotta Siciliana arrivò ad avere 28 navi e tentò anche un colpo sulla città di Biserta, in Tunisia, senza però riuscire a catturarla. Egli represse i disordini interni e conseguì una notevole vittoria navale a Capo Corvo nel 1613 contro gli Ottomani, grazie alla flotta siciliana guidata dal prode Ottavio d’Aragona. L’Ossuna mise ordine nel caos lasciato dal Vigliena e costrinse i senatori di Palermo a consegnare il cassiere della Tavola, fuggito col patrimonio, che ne aveva causato addirittura il fallimento. Il risanamento finanziario del Regno fu disposto nel Parlamento del 1612, e richiese alcune misure di finanza straordinaria, con l’introduzione di nuove gabelle, con una manovra eccezionale pluriennale per la cifra allora stratosferica di due milioni e settecentomila scudi (ogni scudo era 0,4 onze siciliane, la teorica massima moneta di conto siciliana). Re Filippo concede ai Messinesi il diritto di avere il Viceré per la metà del mandato, ma questi non rispettarono molto tale diritto La manovra finanziaria colpì moltissimo Messina, esportatrice di seta, che alla fine ottenne da Madrid la sconfessione dei deliberati del Parlamento e del viceré. Filippo II (III di Spagna) concesse nel 1616 a Messina anche il privilegio formale di avere la residenza del viceré per 18 mesi su 36 di mandato. Questo privilegio, dato per carezzare il municipalismo della seconda città dell’Isola, caratterizzata da una forte vocazione mercantile e anche industriale (della seta), creava però disfunzioni all’amministrazione del Regno, talché fu raramente osservato con scrupolo dai viceré, che preferivano risiedere più spesso a Palermo. La mancata attuazione di questo dispositivo, però, esasperava gli animi dei Messinesi e creava un profondo solco tra le due città e risentimenti crescenti nel tempo.

Da Filippo II (III di Spagna) a Filippo III (IV di Spagna): l’ultima ondata di peste in Sicilia

L’ultimo viceré di Filippo II, il Conte di Castro, governò per diversi anni senza particolari eventi politico-istituzionali degni di nota. Il viceré Emanuele Filiberto di Savoia, ormai regnante Filippo III (IV di Spagna), mori di peste nel 1624, fatto che vogliamo ricordare perché quella di tale anno è l’ultima epidemia di peste della storia siciliana. Mentre altrove in Europa se ne avrebbero avute altre ondate, qui qualche focolaio successivo sarebbe stato facilmente isolato e sconfitto. Segno questo, forse, che le condizioni igienico-sanitarie e le metodologie di isolamento delle malattie stavano cominciando a fare qualche progresso.

Proposta-shock dei Messinesi a Madrid: dividere in due il Regno di Sicilia!

Dopo il brevissimo e insignificante viceregnato del Tavora, sotto il successore di questi, l’Albuquerque, l’ostilità di Messina contro Palermo giunse al culmine, arrivando ad offrire a Madrid il congruo donativo di un milione di scudi per dividere la Sicilia definitivamente in due viceregni. Palermo mandò a corte una lunga memoria in difesa dell’unità del Regno. Il re, da un lato comprendeva che la proposta era eversiva, dall’altro aveva sempre bisogno di denaro e restò in bilico, rinviando la questione. Tutto ciò fu occasione, in ultimo, per la corte di spillare altri soldi alla Sicilia (500.000 scudi). Sotto il Duca di Albuquerque, in compenso, tacquero le armi. Si ebbe una richiesta di aiuto di fanti siciliani per un’operazione nel Ducato di Milano, una delle tante vicende della Guerra dei Trent’Anni, ma questi non arrivarono neanche in tempo sul luogo dei combattimenti che questi erano già finiti. La questione della scissione del Regno fu rimessa dal Re al Parlamento straordinario del 1630, già governando il successore, Afan de Ribera, duca di Alcalà, sia pure nella carica meno prestigiosa di “Luogotenente”, nel quale la Corona chiese una seconda volta altri 250.000 scudi, questi addirittura in “moneta castigliana”, ciò che il Parlamento però ebbe il coraggio di rifiutare come contrario alle consuetudini (cioè alla Costituzione) del Regno. Il Regno mantenne così la sua unità e Messina fu ricondotta all’ordine dall’Alcalà anche dallo stato di semi-indipendenza in cui era governata dall’aristocrazia locale. L’ultimo atto del luogotenente fu quello di ordinare la stampa nuovamente del corpus delle leggi siciliane, non più pubblicate unitariamente dall’ormai lontano 1574 ad opera del Magnus Siculus.

Sotto il Presidente del Regno Moncada di Paternò si ripubblicano le leggi “sicule” mentre i rapporti con i Cavalieri di Malta si fanno tesi

Questa incombenza però cadde sul genero dell’Alcalà, Moncada di Paternò, lasciato come Presidente del Regno per un’ambasceria del suocero, che poi morì senza fare più ritorno in Sicilia. Nel 1636/37 si ebbe così la poderosa pubblicazione in parola. Sotto questa presidenza, relativamente lunga (fino al 1639) venne disposto il sequestro delle navi maltesi, i cui cavalieri francesi non mancavano di saccheggiare le coste siciliane. Questo fatto di cronaca, per quanto circoscritto, segna un punto di svolta rispetto al precedente secolo, nel quale troviamo i Maestri di Malta come fedeli sudditi che accorrono prontamente agli ordini dei viceré, per quanto dotati di esercito, flotta e governo autonomo. Ora, benché i rapporti poi si sarebbero normalizzati, il rapporto tra la debole corona siciliana (una corona senza re proprio) e il potente ordine infeudato erano quasi quelli tra due stati sovrani, anche se gli atti di vassallaggio non venivano mai meno. Nel 1638, nella spasmodica ricerca di risorse, il Moncada fece introdurre dal Parlamento l’imposta testatica (un giorno di rendita per chi viveva di rendita, un giorno di salario, per chi viveva di salario, nulla per i mendici). Al di là della contingenza di tale richiesta, essa è significativa di una modernizzazione delle finanze, introducendosi per la prima volta una sorta di tassazione proporzionale al reddito, ben oltre le suddivisioni arbitrarie che c’erano state sino ad allora.

Quel giorno che l’esercito siciliano andò a reprimere gli indipendentisti catalani…

Dopo il viceregno brevissimo del Conte di Assumar, vediamo tornare in Sicilia nel 1641, dalla Spagna, un Cabrera, conte di Modica e Grande Ammiraglio di Castiglia, discendente di quel famoso Conte Cabrera che aveva sfidato la Regina Bianca negli ultimi anni del regno indipendente. Il ricco e potente signore feudale tenne tranquillo il Regno ma sotto di lui successe qualcosa che, pur comprendendosi con lo spirito dei tempi, oggettivamente non è qualcosa di cui la Sicilia possa andare esattamente orgogliosa. In una Spagna in crisi, Portogallo e Catalogna scuotono il giogo. Con il Portogallo non c’è nulla da fare: la casa di Braganza riconquista l’indipendenza con tutto il suo impero coloniale, seppure di molto ridotto a favore degli olandesi negli anni dell’unione con la Spagna. Sulla Catalogna si concentrano invece tutti gli sforzi della Spagna che alla fine riesce a piegare quel popolo orgoglioso. Per farlo chiede aiuto anche alla Sicilia. E il Parlamento di Sicilia del 1642 accorda al re un sussidio straordinario di denaro e soldati per togliere la libertà a quel popolo che, bene o male, secoli prima era stato il migliore alleato nella lotta contro l’Angioino. Sarebbe antistorico legare due eventi tanto lontani nel tempo, ma non può farsi a meno di notare la paradossalità di tale situazione. La Sicilia, del resto, allora non poteva disporre più di una propria politica estera se non nel piccolo cabotaggio dei rapporti frontalieri. L’unione personale con la Spagna aveva i suoi dazi da pagare, rari, ma inevitabili.

…Ma anche la Sicilia è inquieta, nell’era di Cromwell, della Fronda Francese e di Masaniello…

Del resto anche in Sicilia, come un po’ in tutta Europa, non mancarono le agitazioni politiche. C’è un filo conduttore che lega Catalogna, Napoli, Sicilia, Inghilterra… La potenza spagnola declinava e i Siciliani, anzi i borghesi e popolani siciliani, alzavano o provavano ad alzare la testa. La storiografia ha speso fiumi di parole sulla contrapposizione tra i “Cavalieri” e le “Teste rotonde” di Cromwell in Inghilterra, ma non coglie il parallelo flusso di eventi che si registra anche nella più piccola Sicilia. La differenza sostanziale fu che l’aristocrazia, quella che preferiva il re lontano distratto a un governo nazionale più attivo, ebbe la meglio in Sicilia a differenza che in Inghilterra, ma le dinamiche “di classe” non sembrano poi così distanti. La storiografia italiana di una Sicilia immobile appartiene più al dominio della mitologia e dell’ideologia, funzionale alla teoria della “redenzione” italiana, che non a quello della realtà. Questi fatti sarebbero dovuti precipitare tutti sotto il viceregno del Marchese di Los Velez, e poi sotto la luogotenenza del cardinale Trivulzio.

Come a Londra il Parlamento si scontra con la Corona sulla politica tributaria

Già il Parlamento del 1645 per la prima volta della storia bocciò ogni donativo straordinario, e si limitò solo a quelli ordinari, e addirittura furono abolite alcune gabelle. Anche qui, come a Londra, il Parlamento era il luogo in cui la Nazione trovava la sua più alta rappresentanza e il luogo in cui i conflitti tra le parti sociali in materia finanziaria trovavano il loro luogo di elezione. L’occasione dei tumulti fu però una prolungata carestia. Una prima sollevazione si ebbe a Messina, dove fu tentato di diminuire il peso del pane. La rivolta fu domata, ma si dovettero dare provvidenze perché il pane non mancasse più nella città dello Stretto.

La prima rivolta di Palermo e le riforme “democratiche” che ne seguirono

A Palermo le cose andarono in modo più complesso. Il Senato di questa città, infatti, forte dell’esperienza messinese, volle evitare di diminuire il peso e ricorse all’indebitamento, trovandosi però presto in una condizione finanziariamente insostenibile. Finita la crisi alimentare, restò il “buco” finanziario e il Tribunale del Real Patrimonio insisté per la riduzione del peso del pane, non più per la carestia, ma per quella che oggi diremmo l’austerity, cioè per risanare il tesoro del Comune di Palermo. Questo “tesoro”, poi, custodito nel banco comunale, la “Tavola” di Palermo, era di massima importanza per tutto il regno perché i mandati del Governo viceregio avvenivano in “moneta di banco”, cioè per mezzo di polizze emesse sul banco stesso, che faceva anche da Tesoreria dello Stato e, in un certo senso, da “banca centrale”. Le vicende palermitane erano quindi di interesse per tutta la Sicilia, mentre la “Tavola” di Messina, per quanto rendesse autonoma finanziariamente quella città, aveva solo dimensione municipale. Ne scaturì una rivolta, che il Viceré non affrontò, preferendo fuggire dal Palazzo. Alla fine il popolo ebbe la meglio: alcune gabelle furono abolite, il peso del pane ripristinato, due consoli su cinque dovevano essere di estrazione popolare e non più nobiliare. Quest’ultima riforma, come quella analoga di cui abbiamo parlato a Messina, sarebbe stata destinata a permanere. L’unico problema era che i conti della città non tornavano più. Mediatori in questa vicenda furono le “Corporazioni di Arti e Mestieri”, cioè la borghesia, che tenne a freno il popolino, già organizzate nel Consiglio Civico di Palermo, e che ora acquistavano un potere sempre maggiore. I Consoli di questa borghesia presero in pratica il controllo militare di Palermo, e la nobiltà e lo stesso viceré erano in condizione di scacco.

Fine 29esima puntata/ Continua

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Foto dei Paliotti del ‘600 al Castello Ursino foto BlogSicilia

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