Appesi per i polsi con una vite aguzza che entrava nella carne e arrivava alle falangi: le torture dei piemontesi ai siciliani

31 gennaio 2021
  • La storia dell’invasione dei piemontesi in Sicilia ignota alle scuole
  • “I ceppi di tortura” erano richiestissimi per infliggere atroci sofferenze ai siciliani che non si sottomettevano ai ‘civili’ piemontesi
  • Soffrivano di più perché non morivano dissanguati. Arti flagellati per uomini e donne, compresi fanciulli, disabili e donne gravide

“Carnefici” di Pino Aprile: un libro da leggere. La storia dell’invasione dei piemontesi in Sicilia che non si studia

Il maggiore Frigerio qualche problema con il sadismo doveva avercelo, perché fu lui il primo a sperimentare “i ceppi di tortura”; e proprio a Licata (Sicilia, n.d.r.). Fu subito imitato da tanti suoi colleghi… Sui ceppi di tortura inaugurati da Frigerio, è stato Alessandro Fumia, dell’associazione messinese di ricerche storiche “Amici del Museo”, a trovare i dettagli che rendono la faccenda più disgustosa.

“I ceppi di tortura” erano richiestissimi per infliggere atroci sofferenze ai siciliani che non si sottomettevano ai ‘civili’ piemontesi

“Furono inventati da un ex garibaldino,” dice, e davvero non c’è limite alla gratitudine per certi liberatori “e il maggiore Frigerio fu il primo a sperimentarli, a Licata, su una popolazione afflitta da 25 giorni di assedio. I ceppi erano costituiti da due particolari anelli di ferro, forniti di bulloni espansivi (quattro ogni anello). Il torturato, con i polsi imprigionati, veniva “appeso” tramite cinghie di cuoio legate agli anelli. Gli anelli erano congiunti con una base con buco filettato, in cui scorreva una lunga vite senza fine e aguzza in punta che, avanzando fra i polsi serrati, li avrebbe attraversati dal basso verso l’alto (i palmi delle mani giunte e le falangi), facendosi spazio nella carne. Questi ceppi furono uno strumento di tortura richiestissimo dai militari in missione fraterna al Sud. Da una fonte francese si apprende che ne furono costruiti 400 in Piemonte e altre decine nei luoghi di tortura.

Non morivano dissanguati e soffrivano di più. Arti flagellati per uomini e donne, compresi fanciulli, disabili e donne gravide

Erano ritenuti molto efficienti, per due motivi: l’afflitto avendo gli arti superiori posti in tensione sulla testa, una volta ferito non rischiava di morire dissanguato. In più, essendo legato e posto soppeso, provava un intenso dolore persistente, misto a infiammazione, quando la vite spingeva sempre più nella carne fino alle ossa, provocando uno spasmo infinito. Dal punto di vista militare, l’esperimento era riuscito e tale obbrobrio fu esteso a tutta la Sicilia, moltiplicando i supplizi e le morti. Secondo altre fonti, i torturati, rei o sospetti tali, di nascondere i renitenti alla leva, disertori di un esercito ancora da formare, venivano flagellati prima alle gambe e alle braccia: indistintamente se uomini o donne, se adulti o fanciulli, se disabili o donne gravide.

Pino Aprile Carnefici, Piemme Edizioni, pag. 310, 311.

Tratto da Regno delle Due Sicilie.eu

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