Le accuse al figlio di Biden: la sensazione è che la vera ‘bomba’ debba ancora esplodere

11 dicembre 2020

Da cosa lo desumiamo? Dall’atteggiamento di Trump, che non ha fatto nulla per bloccare certi accadimenti. E da alcuni articoli pubblicati nei mesi scorsi e passati sotto traccia. Ce n’è uno in particolare, di ItaliaOggi del 23 Ottobre, nel quale si raccontano fatti molto pesanti sul figlio di Joe Biden. Vi consigliamo di leggerlo, perché si va ben al di là delle accuse relative ai rapporti con la Cina, all’evasione fiscale e al riciclaggio…

La sensazione che si percepisce leggendo i giornali e i blog americani e qualche giornale italiano è che la bufera giudiziaria che si sta scatenando sulla famiglia di Joe Biden – che a meno di colpi i scena il 14 Dicembre dovrebbe essere eletto Presidente degli Stati Uniti d’America dall’assemblea dei grandi elettori – è solo all’inizio. E che le notizie che circolano da un paio di giorni potrebbero essere poco o nulla rispetto a quello che potrebbe succedere.

Perché pensiamo questo? Perché gira voce che in America le ‘bombe’ mediatico-giudiziarie esploderanno nelle prossime settimane.

Fino ad ora le accuse sul figlio di Biden sono pesanti ma non pesantissime.

Scrive Il Messaggero:

RICICLAGGIO – “Altre grane per Joe Biden: ancora prima dell’insediamento alla Casa Bianca arriva la tegola delle indagini sul figlio Hunter, con alcuni repubblicani che invocano la nomina di un procuratore speciale per evitare che con la futura amministrazione tutto venga insabbiato. E sì, perché le indagini sarebbero di più ampia portata rispetto a quanto rivelato dallo stesso secondogenito del presidente eletto degli Stati Uniti. Nel mirino infatti ci sarebbero non solo questioni fiscali, ma anche gli affari di Hunter in Paesi stranieri come la Cina, col sospetto di operazioni volte persino al riciclaggio di denaro”.

E già spunta la parola riciclaggio.

Questa è cronaca di queste ore. Un articolo veramente interessante – che non è di queste ore, ma dello scorso 23 Ottobre – l’ha scritto il quotidiano ItaliaOggi. E’ un articolo che riprendiamo, sottolineando che alcuni passaggi di quanto leggerete non sono venuti fuori nei grandi media americani durante la campagna elettorale. Al massimo, alcune di queste notizie sono state pubblicare da alcuni siti web americani.

“Mancano meno di 15 giorni al voto per la Casa Bianca – scriveva ItaliaOggi lo scorso 23 Ottobre –  e al centro del confronto tra Donald Trump e Joe Biden c’è un tema diverso dal Covid19 e dalle conseguenze economiche. A calamitare l’attenzione sono gli strani affari di Hunter Biden, figlio di Joe Biden, che in passato è stato vice di Barack Obama alla Casa Bianca e oggi è il candidato in netto vantaggio nei sondaggi. Un tema finora ignorato dai giornaloni Usa, ma ormai virale su molti siti web. La conferma che sia diventato proprio questo il tema più caldo del confronto elettorale viene da una clamorosa indiscrezione del Washington Post, uscita poche ore prima del terzo confronto in tv tra i due candidati, avvenuto ieri notte: Trump starebbe pensando di licenziare il direttore dell’Fbi, Christopher Wray, «perché non indaga su Biden». Un licenziamento che Trump potrebbe fare subito dopo il risultato del voto del 3 Novembre, quale che sia il risultato, in ogni caso prima del 20 gennaio 2021, data prevista per l’insediamento del nuovo presidente”.

In questo c’è la conferma della diffidenza dell’Amministrazione Trump verso l’Fbi e il fastidio dello stesso Trump che, a quindici giorni dal voto, doveva prendere atto che la grande informazione americana, di fatto, nascondeva le informazioni non certo positive sul figlio del suo avversario, Joe Biden.

“Christopher Wray – prosegue l’articolo di ItaliaOggi – era stato nominato nel 2017 a capo dell’Fbi dallo stesso Trump, dopo il licenziamento di James Comey, con il quale The Donald era convinto di avere un uomo fidato a capo del Bureau in quanto proprio Comey aveva riaperto le indagini sulle email di Hillary Clinton undici giorni prima del voto 2016 per la Casa Bianca, salvo poi assolverla dopo il voto. Quella decisione irritò moltissimo la Clinton e i leader del Partito Democratico, i quali accusarono Comey di essere stato decisivo per l’elezione di Trump. Ora, secondo i democratici e i media mainstream, Trump avrebbe preteso che anche il capo attuale dell’Fbi facesse come Comey, aprendo un’indagine su Hunter Biden e sugli affari della famiglia Biden in Ucraina e in Cina. Per i democratici, una richiesta scandalosa; ma per Trump un atto dovuto, sulla base delle prove e degli indizi finora emersi in modo casuale, in possesso del Fbi da mesi”.

GLI INCARICHI DI HUNTER BIDEN – Da quello che sta emergendo in queste ore sembrerebbe che Trump non avesse poi tutti i torti. Hunter Biden è stato accusato di aver fatto carriera, mettendo all’incasso incarichi importanti, grazie al suo cognome. Scrive sempre ItaliaOggi:

“Era il 15 ottobre 2019: una giornalista della tv ABC News chiede a Hunter: «Se il suo cognome non fosse stato Biden, lei pensa che sarebbe stato chiamato a fare parte del consiglio d’amministrazione della società Burisma, colosso dell’energia in Ucraina?» Risposta: «Non so. Non so. Probabilmente no. Ci sono un sacco di cose nella mia vita che non sarebbero potute accadere se non mi fossi chiamato Biden, perché mio padre era vicepresidente degli Stati Uniti». Dunque, un’ammissione. E grazie al cognome, nel 2015 Hunter ha ottenuto da Burisma un compenso di 50 mila dollari al mese. A beneficio dei lettori, ZeroHedge ricorda che nel 2014 il presidente Usa, Barack Obama, aveva affidato al suo vice Joe Biden il compito di sovraintendere alla situazione in Ucraina, dopo la rivolta di Piazza Maidan e la cacciata del presidente filorusso, Viktor Yanukovic. Nel consiglio di Burisma, all’epoca, c’era anche l’ex presidente della Polonia, Aleksander Kwasniewsky. Intervistato dalla Ap (Associated presse) nel Novembre 2019, ha detto papale papale che Hunter Biden «è stato scelto come membro del consiglio grazie al suo cognome». Il motivo? «Se qualcuno mi chiama a fare parte di un progetto, non è perché io sia bravo, ma perché mi chiamo Kwasniewsky e sono l’ex presidente della Polonia. Essere un Biden non è male, Biden è un buon nome». Rilanciate oggi dal web, questi complimenti di un anno fa sono diventati imbarazzanti capi d’accusa”.

Qui arriva un passaggio piuttosto brutto per Joe Biden:

OMBRE IN UCRAINA – “Sul web – leggiamo sempre su ItaliaOggi del 23 Ottobre –  salta fuori anche il testo di una telefonata del 2015 tra Joe Biden e Petro Poroshenko, all’epoca presidente dell’Ucraina. In cambio di un prestito Usa di un miliardo di dollari al governo ucraino, a Poroshenko era stato chiesto il licenziamento del procuratore Victor Shokin, che stava indagando su Burisma. Poroshenko esegue, e poi chiama Joe Biden, registrando la telefonata, poi passata a un giornalista ucraino: «Ho parlato con Shokin l’altro ieri. Un’ora fa mi ha consegnato la lettera di dimissioni. È il secondo caso in cui mantengo la parola data». L’ingresso di Hunter Biden in Burisma avvenne subito dopo“.

No, non è una caramella e, lo ribadiamo, è inspiegabile (o quasi, come vedremo) che una notizia del genere non sia stata diffusa dai media a pochi giorni dal voto.

Ma il vero ‘siluro’ ad Hunter Biden arriva nella parte finale dell’articolo. E qui c’è di mezzo Rudoph Giuliani, già sindaco di New York, già grande investigatore ai tempi di Giovanni Falcone, con il quale ogni tanto si scambiavano le idee:

DROGA, SESSO, MINORENNI – “Intanto Rudolph Giuliani, a cui un riparatore di pc aveva consegnato una copia del disco rigido del laptop di Hunter Biden dimenticato nel suo negozio per mesi, ha consegnato questo disco rigido alla polizia dello Stato del Delawere, scelta dettata dal fatto che né lui né Trump si fidano dell’Fbi, che è in possesso dello stesso disco dal dicembre 2019, ma non avrebbe fatto nulla. Il che non sembra del tutto vero: stranamente, nel laptop di Hunter Biden vi è la foto di un atto di comparizione per lui, firmato da un noto agente dell’Fbi, Joshua Wilson, che di solito si occupa di pedopornografia. Quell’agente, a quanto pare, non ha mai dato seguito al mandato. Eppure, sostiene Giuliani, nel laptop vi sono centinaia di immagini, filmati ed email che, oltre agli affari in Ucraina e in Cina, rivelerebbero aspetti della vita di Hunter Biden che spaziano dalla droga al sesso, con risvolti inquietanti, anche con minorenni. Resta ora da vedere se a renderli pubblici sarà la polizia del Delawere, oppure i siti web”.

Che dire? Che in tutta questa storia delle elezioni americane e, adesso, di una vicenda che coinvolge il figlio di Joe Biden ci sono troppi elementi che non sono facilmente comprensibili. Riassumiamoli.

Trump, nel 2018, ha cominciato a parlare di brogli elettorali con il coinvolgimento di Stati stranieri. Tant’è vero che, proprio nel 2018, ha fatto approvare un atto che prevede sanzioni molto pesanti per chi trucca le elezioni con l’appoggio di Paesi esteri.

DOMINION E DEM – Oggi – e questi sono fatti ormai acclarati – si scopre che il sistema informatico Dominion, con il quale sono state gestite le elezioni in tanti Stati americani, non solo ha rapporti con i Dem, ma anche rapporti con la Cina, con server finiti a Francoforte, in Germania.

La sensazione è che Trump e i suoi sapessero tutto da tempo, ma non hanno fatto nulla per impedire quello che è successo alle elezioni.

Trump, smentendo i sondaggi – che in verità si sono rivelati farlocchi, se non ridicoli – che lo davano perdente ha sempre detto che avrebbe vinto: e, in effetti, rispetto alle elezioni presidenziali del 2016, ha preso 12 milioni di voti in più!

Ora, nella storia delle elezioni degli Stati Uniti non si è mai verificato che un Presidente uscente che prende più voti rispetto ai voti presi nel primo mandato perda le elezioni. Soprattutto quando si prendono 12 milioni di voti in più! Soprattutto quando l’avversario vince solo grazie ai voti postali di quattro grandi città americane!

Troppe cose strane. Ma la cosa ancora più strana è che Trump, avendo previsto che le elezioni non sarebbero state lineari non ha fatto nulla per impedirlo. Le stesse violazioni costituzionali in materia di voto postale sono state denunciate da Trump dopo le elezioni e non prima.

Trump e i suoi legali si sono limitati a raccogliere una mole impressionante di testimoni che parlano di brogli elettorali avviando cause penali in tanti Stati. Cause penali non sono state avviate soltanto dai legali di Trump, ma anche da privati: è il caso dell’ex Procuratrice federale, Sidney Powell.

Su un altro binario procede la questione Costituzionale presso la Corte Suprema: e qui con Trump si sono schierati una ventina di Stati: il segnale politico, per chi lo vuole leggere, è preciso: Biden può anche diventare Presidente – ammesso che il 14 Dicembre l’assemblea dei grandi elettori lo elegga – ma la battaglia continuerà e non è detto che Biden possa diventare il Presidente di tutti gli americani: anzi!

La sensazione è che Trump stia rispondendo colpo su colpo al Deep State schierato a pancia a terra contro di lui: e che il suo obiettivo, oltre alla riconferma alla Casa Bianca, sia lo sputtanamento generale del sistema di potere Dem.

IL KRAKEN E L’IRONIA – Fino a qualche giorno fa Biden e i Democratici ironizzavano sulla figura biblica del Kraken lasciato balenare da Sidney Powell. Ma nelle ultime ore Joe Biden e i Dem ridono un po’ meno, non tanto e non soltanto perché c’è un ricorso presso la Corte Suprema degli Stati Uniti (ricorso firmato non da Trump e dai suoi legali, ma da una ventina di Stati che chiedono l’annullamento del voto in quattro Stati chiave: se la Corte Suprema dovesse dare ragione a questa ventina di Stati, per inciso, Trump avrebbe praticamente vinto le elezioni), ma perché in queste ore stanno spuntando notizie – che sono già fatti giudiziari – con ipotesi accusatorie molto pesanti sul figlio di Biden.

Insomma, sul Kraken non c’era molto da sorridere…

 

 

 

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