La lunga storia di petrolio e gas nell’Agrigentino, tra Bivona e le Maccalube di Aragona

1 gennaio 2021

In questo articolo l’autore ci racconta la lunga storia del rapporto tra la Sicilia e gli idrocarburi, petrolio e gas. Dai tempi remoti fino al 500, quando il petrolio arrivava nelle acque del fiume Magazzolo, conteso tra i pescatori che lo raccoglievano con le spugne. Il miraggio del petrolio a a Bivona. Il gas metano delle Maccalubbe di Aragona

di Domenico Macaluso
Ricercatore U.E. progetto “Discovering Magna Graecia” – Direttore Scientifico WWF Sicilia – Area Mediterranea
(Questo articolo è tratto da ‘Geologia dell’ambiente’, periodico trimestrale della SIGEA, la Società Italiana di Geologia Ambientale)

In Agrigentino, Petrensi et Bibonensi agris, fontes sunt, in quibus oleum (quod bituminis est genus) supernatat”.

Tommaso Fazello, 1628.

L’ingerenza delle attività antropiche sugli equilibri che la natura ha consolidato in range temporali lunghi ere geologiche, è tristemente nota ed alla luce della presa di coscienza di questa destabilizzante interferenza, ogni iniziativa suscettibile di influenzare negativamente l’Ambiente, oggi è oggetto di accurate valutazioni preventive. Non è stato così nel passato recente, in quel XX secolo caratterizzato da una sorta di edonismo proteso a rivendicare la supremazia dell’uomo sulla Natura a qualunque costo: sono gli anni ’50 dei test atomici, esasperati sino al rischio di paventare pan-combustioni dell’atmosfera terrestre; sono gli anni di Seveso, gli anni delle selvagge deforestazioni, gli anni di Chernobyl.

L’inizio del nuovo secolo, col disastro petrolifero del Golfo del Messico, non si presenta promettente, ma è innegabile una presa di coscienza planetaria, concretizzata con gli accordi di Pechino e di Parigi, sul contenimento della temperatura del pianeta, sul rispetto della biodiversità
e sulla tutela del patrimonio geologico. Ma molti misfatti perpetrati del
passato sono irreparabili, come la distruzione di geo-siti straordinari non solamente sotto il profilo storico, scientifico o naturalistico, ma persino religioso.

L’OLIO DI SICILIA – Il fenomeno dello sgorgamento spontaneo di idrocarburi in alcuni luoghi della Sicilia, è noto sin dall’antichità,
come testimoniano Aristotele, Ateneo, Diodoro siculo, (1) (2) (3), un fenomeno che non è sfuggito ai cronisti romani (4) ed al grande naturalista Plinio il Vecchio (5), che oltre a descrivere le miniere siciliane di sale, di zolfo e persino quelle di Lapis Specularis, ci riferisce che l’olio
di pietra, scaturisce spontaneamente nel territorio di Agrigentum, un territorio dove gli eventi geologici hanno creato effimere isole vulcaniche come Ferdinandea, i giacimenti di sale iconizzati nella cattedrale sotterranea della miniera di Realmonte, le bianche marne di Scala dei Turchi, i giacimenti di pesci fossili di Aragona, i geodi di gesso selenitico delle miniere di Montallegro e le infernali miniere di zolfo, dove secondo la tradizione cristiana, concluse i suoi miseri giorni Barabba.

È un territorio quello di Agrigento, che con le sue testimonianze archeologiche ed i sui fenomeni naturali, come le Macalube, richiamava tra il settecento e l’ottocento, viaggiatori da ogni nazione e tra le meraviglie che i viaggiatori potevano osservare, c’era anche l’affioramento spontaneo ed esaltato le virtù dell’olio di pietra, un vero e proprio presidio terapeutico, per “… homini et bestie”.

Aristotele, Plinio, Dioscoride, il grande Andrea Mattioli, Brasassola,
Gabriele Falloppio ed i medici della scuola salernitana, hanno fornito le indicazioni terapeutiche ed i modi di somministrazione dell’unguento sgorgato dalla terra ed in particolare Bartolomeo Bertacchi (11) nel 1666, ne ha descritto ed elencato le virtù:

“Alli stomachi, che per essere umidi et frigidi, hanno difficoltà nel fare la digestione, e sono incommodati da catarri, tossi umide, strettezza di petto, puzzore di bocca, vapore alla testa, tremore di cuore. È rimedio efficace per li vermini (ossiuri), per l’apoplessia, mal caduco (epilessia) e vertigine, giova grandemente. Mal di pietra, retenzione d’orina, dolori alla vessica, coliche fredde e mal di punta (?). Non può trovarsi rimedio più efficace,
nell’aiutare la Donna Partoriente, ungendone il pettenecchio (non necessita traduzione) e le sue parti dentro, e fuori. Alle moroidi, ch’escono fuori, rendesi molto utile, ungendole con quest’Oglio, mescolato con oglio di spico. Si può usare ne’ morsi de gli animali velenosi, con ragare la parte offesa, & insieme in tutte le ferite, che non siano mortali. Alle maccatture, e scottature, è sicurissimo rimedio tal’unzione; come pure risana le buganze (escare) causate dal freddo. Impedisce, che nelle piaghe tanto de gli uomini, come de gli animali, non si generino vermini. In tempo di peste, non vi è preservativo, e rimedio migliore. Quest’Oglio riesce eccellentissimo appresso i Pittori, per fare vernici finissime. Per i fuochi artificiali di qual si sia sorte, non si puote trovare cosa migliore, non potendosi tale liquore né con acqua né con neve, né con altra umidità; anzi in queste, e nel vento maggiormente s’accende. Il dett’Oglio, è anche ottimo, & esperimentato per levare qualunque macchia da’ Panni, anche colorati, e neri, benché fossero di grasso, ò d’oglio, ò di altra cosa atti a macchiare”.

OLIO A MARE – A Bivona, in certi periodi, l’affioramento del petrolio raggiungeva livelli notevoli, così da esondare dalla vasca di raccolta, riversarsi nel ruscello Santa Margherita, raggiungere il fiume Magazzolo e sfociare in mare, nella Sicilia sud occidentale, dove per accaparrarsi questo straordinario dono della natura, si scatenava una vera e propria corsa all’oro nero, un tesoro che non poteva andare perduto: decine di imbarcazioni, provenienti da ogni angolo del Mediterraneo, si accalcavano in quello specchio di mare, per raccogliere in una maniera singolare, l’olio che flottava sull’acqua: da alcune scialuppe i marinai chini sull’acqua,
procedevano a raccogliere il petrolio con delle spugne, che inzuppavano nell’acqua intrisa di olio e che poi spremevano in alcuni orci a bordo delle barche. Si trattava di uno spettacolo inconsueto, unico, talmente singolare, da attrarre la curiosità del pittore fiammingo Giovanni Stradano, un raffinato artista ospite della corte di Cosimo I dei Medici, a Firenze.
Stradano visita il sud-Italia nel 1576, dove oltre a documentare (con
la precisone ed il dettaglio dei particolari che lo contraddistinguevano), la tecnica di produzione dello zucchero nel trappeto della Verdura, presso Sciacca, “fotografa” col suo pennello ciò che avviene davanti la foce del Magazzolo, facendo sviluppare quell’immagine, al grande Philip Galle, che la trasforma col suo bulino, in una dettagliata incisione su rame. Questa ed una quarantina di altre stampe, realizzate dalla coppia Van der Straet e Galle, furono raccolte in una pubblicazione che ebbe un grande
successo editoriale “Venationes ferarum, avium, piscium. Pugnae bestiariorum & mutuae bestiarum” edita per la prima volta ad Anversa nel 1578 ed oggetto di numerose ristampe.

Il disegno dove la ressa fra pescatori per accaparrarsi il petrolio, rasenta la
rissa (un pescatore respinge un concorrente con un arpione), è così dettagliata da fornirci l’indicazione esatta del fiume oggetto del naturale sversamento, una precisone che paradossalmente è stata fuorviante: sulla sinistra del disegno, si può osservare la costa, con una città fortificata sita su di un promontorio. Questo particolare ha portato alcuni studiosi
ad identificare la città con Licata, molto più a sud di Agrigento ed il fiume, con un corso d’acqua vicino alla città dei templi. Ma la quella raffigurata da Stradano posta su un promontorio, munita di cinta muraria, di due castelli e di un eremo in secondo piano, è la nobile città di Sciacca ed il siculu flumen indicato nel cartiglio dell’incisione, è il Magazzolo.

Ma si tratta di due siti che non si possono trovare a sinistra dell’osservatore, ma dal lato opposto. Il mistero è stato chiarito osservando un disegno originale di Stradano, i pescatori di perle, conservato a Washington allo Smithsonian Design Museum (Piancasteli collection): l’azione si svolge alla destra del foglio, ma quando Philip Galle riporta su rame il disegno e lo incide, la scena si riflette di 180 gradi e ciò che a destra, si ritrova nella parte opposta: dunque, nel disegno che fece il fiammingo, la costa della Sicilia è a destra e la città fortificata, su di un promontorio, a nord del Magazzolo, è proprio Sciacca.

Anche l’antico toponimo Majasolio, sembra richiamare il fenomeno di cui è stato protagonista questo fiume. Significativo il rinvenimento di un
relitto navale in questo specchio di mare, teatro di una avvincente competizione: si tratta della chiglia di una grande imbarcazione verosimilmente seicentesca, dal fasciame composto da lunghissime ordinate; si tratta di un relitto che ci riporta alla vivida scena immortalata
da Stradano, in cui alcune delle barche sfiorano la collisione.

LO SCEMPIO – La natura elargisce questo dono sino all’inizio del ‘900 del secolo scorso, quando avviene uno scempio, perpetrato non certo in nome della Madonna, ma del dio denaro: la presenza di petrolio in quelle contrade, non sfuggì alle giovani compagnie petrolifere, che nonostante
la flebile ed inutile protesta dei monaci, non esitarono a trivellare i terreni adiacenti alla chiesa, a meno di 150 metri di distanza dal luogo sacro!
Ramino Fabiani, direttore dell’Istituto di Geologia di Roma, in occasione del VII Congresso Nazionale del Metano e del Petrolio, nel 1952 stila un resoconto sulla ricerca di idrocarburi in Sicilia, dall’inizio del ‘900,
sino alla seconda Guerra Mondiale, una relazione dettagliata dove esordisce proprio con un riferimento a “l’olio di Agrigento degli antichi.” (12) Nel suo intervento fa cenno ad alcune deludenti prospezioni operate in Sicilia dal 1901 al 1902, dalla Societé des Pétroles et Perforationes Artesiennes (in seguito divenuta Petroli d’Italia), ma è nel 1912 che la ditta I. A. Douglas procede alle vere prime trivellazioni nell’Isola, che vengono effettuate presso Lercara (Palermo) ed a Bivona, in località “Madonna dell’Olio!”

Il petrolio viene rinvenuto ed a mezzo di una discenderia-galleria, ne vengono estratte alcune tonnellate: interessante una nota sulle caratteristiche di questo petrolio del prof. Fabiani, che riesce ad
ottenere alcuni campioni: si tratta di un olio leggero, del peso specifico di 0,85. Ma una piena del torrente Santa Margherita, nell’inverno successivo,
ostruisce il condotto ed il sito ormai stravolto dagli scavi (con collinette di
fango maleodorante), da tubi e da baracche, viene abbandonato.

Dal 1931 al 1934, l’A.G.I.P. da poco costituita, effettua delle prospezioni
nell’Agrigentino, una ricerca coordinata da Guido Bonarelli, che a conclusione delle prospezioni, dà il via a due sondaggi per quell’epoca molto profondi, uno a Ganci, in provincia di Palermo e nel 1931 ancora una volta “…vicino alle manifestazioni della Madonna dell’Olio.” La perforazione raggiungerà i 1104 metri, ma le aspettative saranno deludenti e dopo avere impiantato un vero e proprio campo petrolifero, sventrato
terreni e prosciugato l’antica sacra fonte, i petrolieri smantellano i macchinari, abbandonano le baracche e smobilitano.

Cosa è successo? La spiegazione è sempre del prof. Fabiani, che scorge in
questa operazione, una errata interpretazione dei dati geologici ed alcuni grossolani errori procedurali: i terreni erano stati ritenuti eocenici, mentre in realtà, come evidenziato dal rinvenimento di Lepidocicline, si trattava di rocce del Miocene superiore e la sonda era stata posizionata sulla cresta di un anticlinale, dai fianchi fortemente inclinati.

Rabbia e delusione, per questa infelice impresa: la rabbia dei monaci custodi del sacro fonte, che si ritrovano impietosamente isolati in un luogo divenuto sterile, sventrato ed abbandonato e la delusione del popolo.
Non si è fatto cenno sinora, all’atteggiamento dei fedeli, dei bivonesi, di fronte all’ingerenza dei petrolieri, un atteggiamento che non è prettamente di ostilità, tutt’altro! Ma prima di lasciarsi andare a giudizi affrettati ed a critiche, bisogna calarsi nel contesto della Sicilia dei primi anni del secolo scorso, in cui a fronte della miseria più tetra, erano già arrivate
notizie riportate dai parenti emigrati in America, in cui si favoleggiava del benessere apportato proprio dal petrolio: adesso questo benessere sembra a portata di mano, un’altra grazia divina legata al petrolio, che consentirà ai numerosi poveri jurnatari dei ricchi latifondisti, di vivere meglio, senza la necessità di abbandonare gli affetti familiari, per raggiungere
terre oltreoceano!

I bivonesi assaporano finalmente il gusto della rivalsa sociale ed economica, apportata delle industrie petrolifere, che danno lavoro ed avviano un indotto che per un brevissimo spazio di anni ha dato un impulso ad un’economia stagnate da secoli. Ma si tratta di un miraggio che dura poco tempo. Poi tutto torna come prima.

La delusione e la rabbia è anche di Ramiro Fabiani, sentimenti che manifesta al congresso di Roma, di occasioni perdute per la Sicilia; ed in quella prestigiosa assise, il direttore dell’Istituto di Geologia dell’Università di Roma, manifestan un altro rammarico: la mancata “esplorazione” delle Macalube di Aragona…

Ma qui stiamo parlando delle Macalube di Aragona, di uno straordinario
geosito noto sin dall’antichità, uno dei più famosi della Sicilia, tappa obbligata del Grand Tour che storici, naturalisti ed aristocratici di tutto il mondo intraprendevano per visitare l’Italia e le sue isole; in questa sua comunicazione al congresso del 1952, il prof. Ramiro Fabiani parla di un’altra occasione perduta, quella di estrarre gas naturale dalle Macalube, senza preoccuparsi dello sconvolgimento di un altro sito naturale
che “… è antichissimo, e l’epoca della sua nascita non può trovarsi, che nella storia della Natura. Eterna è la sorgente che produce i vapori, i quali combattono sempre la stessa terra diluita dall’acqua.” (13).

Evidentemente è successo qualcosa che ha impedito questo ancor più grave scempio “S’era predisposta anche un’esplorazione delle più importanti ‘macalube’, anzitutto quelle di Aragona (Agrigento), ove vulcanelli di fango emettono gas costituti dal 98% di metano ed a periodi entrano in violente eruzioni. Ma pur avendo scelto il punto ove sondare, la cosa non poté più avere seguito.” (12- 14).

Fortunatamente la sensibilità che finalmente abbiamo acquisto (anche se
tardivamente), ha fatto sì che questo luogo magico e surreale, descritto persino da Platone del Fedone, sia oggi la Riserva Naturale Integrale Macalube di Aragona. Remiro Fabiani auspica comunque nuove ricerche in Sicilia, con studi geologici di grande dettaglio ed esplorazioni geofisiche con mezzi senza confronto:

“Da tutto questo fervore di indagini, possa venire finalmente l’avvio all’esplorazione meccanica e sarà premio ambito dei pionieri, se dai nuovi sondaggi sortirà l’auspicata soluzione del problema petrolifero della nostra diletta Sicilia!”(12).

Il mancato boom petrolifero, per l’opinione pubblica siciliana, era molto
sospetto: secondo molti siciliani, non si trattava di errori, ma di una lucida strategia volta a far stagnare nella miseria l’Isola, lasciandola fuori da una industrializzazione che stava apportando benessere nel Nord Italia; si trattava di una opinione diffusa, colta anche dal prof. Fabiani:
“La diffusione veramente notevole degli indizi e delle manifestazioni d’idrocarburi della Sicilia, venne sempre ritenuta dagli abitanti la prova
indiscutibile dell’esistenza di grandi giacimenti petroliferi, tanto da ingenerare la convinzione che il petrolio c’è, ma non si vuol trovarlo.” (12)

Ed il malcontento diventa inevitabilmente, arma di propaganda politica, come si evince da uno straordinario reperto, un manifesto elettorale, dove il confronto tra Partito Comunista e la Democrazia Cristiana è oltremodo aspro!

Nel 1952, si torna a rinfocolare speranze nella popolazione dell’agrigentino ed il 26 gennaio, un corrispondente del Giornale di Sicilia (14), titola il suo pezzo:

“Si troverebbe del petrolio, nel sottosuolo di Bivona”.

Si tratta di un articolo singolare, il cui contenuto è degno di essere più volte riportato, per comprendere quanto la miseria, faccia sperare nella
realizzazione di iniziative, in palese conflitto: nell’articolo, viene dapprima
esaltata la natura selvaggia dei luoghi, la verde conca del Magazzolo. Protagonista è l’occhio del giornalista, che a bordo di una corriera “spazia estatico sul meraviglioso panorama che all’orizzonte non ha termine e riposa su quella folta vegetazione, che a mo’ d’un immenso tappeto verde, copre la pianura sottostante ed i monti vicini”.

E non può mancare in questo quadro bucolico “…un pastorello che fa brucare le sue caprette bianche al suono delicato di uno zufolo, quasi innalzi al sole e alla natura un inno di gaudio e di gratitudine.” E dopo avere descritto questo paesaggio idilliaco, il nostro inviato, rallegra i lettori alla notizia che finalmente il Governo sembra intenzionato ad aprire
le zone vergini come la valle del Magazzolo, allo sfruttamento industriale:
“… è di ieri la notizia diramata ufficialmente, che ricerche petrolifere saranno condotte in provincia di Agrigento” Bivona non resterà esclusa da queste ricerche, anche perché già da diversi anni è stata dichiarata Zona Petrolifera! E il giornalista va ancora oltre, auspicando dell’altro, sempre nello stesso territorio, dato che ci sono buone speranze che a Bivona si
dovrebbe anche realizzare una Stazione Climatica, nel quadro della valorizzazione turistico-industriale: se l’aria salubre come poca ve n’è in Italia: la ricchezza delle acque e di vegetazione, vanno degnamente sfruttate, possibilmente con la costruzione di una colonia per tracomatosi.

“Doniamo all’umanità i doni e le bellezze della Valle del Magazzolo, ma offriamo soprattutto ai sofferenti, la possibilità di guarire i loro mali con il clima medicamentoso di Bivona” “Posizionando – sarebbe il caso di aggiungere – la stazione climatica, accanto alla torre di degassamento del pozzo petrolifero della Madonna dell’Olio!”.

Ma di petrolio non se ne troverà più o, come sospettano in molti, non se ne vuole trovare: il potere economico viene a scontrarsi con poteri forti e con la probabile compiacenza di poteri altrettanto forti, che l’ultima cosa che vogliono è lo sviluppo della Sicilia: sono gli anni di Enrico Mattei e della sua misteriosa scomparsa.

Intanto a Bivona, dopo le due feroci aggressioni, il modesto giacimento che il mercoledì ed il sabato, da migliaia di anni profondeva olio di pietra ai fedeli, si è prosciugato, sino all’ultima goccia e l’ultimo monaco, vissuto dal 1931 come eremita, era morto nel 1934. Ho visitato la chiesetta di Bivona, in occasione di un servizio televisivo su questa vicenda che Debora Verde ha realizzato per il format Mediterraneo, di RAI 3 (15) ed amareggiato, ho sostato a lungo davanti la statua della Madonna: la Santa Vergine tiene in braccio il Bambinello, ma entrambi, non reggono più in mano le ampolle, che un tempo erano colme dell’olio miracoloso. I contenitori d’argento, giacciono su di un tavolo … vuoti!

In compenso il Magazzolo, nel mese di novembre del 2015, ha nuovamente rilasciato in mare dell’olio, una enorme macchia nera che questa volta non ha attratto barche e raccoglitori di petrolio, ma giornalisti e forze dell’ordine: si trattava di materiale altamente inquinante, residuo di lavorazione di un oleificio! Lo scempio continua…

Oggi la deliziosa chiesetta-santuario, da poco oggetto di un restauro, si trova in un luogo tornato ameno, dopo gli scempi del secolo scorso, a pochi metri dal lago-diga Castello ed anche se non c’è più la presenza dei monaci custodi, la chiesa è scelta dai fedeli, per celebrarvi Matrimoni e Prime Comunioni ed è sede dei Boy Scout. E sulle acque del ruscello Santa Margherita, sembra flottare una sottilissima sostanza traslucida, oleosa…

RIFERIMENTI
BIBLIOGRAFICI
(1) Aristotelis, Meteorologicorum, lib. IV. Lipsiae, 1836.
(2) Ateneo, Sulle cose ammirande di Sicilia, lib. 6.
(3) Diodoro Siculo, Biblioteca storica volgarizzata dal cav. Compagnoni. Milano, 1820.
(4) Solino, Delle Cose Maravigliose del Mondo. Venezia, 1557.
(5) Caio Plinio Secondo, Historia Naturale, tradotto per Cristhophoro Landino. Venezia, 1543.
(6) Francesco Ferrara, Storia Naturale della Sicilia. Catania 1813.
(7) Tommaso Fazello, Le due Deche dell’Historia di Sicilia. Palermo, 1628.
(8) Jean-Pierre-Louis Houel, Voyage pittoresque des isles de Sicile, de Malte et de Lipari. Paris 1782.
(9) Balthazar Georges Sage, Elementi di Mineralogia docimestica, 1784.
(10) Alessandro Volta, Lettere sull’aria infiammabile nativa delle paludi. Milano, 1778.
(11) Bartolomeo Bertacchini, Breve descrizione delle eccellenti virtù dell’Oglio di Sasso. Piacenza, 1666.
(12) Ramiro Fabiani, Atti del VII Congresso Nazionale del Metano e del Petrolio. Roma, 1952.
(13) Francesco Ferrara, I Campi Flegrei della Sicilia. Messina, 1810.
(14) Domenico Macaluso, Vulcanesimo sedimentario e ricerca di idrocarburi in mare, “Geologia dell’Ambiente”, 2/2016.
(15) Domenico Zaccaria, Si troverebbe petrolio anche nel sottosuolo di Bivona, “Il Giornale di Sicilia”, 26 gennaio 1952.
(16) http://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-4fa15220- 2850-4640-b646-476229a24fba.html#p=
(17) Luigi Bastianelli, Serie degli uomini più illustri nella Pittura, Scultura e Architettura. Firenze, 1773.
(18) Antonino Marrone, Storia delle comunità religiose e degli edifici sacri di Bivona. Comune di Bivona, 1997.
(19) Niccolò Serpetro, Il mercato delle
meraviglie della Natura. Venezia, 1653.
(20) Antonio Mongitore, Della Sicilia
ricercata, vol. II. Palermo, 1753.
(21) Giovanni A. Massa, La Sicilia in Prospettiva, vol. II. Palermo, 1709.
(22) Gaetano Allotta, Olio di Pietra in Akragas. Agrigento, 1997.
(23) Comunità Ecclesiale di Bivona, Le chiese di Bivona. S. Stefano di Quisquina, 2010.
(24) Philippi Cluverii, Sicilia Antiqua, Leida, 1619.

Foto tratta da Siciliaunonews
 

 

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