Pomodoro, l’operazione anti-caporalato in Puglia e l’abbandono del pomodoro di pieno campo in Sicilia

6 aprile 2021
  • In Puglia, nonostante l’attenzione che c’è oggi sul caporalato, continuano a fruttare i i lavoratori extracomunitari 
  • 4 euro l’ora: questa la retribuzione, circa 32 euro al giorno per otto ore di lavoro, quando il contratto nazionale prevede una retribuzione di circa 80 euro al giorno 
  • In Sicilia si va sempre più riducendo la coltivazione del pomodoro di pieno campo  
  • La globalizzazione dell’economia: un sistema 
  • La globalizzazione dell’economia: un sistema folle che penalizza agricoltori, lavoratori e consumatori

In Puglia, nonostante l’attenzione che c’è oggi sul caporalato, continuano a fruttare i i lavoratori extracomunitari 

L’operazione anti-caporalato di qualche giorno fa andata in scena tra Foggia e Manfredonia, in Puglia – peraltro in una regione dove il Covid ‘morde’ – dà la misura non soltanto dello sfruttamento di lavoratori extra-comunitari, ma anche della confusione che regna ormai in agricoltura. Cominciamo col dire che si tratta della raccolta di pomodoro di pieno campo. “I migranti – leggiamo su La Gazzetta del Mezzogiorno – venivano pagati 4 euro l’ora per lavorare nei campi del Foggiano, se sbagliavano il conteggio dei pomodori raccolti pagavano una sanzione, e per essere trasportati sul luogo di lavoro venivano ammassati in 20 all’interno di furgoni da nove posti. E’ quanto accertato dai carabinieri di Foggia che hanno arrestato tre imprenditori (2 ai domiciliari, 1 in carcere, un altro è ricercato), e hanno eseguito sei misure cautelari dell’obbligo di firma. Gli indagati sono accusati di sfruttamento del lavoro e intermediazione illecita. Nell’ambito della stessa operazione anti caporalato sono state sottoposte a controllo giudiziario otto aziende di Stornara (Foggia) e contestualmente sono stati sequestrati beni strumentali per dieci milioni. «Si tratta – spiegano gli investigatori – di aziende agricole importanti nel territorio foggiano con un fatturato complessivo annuo pari a sei milioni di euro». Le indagini sono partite a giugno scorso e hanno interessato l’area circostante la baraccopoli di Borgo Mezzanone, insediamento abusivo dove vivono stabilmente circa duemila migranti. «Inizialmente – aggiungono gli inquirenti – i migranti sono apparsi reticenti con i militari poi però hanno ben compreso che si trattava di una opportunità». Nel corso di una perquisizione in una impresa, i carabinieri hanno anche sequestrato un tariffario aziendale in cui i braccianti venivano suddivisi per nazionalità e tipo di lavoro svolto” (qui l’articolo de La Gazzetta del Mezzogiorno).

4 euro l’ora: questa la retribuzione, circa 32 euro al giorno per otto ore di lavoro, quando il contratto nazionale prevede una retribuzione di circa 80 euro al giorno 

Impressiona la facilità con la quale si viola la legge. In questa storia c’è una baraccopoli dove vivono circa 2 mila migranti. Ci sono vasti appezzamenti coltivati a pomodoro. Non è difficile capire che sfruttare questi lavoratori, oltre che immorale, è anche rischioso. Ma da quelle parti sono disposti anche a rischiare. Ma gli è andata male. “Più di 100 militari, supportati altresì dai reparti specializzati dell’Arma dei Carabinieri (Squadrone Eliportato Carabinieri Cacciatori, Nucleo Cinofili e Nucleo Elicotteri) – scrive ITALIAFRUIT NEWS – hanno eseguito, nella provincia, delle misure cautelari personali nei confronti di alcuni soggetti e il sequestro dei beni mobili e immobili delle aziende agricole ad essi riconducibili… Dopo l’iniziale reticenza, alcuni braccianti avvicinati dai militari capirono che era l’occasione giusta per denunciare la vicenda, per questo confermarono di essere schiavizzati, affermando inoltre di percepire circa 4 euro all’ora, la metà dei soldi previsti dal contratto collettivo nazionale. ‘L’autista-caporale’ percepiva invece 5 euro per il trasporto. I reati: intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”. 4 euro all’ora, per otto ore di lavoro sono 32 euro al giorno, a fronte di un contratto nazionale he prevede il pagamento di circa 80 euro al giorno.

In Sicilia si va sempre più riducendo la coltivazione del pomodoro di pieno campo  

Noi, da qualche anno, raccontiamo dell’impossibilità di coltivare il pomodoro di pieno campo in Sicilia. Qual è la situazione nella nostra Isola l’ha illustrato circa tre anni fa Cosimo Gioia, un agricoltore che non coltiva più il pomodoro di pieno campo. Gioia, produttore di grano duro dalle parti di Valledolmo, per anni ha coltivato il pomodoro: “La nostra è un’ottima salsa di pomodoro. Ma non siamo più nelle condizioni di produrre il pomodoro. E questo nonostante ci sia il mercato, perché, lo ribadisco, il pomodoro di Valledolmo si vende bene. Ma ormai produrre è diventato difficile, se non impossibile. Il perché è presto detto. Intanto ci scontriamo con chi, rispetto a noi siciliani, produce il pomodoro di pieno campo a prezzi bassissimi. Il costo del lavoro in Cina e in Africa è irrisorio. Impossibile competere. Poi noi utilizziamo in modo oculato pesticidi di ultima generazione che hanno un certo costo e sono sicuri. In certe aree del mondo, invece, utilizzano ancora pesticidi che in Italia sono stati banditi negli anni ’60 e ’70, prodotti chimici dannosi per la salute umana che costano pochissimo. Ribadisco: impossibile competere. Direte: il pomodoro per salsa di Valledolmo si vende bene. Vero. Ma costa anche produrlo. E il costo del lavoro, per chi rispetta la legge, è impossibile. Per chi non la rispetta scatta l’accusa di ‘caporalato’. E, in ogni caso, i controlli non danno tregua. Insomma, tra costo del lavoro e controlli è meglio non coltivare più il pomodoro. Noi, ogni anno – conclude Gioia – seminavamo a pomodoro di pieno campo non meno di venti ettari. E, talvolta, anche di più. Tra semina e raccolta davamo lavoro a un bel po’ di persone. Da qualche anno abbiamo smesso. E come me hanno smesso in tanti. Oggi coltiviamo, sì e no, un ettaro di superficie a pomodoro. Quello che serve per la nostra casa. Mi chiede che passata di pomodoro mangiano i siciliani? Provi a rispondere lei” (qui l’articolo per esteso).

La globalizzazione dell’economia: un sistema folle che penalizza agricoltori, lavoratori e consumatori

Siamo tornati a scrivere del pomodoro nel Dicembre dello sorso anno. Il titolo del nostro articolo è molto diretto: “Se resteremo nella Ue in pochi a anni il pomodoro sparirà sostituito da pomodori africani e cinesi“. Leggiamo qualche passo dell’articolo: “La crisi dei prezzi dell’ ‘oro rosso’ e la crescente concorrenza nordafricana spingono la Spagna a tagliare la produzione di pomodoro fresco per dedicarsi ad altre colture maggiormente redditizie: nel prossimo decennio i raccolti diminuiranno del 20%. Il dato è contenuto nella relazione di previsione 2020-2030 per l’agricoltura Ue, che evidenzia una conferma sostanziale dei volumi negli altri Paesi comunitari a fronte di un continuo aumento delle importazioni”. Di fatto, l’aumento delle importazioni di pomodoro da Cina e Africa sta mettendo in ginocchio gli agricoltori del Sud Europa che producono pomodoro. E tra questi c’è la Sicilia”. In Cina e in Africa il costo del lavoro in agricoltura è molto basso, almeno dieci volte inferiore al costo del lavoro in agricoltura dell’Italia. Risultato: non si può competere con chi produce pomodoro a costi così bassi. E infatti in Spagna stanno riducendo gli ettari coltivati a pomodoro. Alla fine, in questo sistema, il conto lo pagano i lavoratori extra comunitari e i consumatori italiani. I primi – i lavoratori extra comunitari – o vengono sfruttati o non lavorano, quanto meno non lavorano più nella raccolta del pomodoro (ma il problema riguarda anche altre colture). I secondi – i consumatori italiani – il pomodoro continuano a portarlo in tavola, fresco e trasformato: ma che pomodori e che passata di pomodoro mangiano? Da dove arriva? Come viene prodotta? Dovrebbe essere l’Unione europea ad intervenire, per tutelare le nostre produzioni. Ma l’Unione europea appoggia questa folle logica liberista.

 

 

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