Lo scippo di Roma: perché Musumeci e Armao hanno detto sì? Il disavanzo lo gestiamo noi, non lo Stato!

18 gennaio 2021
  • Due politici siciliani contro la Sicilia. Chi sono? 
  • Crocetta? Ha fatto danni. Invece Musumeci e Armao che stanno facendo?
  • Egregio assessore Armao, questi non sono ‘risparmi’, sono tagli da macellaio e indiscriminati sulla pelle dei Siciliani  
  • Dal Governo nazionale un RICATTO non un AIUTO!
  • La Sicilia non è commissariata, Roma non può concedere ciò che non è in suo potere

di Massimo Costa

Due politici siciliani contro la Sicilia. Chi sono? 

Il mio recente intervento (qua) sull’accordo “mortale” tra Stato e Regione, ha suscitato un certo interesse (più di 10.000 lettori mentre sto scrivendo), ma anche qualche polemica. Sono costretto perciò a ritornarci e spiegare bene perché la Sicilia nulla deve al Governo Conte. Sgombriamo subito il campo da alcuni terribili equivoci. Intanto non ho nulla di personale contro Giuseppe Conte. Fonti ben informate mi dicono che negli incontri con la Regione lo stesso Conte appariva quasi in imbarazzo per la violenza inaudita (da veri figli di Trojka) dell’accordo raggiunto. Sempre dalle stesse fonti pare che le posizioni più dure contro la Sicilia venissero proprio da dirigenti espressione di ministri o viceministri ricoperti da noti siciliani. Non so se i miei informatori hanno visto e sentito bene, ma il fatto che i nostri più feroci nemici siano proprio i Siciliani a Roma, e che le autorità regional-coloniali “non battano mai ciglio”, per me, ingenuotto, resta sempre un mistero insondabile. “Lo Stato c’è ma la Sicilia…” deve essere strangolata? Boh. Andiamo ai fatti.

Crocetta? Ha fatto danni. Invece Musumeci e Armao che stanno facendo?

Alcuni commentatori si sono indignati perché attribuisco a Conte e Musumeci accordi che invece hanno stipulato Renzi e Crocetta in una stagione passata. Li capisco: sono tanti gli accordi coloniali che la Sicilia stipula (più o meno da quando è caduto Lombardo) che anch’io sto perdendo il conto. No, cari amici! Non stiamo parlando di QUEGLI accordi, quelli in cui a più riprese Crocetta si impegnava rinunciare a TUTTO il gettito dei contenziosi costituzionali, a rinunciare ad ogni e qualunque autonomia legislativa ed esecutiva, a cancellare i residui attivi verso lo Stato, ad accontentarsi di una frazione di IRPEF e IVA senza che lo Stato indicasse la copertura finanziaria di questa contrazione… NO, non stiamo parlando di QUEGLI ACCORDI, ormai tristemente storici. Stiamo parlando di un NUOVO ACCORDO, fresco fresco, IN CUI LA REGIONE SI STA IMPEGNANDO, PUR ESAUSTA, A FARE 1,74 MILIARDI DI TAGLI NEL PROSSIMO DECENNIO, CASO CREDO UNICO IN ITALIA! In cambio di che? Ora ci arriviamo. È pur vero che l’ultimo di quegli accordi nefasti, quello sull’IVA, arrivò poi in Consiglio dei Ministri nel dicembre 2017 per tradursi in decreto legislativo nel successivo 2018, quando già c’era Musumeci. Allora il nostro Presidente, invitato come “Ministro”, delegò l’assessore Falcone, e il decreto fu approvato all’unanimità, senza neanche mezza dichiarazione a verbale da parte del delegato del Presidente-“Ministro”. Quindi, anche su QUEGLI accordi, Musumeci porta una responsabilità gravissima. Ma ora non stiamo neanche parlando di ciò: stiamo parlando di QUESTI accordi, nuovi, e per certi versi ancor più devastanti nei loro effetti di quelli di Crocetta.

Egregio assessore Armao, questi non sono ‘risparmi’, sono tagli da macellaio e indiscriminati sulla pelle dei Siciliani 

I “tagli” sono stati pudicamente chiamati dal Vicepresidente Armao “risparmi”. E detto così suona pure bene. Non volete risparmiare sugli stipendi dei dirigenti regionali? Ma che difendete l’indifendibile? Eh no, cari amici, le parole hanno un peso. Se alla Regione fossero imposti “risparmi”, per eliminare sprechi o privilegi, il cui gettito poi venisse dirottato sui bisogni dei Siciliani, io oggi sarei il primo a battere le mani! Ma qua non possiamo chiamarli risparmi se l’esito di questa mannaia è togliere risorse nette alla Sicilia per darle allo Stato che poi le dirotta verso le parti già più ricche del Paese. Questi non sono “risparmi”, On. Prof. Armao, questi sono solo “tagli”, tagli da macellaio e indiscriminati sulla pelle dei Siciliani, fatti per fare un regalo netto allo Stato. Chiamiamo le cose con il loro nome per favore. Ma l’obiezione in relativo più ricorrente è che dovremmo invece ringraziare il governo Conte, perché ha “consentito” alla Regione di “spalmare” il disavanzo in 10 anziché in 3 anni. E quindi? Questo sarebbe il ringraziamento? Non solo Conte è così buono da farci rientrare poco per volta, ma ci lamentiamo pure se, in cambio, ci chiede una cosuccia “piccola piccola”, come castrarci violentemente? A parte il fatto che un mio amico commercialista molto pignolo da un punto di vista lessicale mi fa notare che tutt’al più si dovrebbe parlare di “ripartizione”: il termine “spalmare” sarebbe forse più indicato per alcuni noti prodotti alimentari applicati sulle fette biscottate. Pignoleria linguistica? Sì, pignoleria, ma che rivela che molto spesso chi parla di questi argomenti, come vedremo giusto più avanti, non sa in genere neanche di cosa si stia parlando.

Dal Governo nazionale un RICATTO non un AIUTO!

A parte ancora il fatto che, se questa narrazione fosse vera (e vedremo che non lo è, se avrete pazienza di seguirmi), a casa mia questo si chiama RICATTO e non AIUTO: ti faccio chiudere il bilancio ma in cambio mi dai i primogeniti da offrire al dio Baal? “Lo Stato c’è”? Direi piuttosto che “ci fa”! Non ci sarebbe niente di male, in linea di principio, a chiedere “rigore in cambio di salvezza”, ma questo sarebbe se si chiedesse una riqualificazione QUALITATIVA della spesa verso usi più produttivi o socialmente più rilevanti, non una mannaia QUANTITATIVA in cui lo Stato “in cambio” saccheggia senza pudore le ultime risorse vitali della Sicilia, quando già questa ha la spesa pubblica pro capite fra le più basse d’Italia e ridotta ai minimi termini. A parte infine il fatto che la Regione non ha perso, nel 2015, la propria potestà esclusiva di gestire la propria contabilità, come la propria amministrazione, come asserito esplicitamente dall’art. 14 dello Statuto, implicitamente dall’art. 19, che impone alla Regione SOLO di mantenere la stessa decorrenza dell’anno finanziario dello Stato e null’altro, e fattualmente dal fatto che la Regione ha sempre legiferato sulla propria contabilità o ha applicato analogicamente le regole della Contabilità di Stato in piena autonomia legislativa ed esecutiva.

La Sicilia non è commissariata, Roma non può concedere ciò che non è in suo potere

Vero è che la Legge 196 del 2009 (la legge-delega da cui deriva l’armonizzazione della contabilità pubblica) è considerata dalla Corte Costituzionale “grande riforma economico-sociale”, e quindi applicata anche alle Regioni a Statuto speciale, ma ciò non comprime l’autonomia legislativa della Regione che, su questioni non primarie, mantiene tutti i propri diritti legislativi. La Regione – in due parole – potrebbe DA SOLA ripartirsi il disavanzo, con una legge regionale, secondo quelle che sono le proprie esigenze. Non è sotto commissariamento dello Stato, se non di fatto e illegittimamente, e quindi lo Stato NON PUÒ CONCEDERE CIÒ CHE NON È IN SUO POTERE. Lo Stato non ha alcun diritto costituzionale di decidere su quanti anni si debba ripartire il disavanzo della Regione. L’unico obbligo che ha la Regione è quello di mantenere l’equilibrio tra le Entrate e le Uscite e, indirettamente, a non fare crescere il debito pubblico nazionale. All’interno di questo ambito, attribuire altri poteri allo Stato è come chiedere a un vicino di casa quando posso affacciarmi al balcone o andare in bagno. E in cambio di questa autorizzazione dargli soldi. Un’estorsione!

Potrei fermarmi qua? Forse sì, ma non posso farlo, perché l’affermazione non è solo moralmente insostenibile; essa è anche oggettivamente FALSA.

Ma di questo parleremo nella seconda puntata/ Continua

 

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