Per rilanciare gli agrumi siciliani e del Sud Italia la globalizzazione dell’economia non serve!/ SERALE

2 gennaio 2021

Al contrario, la globalizzazione dell’economia va combattuta strenuamente. Così come va combattuta la Grande distribuzione organizzata. Per questo non concordiamo con chi pensa che il problema dell’agrumicoltura italiana (che poi è del Sud Italia, perché gli agrumi si producono soprattutto nel Sud) sia la frammentazione delle aziende agricole. Oggi la chiave di volta sono due formule: “Copra Sud” e “Compra Sicilia”

Un articolo sugli agrumi pubblicato da ITALIAFRUIT NEWS ci dà la misura di come, nonostante i guasti che la globalizzazione dell’economia ha provocato, si continui ad andare dietro alla logica del liberismo economico. Leggiamo e commentiamo insieme questo articolo:

“L’elevata frammentazione delle aziende agricole è uno dei limiti principali del settore agrumicolo italiano. Non è certo una novità. Ma è ormai giunto il momento di fare di più se il comparto vuole avere un futuro sereno”.

Queste le parole di Piermichele La Sala, professore associato in Economia e Politica agraria dell’Università di Foggia, durante la 24esima “Giornata di agrumicoltura”, organizzata dall’Alsia (Agenzia lucana di sviluppo e d’innovazione in agricoltura) trasmessa in diretta Facebook.

“In Italia, secondo i dati Ismea – leggiamo nell’articolo – operano oltre 61mila imprese che producono agrumi, con una dimensione media aziendale che si attesta a soli 2,5 ettari. La frammentazione è dunque strutturale, ma ciò si scontra con un mercato sempre più globale e globalizzato e a costi di produzione crescenti”.

Come potete notare, la globalizzazione dell’economia è ormai una fissazione e tutti – secondo questa ‘filosofia’ – si debbono adeguare.

Il professore La Sala ha ricordato “l’importanza dell’aggregazione, sia per organizzare una offerta standardizzata (“controllando quantità e qualità”) e migliorare la competitività, sia per poter sfruttare a pieno le opportunità offerte dalla politica europea ma anche nazionale e regionale”.

Le nostre considerazioni le faremo dopo aver letto tutto l’articolo.

“Il settore italiano degli agrumi – leggiamo sempre su ITALFRUIT NEWS – viene tra l’altro da dieci anni non facili, caratterizzati da problemi fitosanitari (Tristeza in primis) e diverse crisi di mercato, che hanno portato ad un calo importante delle superfici”.

“Nell’ultimo decennio, il nostro Paese ha perso il 16% delle superfici coltivate ad agrumi, le quali sono passate dai 172mila ettari del 2010 ai 145mila del 2019 – ha sottolineato il Professore dell’Università di Foggia -. La contrazione più importante si registra per l’arancio con il -19% (quasi 83mila ettari), seguito dal limone (-14%, circa 26mila ettari) e da clementine e mandarini (-9%, circa 35mila ettari)”.

“Bisogna puntare sull’innovazione, mirata all’introduzione di nuove varietà adatte agli specifici areali, e migliorare significativamente la concentrazione e l’organizzazione dell’offerta, soprattutto dinanzi alla frammentazione strutturale che non consente a tantissime aziende di poter competere sul mercato. I problemi della competitività, della programmazione e dell’organizzazione non si risolvono infatti con interventi di emergenza, con il prezzo garantito o con l’assistenzialismo”.

“Occorre, infine, migliorare l’utilizzo degli strumenti offerti dalla politica agricola: da questo punto di vista, abbiamo due grosse opportunità da cogliere: la nuova Pac 2021/27, con i nuovi Piani Strategici Nazionali, ed il Green Deal Europeo con la strategia Farm to Fork”.

La frammentazione delle aziende agricole è un limite se gli agrumi debbono essere esportati. Ma davvero le Regioni italiane che producono agrumi – che poi sono tutte del Sud Italia: Sicilia in testa con i due terzi della produzione agrumicola seguita dalla Calabria e poi, distanziate, Campania, Puglia, Basilicata e Sardegna – debbono esportare tutta la propria produzione? Assolutamente no, dal nostro punto di vista. E il nostro no ha motivazioni economiche e di salute dei cittadini del Su e della Sicilia.

Intanto va precisato che gli agrumi di alta qualità – è il caso dei limoni di Siracusa, delle arance rosse Moro e Tarocco del Catanese e del Siracusano e le migliori Washington Navel di Ribera – per essere esportate non hanno bisogno di alcuna aggregazione.

Noi non sappiamo quale sia la situazione in Puglia, ma in Sicilia c’è un grosso problema: mentre i migliori limoni e le migliori arance vengono esportati, i siciliani sono costretti a portare in tavola agrumi che arrivano da chissà dove.

A Palermo, ad esempio, è diventato difficilissimo trovare le arance Moro e anche le Tarocco di buona pezzatura, per non parlare dei limoni che, molto spesso, arrivano dal Sudamerica.

L’agrumicoltura siciliana – e a nostro avviso dovrebbero fare la stessa cosa Calabria, Campania e Puglia – fatte salve le produzioni di altissima qualità che sono richieste dal mercato internazionale (senza bisogno di lotta alla frammentazione delle aziende agricole!), dovrebbe puntare a fornire agrumi alle famiglie siciliane, saltando la deteriore intermediazione della Grande distribuzione organizzata.

Oggi la sopravvivenza dell’agricoltura del Sud Italia passa per il mercato a km zero: passa per una lotta serrata alla globalizzazione e alla Grande distribuzione organizzata: passa per i mercati contadini, per i negozi artigianali, per i Comuni che debbono attivarsi per incrementare la cosiddetta agricoltura periurbana.

Ci sono prodotti agricoli di altissima qualità – è il caso dei limoni di Siracusa, o delle Arance rosse della Piana di Catania – che vanno a ruba nei mercati internazionali. E ci sono altri prodotti agricoli di elevata qualità come l’olio d’oliva extra vergine (che per il 90% si produce in Puglia, in Calabria e in Sicilia) che vengono penalizzati da pessimi oli d’oliva prodotti chissà dove e chissà come, venduti a prezzi stracciati!

La vera scommessa, per il Sud Italia e la Sicilia non è l’esportazione con le folli regole della globalizzazione organizzata: perché in agricoltura, con la globalizzazione dell’economia imperniata sui bassi costi di produzione, le ‘schifezze’ soppiantano i prodotti di qualità! (olio extra vergine di oliva insegna!).

Il Sud e la Sicilia se debbono riappropriare della propria agricoltura e delle proprie produzioni. I prodotti agricoli del Sud e della Sicilia – ribadiamo: fatte salve le produzioni di elevata qualità che possono essere vendute all’estero a prezzi altamente concorrenziali – debbono essere consumati nel Sud e in Sicilia.

Quindi Compra Sud e Compra Sicilia, nell’interesse del Sud e della Sicilia!

P.s.

E’ vero che le superfici coltivare ad agrumi, negli ultimi anni, si sono ridotte: nel caso dell’Arancia Rossa per l’attacco di Tristeza, nel caso di limoni e clementine perché subiscono una concorrenza sleale di produzioni di qualità peggiore, ma che hanno il pregio di costare molto meno di limoni (ella Sicilia) e clementine (del Sud Italia). 

Anche in questo caso va incentivato il consumo interno, spiegando ai consumatori del Sud e della Sicilia che pagare un po’ di più limoni e clementine prodotti nel Sud e in Sicilia conviene: si aiutano gli agricoltori, si aiuta l’economia del Sud e della Sicilia e tuteliamo la nostra salute di meridionali e siciliani!  

QUI L’ARTICOLO DI ITALIAFRUIT NEWS

 

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