Storia di Francesco Saverio Nitti, lo studioso che nel 1900 dimostrò scientificamente che il Nord derubava il Sud

14 maggio 2021
  • L’economista lucano, docente universitario poco più che trentenne, pubblicò “Principi di scienza delle finanze”, opera che è diventata nota in tutto il mondo
  • Fino a prima di Nitti il Sud e la Sicilia erano economicamente arretrati perché antropologicamente inferiori. La forza dei numeri e della cultura assestò un colpo a certi razzisti e disonesti del Nord. Che purtroppo ci sono ancora
  • Nitti dimostrò che un’iniqua distribuzione della spesa pubblica, nel periodo 1862- 1897, aveva favorito il Nord e penalizzato il Sud. La cosa incredibile è che ancora oggi è così!
  • I Borbone erano molto più corretti degli italiani. Non a caso, nel Nord, la parola “Borbone” ha un’accezione negativa. Così come, per noi del Sud e della Sicilia, le parole “Nord Italia” sono in alcuni casi sinonimi di banditi e predoni
  • Da Nitti ad oggi la situazione è mutata? Come già accennato, assolutamente no!

di Michele Eugenio Di Carlo

L’economista lucano, docente universitario poco più che trentenne, pubblicò “Principi di scienza delle finanze”, opera che è diventata nota in tutto il mondo

Francesco Saverio Nitti (Melfi 1868 – Roma 1953), l’economista lucano che sarebbe diventato Presidente del Consiglio nel 1919, pubblicava nel 1900 a Torino un volumetto, destinato a renderlo famoso, sulla ripartizione territoriale delle entrate e delle spese dello Stato dal titolo “Nord e Sud”, edito dall’amico deputato torinese Luigi Roux. L’autore, all’epoca trentaduenne e già docente ordinario di Scienza delle Finanze e Diritto finanziario presso l’Università di Napoli, con questo testo verrà annoverato tra i maggiori studiosi meridionalisti, avendo affrontato per la prima volta in maniera compiuta e originale il tema del bilancio dello Stato dal 1862 al 1896-97 e avendo portato alla luce, contrariamente a quando era allora comunemente ritenuto da politici, studiosi, accademici, l’iniqua ripartizione della spesa pubblica in Italia: dall’unità in poi il Mezzogiorno aveva subito un continuo e costante drenaggio di risorse atto a favorire lo sviluppo infrastrutturale e industriale dell’Italia settentrionale. Nitti, il cui nonno paterno dal passato carbonaro era stato ucciso a Venosa dai briganti di Carmine Crocco in una reazione filoborbonica, sarà aspramente contestato e, addirittura, accusato di aver fomentato e alimentato divergenze e contrasti in un’Italia, allora come oggi, già profondamente divisa. Ciononostante, le lucide analisi di Nitti, che indicavano chiaramente la responsabilità delle politiche attuate dai governi, succedutisi nel primo quarantennio unitario, per aver sostenuto e accresciuto il divario tra le “Due Italie”, lo porteranno nel 1903 a pubblicare il testo “Principi di scienza delle finanze” , un’opera di fama mondiale adottata da diverse università in Italia e all’estero, e nel 1904 ad essere eletto nel Parlamento. Da deputato, Nitti metterà le sue competenze a disposizione di Giovanni Giolitti, parteciperà all’inchiesta sulle condizioni economiche e sociali della Basilicata e della Calabria, sarà impegnato nella costituzione dell’Ente Volturno, volto alla produzione di energia elettrica, e nelle trattative affinché nascesse a Bagnoli l’Ilva, al fine di restituire all’ex capitale Napoli uno spiraglio di produzione industriale.

Fino a prima di Nitti il Sud e la Sicilia erano economicamente arretrati perché antropologicamente inferiori. La forza dei numeri e della cultura assestò un colpo a certi razzisti e disonesti del Nord. Che purtroppo ci sono ancora

In “Nord e Sud”, l’economista lucano sgombra il campo da analisi superficiali o di comodo che tentavano di ridurre a mera speculazione antropologica la natura del divario che si era venuto creando negli ultimi decenni. A chi legava il mancato sviluppo del Mezzogiorno con razzistiche teorie che suggerivano l’inferiorità della “razza” meridionale, Nitti opponeva analisi, studi, statistiche che dimostravano scientificamente che il divario tra le due aree del Paese era diventato così consistente in relazione a precise scelte di politiche finanziarie, economiche e doganali. Nitti si contrapponeva nettamente alla tesi «molto comune […] non solamente radicata nel Nord d’Italia, che il Sud sfrutti il bilancio nazionale»; i meridionali non pagavano affatto meno tasse e meno imposte come era solito dirsi e non conservavano i propri risparmi in maniera improduttiva come si credeva comunemente. Anzi, il Mezzogiorno fino al 1860 aveva conservato «più grandi risparmi che in quasi tutte le regioni del Nord», vi si «viveva una vita molto gretta, ma dove il consumo era notevolmente alto». E fino a prima delle politiche doganali del 1887, tra il 1880 e il 1888, «la ricchezza agraria del Veneto non era superiore a quella della Puglia, e tra Genova e Bari, tra Milano e Napoli era assai minore differenza di sviluppo economico e industriale che ora non sia. Ma adesso (1900, n.d.a.), insieme a una diminuzione nella capacità di consumo, si notano i sintomi allarmanti dell’arresto del risparmio, dello sviluppo della emigrazione povera, della pigra formazione dell’industria di fronte al bisogno crescente. Tra il 1870 e il 1888 la importanza del Mezzogiorno nella vita sociale ed economica dell’Italia era molto maggiore che oggi non sia» .

Nitti dimostrò che un’iniqua distribuzione della spesa pubblica, nel periodo 1862- 1897, aveva favorito il Nord e penalizzato il Sud. La cosa incredibile è che ancora oggi è così!

Emergeva chiaramente dall’analisi dei bilanci dello Stato dal 1862 – anno di unificazione del sistema tributario con l’estensione agli altri Stati preunitari del sistema fiscale piemontese ad opera del ministro livornese Pietro Bastogi, tramite ben cinque disegni di legge – al 1896-97, che il divario nord-sud era notevolmente cresciuto, non solo a causa di una iniqua ripartizione territoriale della spesa pubblica, ma anche per la deleteria sostituzione del «semplice e quasi elegante organismo della finanza napoletana» con gli ordinamenti finanziari del Regno di Sardegna, gestiti da una macchina burocratica dal «numero strabocchevole di agenti di ogni grado…» . Grazie agli studi di Nitti iniziava a delinearsi un quadro delle finanze degli Stati preunitari che si era cercato accuratamente di occultare: «senza l’unificazione dei varii Stati, il regno di Sardegna per l’abuso delle spese e per la povertà delle risorse era necessariamente condannato al fallimento» ; le finanze piemontesi si erano salvate dal fallimento grazie all’annessione violenta del Regno delle Due Sicilie.

I Borbone erano molto più corretti degli italiani. Non a caso, nel Nord, la parola “Borbone” ha un’accezione negativa. Così come, per noi del Sud e della Sicilia, le parole “Nord Italia” sono in alcuni casi sinonimi di banditi e predoni

Ai Borbone si potevano fare le critiche più disparate, «ma qualunque il giudizio che si dia di essi non bisogna negare che i loro ordinamenti amministrativi erano spesso ottimi; che la loro finanza era buona e, in generale, onesta» . E queste considerazioni, coraggiose ed esplosive per quei tempi, Nitti le ricavava da documenti inoppugnabili: la pubblicazione del Ministero delle Finanze del luglio 1860 sui bilanci napoletani dal 1848 al 1859 e la relazione di Vittorio Sacchi, inviato fiduciario a Napoli del Conte di Cavour, in qualità di segretario generale delle finanze dal 1° aprile al 31 ottobre 1861. Eppure ancora oggi, persino nei vocabolari, il termine borbonico viene impropriamente utilizzato nell’accezione negativa quale sinonimo di cattiva amministrazione o di ridondante e poco trasparente burocrazia.

Da Nitti ad oggi la situazione è mutata? Come già accennato, assolutamente no!

Dalle analisi di Nitti del 1900 ad oggi, le politiche economiche e finanziarie italiane in riferimento alla ripartizione territoriale della spesa pubblica sono diventate più eque? La risposta la troviamo nel Rapporto Italia 2020 dell’Eurispes, l’Istituto di Studi Politici, Economici e Sociali degli italiani, il quale attesta incontrovertibilmente che, in relazione alla percentuale di popolazione residente, nel Mezzogiorno dal 2000 al 2017 è stata sottratta una somma pari a 840 miliardi. Tanto che il presidente Gian Maria Fara, commentando il rapporto ha indirettamente reso merito a proprio a Nitti, dichiarando ad una stampa distratta le seguenti significative espressioni: «Sulla questione meridionale, dall’Unità d’Italia ad oggi, si sono consumate le più spudorate menzogne. Il Sud, di volta in volta descritto come la sanguisuga del resto d’Italia, come luogo di concentrazione del malaffare, come ricovero di nullafacenti, come gancio che frena la crescita economica e civile del Paese, come elemento di dissipazione della ricchezza nazionale, attende ancora giustizia e una autocritica collettiva da parte di chi – pezzi interi di classe dirigente anche meridionale e sistema dell’informazione – ha alimentato questa deriva».

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