Creso, il grano dei misteri: un OGM non transgenico che ha conquistato il mondo

17 febbraio 2021
  • Un OGM non transgenetico
  • Una varietà selezionata per contrastare l’allettamento
  • Un successo strepitoso
  • Ma non mancano i dubbi
  • Tra le “moderne tecnologie” ci sono, ovviamente, le modificazioni genetiche
  • La tesi del fondatore dell’Eubiotica in Italia
  • Meglio tornare ai grani duri locali

Un OGM non transgenetico

Alcuni lettori ci hanno chiesto notizie della varietà di grano duro Creso. Quello che sta succedendo nel mondo – con l’impetuoso aumento di malati di celiachia e, in generale, di intolleranze verso il glutine – può essere stato causato dalla diffusione nel mondo di questa varietà di grano duro? Il tema non è nuovo. Chi, nei primi anni ’80 del secolo passato, si occupava di agricoltura lo conosce bene, considerato che, allora, questa cultivar (o varietà, che dir si voglia) di grano duro aveva raggiunto una grande diffusione. E considerato, anche, che ancora oggi è diffusa ed è utilizzata nei programmi di miglioramento genetico del grano duro in tanti Paesi del mondo, dal Canada agli Stati Uniti, dall’Argentina alla Cina, fino all’Australia. Tuttavia, dobbiamo sottolineare subito che gli interrogativi e le polemiche sulla varietà di grano duro Creso, come già accennato, non sono una novità degli ultimi anni. Vanno avanti da tempo. Su tale tema, nella comunità scientifica, non tutti la pensano alla stessa maniera. Non abbiamo la pretesa di raccontare per filo e per segno la storia del Creso. Sollecitati da alcuni lettori che seguono gli articoli che dedichiamo all’agricoltura – e, in particolare, alla cerealicoltura, con riferimento al grano duro, coltura d’elezione del Sud Italia, Puglia e Sicilia in testa – proviamo a fare il punto della situazione.

Una varietà selezionata per contrastare l’allettamento

Cominciamo subito col dire che il Creso è una varietà di grano duro creata in laboratorio nei primi anni ’70 del secolo passato. Se ne volete sapere di più dovete leggere il seguente articolo (Il Creso: il grano frutto della ricerca italiana). Il Creso non va demonizzato. Ma non va nemmeno osannato. Perché è pur sempre, piaccia o no, una varietà di grano duro frutto di una variazione genetica indotta dall’uomo con i raggi gamma. Insomma, è un Organismo Geneticamente Modificato (OGM) non transgenetico (nel senso che nel genoma della varietà di grano duro modificata dai raggi gamma non sono stati inseriti geni: ma è pur sempre un Organismo Geneticamente Modificato). Negli anni in cui il Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare (CNEN) selezionò, con l’uso dei raggi gamma, questa particolare varietà di grano duro – si era nei primi anni ’70 del secolo passato – non c’era né da parte della scienza, né da parte della società civile l’attenzione che c’è oggi verso gli OGM. Va detto, inoltre, che le motivazioni che hanno portato gli scienziati dell’epoca a selezionare questa cultivar di grano duro erano – e sono tutt’ora – valide. Va ricordato che sino alla fine degli anni ’60 quasi tutte le varietà di grano duro erano caratterizzate da una taglia molto alta, che variava da un metro e 40 a un metro e 80 centimetri. Questo creava enormi problemi, perché le piante erano soggette al cosiddetto allettamento, ovvero al ripiegamento delle stesse piante sino a terra: cosa che creava danni sia quantitativi (riduzione della produzione), sia qualitativi. A ciò si aggiungeva il fatto, tutt’altro che secondario, delle produzioni medie per ettaro piuttosto basse (e quindi bassi redditi per gli agricoltori).

Un successo strepitoso

Insomma, la genetica agraria è venuta incontro alle esigenze dell’agricoltura. Ma l’ha fatto con un metodo particolare. I tecnici del CNEN hanno operato la sperimentazione su una delle varietà di grano duro più famose nella storia della granicoltura del Sud Italia: la cultivar Senatore Cappelli. Si tratta di una varietà di grano duro autunnale ottenuta nei primi del ‘900 dal celebre genetista agrario, Nazareno Strampelli, presso il Centro di ricerca per la cerealicoltura di Foggia. Da questa varietà, con i ‘bombardamenti’ di raggi gamma, è venuta fuori la cultivar Creso, che ha il pregio di essere, come dire?, una cultivar un po’ nana (dovrebbe attestarsi intorno agli 80 centimetri di altezza: e quindi niente più allettamenti e relativi danni); è più produttiva (anche perché, non piegandosi, subisce meno danni dai venti e dalle piogge) ed è anche resistente a certe patologie. In più – elemento non secondario – la varietà Creso presentava una percentuale di sostanza proteica (il glutine) maggiore rispetto alle altre varietà di grano duro dell’epoca. Cosa che non dispiaceva certo agli industriali della pasta (oggi ci sono cultivar che contengono percentuali di glutine superiore alla percentuale del Creso originario). Il successo del Creso è stato strepitoso. Nei primi anni ’80 si può dire che il grano duro italiano era rappresentato, in larga parte, dal Creso. E oggi? In molti Paesi del mondo, l’abbiamo ricordato, è ancora centrale nei programmi di miglioramento genetico. In Italia è ancora presente, più nel Centro Italia (dove si coltiva il 20% del grano duro del nostro Paese) che nel Mezzogiorno, dove si tende a valorizzare le varietà locali.

Ma non mancano i dubbi

Ma accanto agli elementi positivi ci sono anche i dubbi. Intanto oggi gli OGM non sono diffusi in tutto il mondo. Ci sono aree del nostro Pianeta dove si utilizzano e zone dove non dovrebbe essere utilizzato. Il condizionale è d’obbligo, perché con la globalizzazione dell’economia non è facile capire quello che succede. Nell’Unione Europea, ad esempio, non ci dovrebbero essere OGM. Ma chi è che ci assicura che ciò avvenga? Basti pensare a tutti i prodotti agricoli trasformati: chi li controlla? Tornando al grano duro, oggi, il vero tema è il glutine. Sui problemi che questa sostanza proteica provoca al nostro organismo abbiamo pubblicato un articolo con un’intervista al professor Alessio Fasano, un medico che è un’autorità mondiale in questo settore: (Tutto quello che dobbiamo sapere sul glutine, dalla celiachia alla Gluten sensitivity.) Il glutine è una sostanza proteica che conferisce alla pasta la tenuta durante la cottura. Questa è la motivazione ufficiale che ha sancito, mettiamola così, la ‘vittoria’ delle varietà di grano duro ricche di glutine sulle varietà di grano duro a contenuto normale di glutine. Ma il glutine non è un toccasana per l’organismo umano. E interessante quello che scrive la specialista in Medicina interna, Sara Farnetti: “Il grano ha sempre avuto tra i suoi costituenti fondamentali una componente tossica, il glutine, con funzioni di riserva per la crescita del germe. Il glutine è una sostanza colloidale, formata da due proteine semplici la Gliadina e la Gluteina che conferiscono al seme un alto grado di collosità e favorisce l’aggregazione sua e l’elasticità dell’impasto”. “La Gliadina – leggiamo sempre nello scritto della dottoressa Farnetti – è una proteina vegetale ricca di acido glutamminico, che risulta particolarmente irritante per le cellule nervose. La Gluteina è una proteina solubile in alcali, ma, quando il ph dell’intestino varia verso l’acido, non è più solubile e quindi non metabolizzabile e diviene una tossina. Il grano primitivo, il monococco, oltre a contenere uno scarso quantitativo di glutine, era dotato di un perfetto equilibrio dei suoi componenti che impediva alla tossicità del glutine di esplicare un’azione lesiva a livello dei tessuti, come avviene quasi sempre nei prodotti della natura, prima delle trasformazioni indotte dalla moderna tecnologia”.

Tra le “moderne tecnologie” ci sono, ovviamente, le modificazioni genetiche

“Le moderne selezioni – scrive sempre Sara Farnetti – hanno modificato questa pianta da cereale, ricco di amidi, ad un’altro con caratteristiche più simili ad una leguminose, per aumentare il contenuto proteico. Appare fondata l’ipotesi che la modifica genetica del frumento sia correlata ad una modificazione della sua proteina e, in particolare, di una frazione di questa, la gliadina, la proteina basica capace di indurre l’enteropatia infiammatoria e quindi il malassorbimento caratteristico del Morbo Celiaco. L’aumento dell’incidenza della Celiachia, quindi, (1 caso ogni 100 o 150 persone con una crescita percentuale del 9% all’anno), potrebbe essere anche dovuta anche ai ripetuti e differenti interventi sulle varietà di grano, presente nella maggior parte degli alimenti che mangiamo, ma occorrerebbe produrre indagini scientifiche ed epidemiologiche accurate”. (qui potete leggere l’articolo per esteso). Come possiamo leggere, la dottoressa Farnetti non esclude l’ipotesi che la modificazione genetica del frumento possa essere stata la causa dell’aumento di certe patologie. Anche se, aggiunge, che bisognerebbe produrre “indagini scientifiche ed epidemiologiche accurate”.

La tesi del fondatore dell’Eubiotica in Italia

Interessante anche la tesi del professor Luciano Pecchiai, storico fondatore dell’Eubiotica in Italia e attuale primario ematologo emerito all’ospedale Buzzi di Milano. “E’ ben noto che il frumento del passato era ad alto fusto – spiega Pecchia – cosicché facilmente allettava, cioè si piegava verso terra all’azione del vento e della pioggia. Per ovviare a questo inconveniente, in questi ultimi decenni il frumento è stato quindi per così dire ‘nanizzato’ attraverso una modificazione genetica”. Si ritorna alla modificazione della gliadina, la proteina basica “dalla quale – leggiamo nel sito Il Fattaccio (qui potete leggere l’articolo per intero) per digestione peptica-triptica, si ottiene una sostanza chiamata frazione III di Frazer, alla quale è dovuta l’enteropatia infiammatoria e quindi il malassorbimento caratteristico della celiachia”. “E’ evidente – ammette lo stesso Pecchiai – la necessità di dimostrare scientificamente una differenza della composizione aminoacidica della gliadina del frumento nanizzato, geneticamente modificato, rispetto al frumento originario. Quando questo fosse dimostrato, sarebbe ovvio eliminare la produzione di questo frumento prima che tutte le future generazioni diventino intolleranti al glutine”. Insomma, i dubbi non mancano, ma la prova non c’è ancora. Però sappiamo che il glutine, più che ai consumatori, serve all’industria della pasta, perché la sua presenza riduce i tempi di essiccazione: più glutine c’è, più ridotti saranno i tempi di essiccazione della pasta, più bassi saranno i costi di produzione e maggiori saranno i guadagni per gli industriali. Questo rende difficile la riconversione della produzione. Intanto il numero dei malati di Celiachia e di intolleranze aumenta.

Meglio tornare ai grani duri locali

Nel passato non lontano – appena qualche decennio fa – l’incidenza della Celiachia era di un caso ogni mille o duemila persone; oggi tale malattia presenta una diffusione maggiore: un caso per ogni 100 o 150 persone. Questi i dati forniti da Adriano Pucci, presidente dell’Associazione Italiana Celiachia. “Siamo dunque nell’ordine, in Italia, di circa 400 mila malati, di cui però soltanto 55 mila hanno ricevuto una diagnosi certa e seguono una dieta che può salvare loro la vita”. C’è chi sostiene l’aumento dei casi di Celiachia sia il frutto diagnosi più accurate. Ma non tutti concordano su tale tesi. In ogni caso, su una tesi ormai concordano quasi tutti: e cioè che è più salutare tornare alle varietà di grano duro tradizionale. Il discorso riguarda il Mezzogiorno d’Italia – Sicilia, Puglia e Basilicata in primo luogo – per la produzione di grano duro; ma riguarda tutti i cittadini, o meglio, la salute di tutti i cittadini. Una pasta con meno glutine non crea problemi. E non è vero che non tiene la cottura: basta stare un po’ più attenti. Dunque, mangiate pasta con grano siciliano, pugliese, lucano: in una parola, mangiate la pasta, il pane e tutti gli altri prodotti preparati con grano duro locale.

Foto tratta da Rivista di Agraria.org

 

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