Report e il grano Senatore Cappelli: tutti i retroscena di una storia raccontata da GranoSalus

27 ottobre 2020

In questo articolo molto documentato e ricco di spunti scientifici e storici che noi riprendiamo quasi per intero l’associazione GranoSalus – che da anni porta avanti una battaglia culturale, sociale ed economica a difesa del grano duro del Sud Italia – si ricostruisce, per filo e per segno, quello che è successo, dal 2016 ad oggi, nella gestione del grano duro Senatore Cappelli, una delle varietà più famose d’Italia   

Noi ci siamo già occupati di come la trasmissione Report ha trattato la questione del grano duro Senatore Cappelli. Torniamo sulla vicenda con un interessante articolo pubblicato da GranoSalus, dove la questione viene analizzata in modo molto preciso.

“La vicenda del grano Cappelli approda a Report – leggiamo sul sito di GranoSalus – Ma questo grano lo raccoglie chi lo semina non chi lo trasforma! Dal servizio si evince che le proteste di alcuni agricoltori che vorrebbero riseminare il grano Cappelli in maniera autonoma e libera derivano da ‘invidia’. E fin qui si può solo sorridere. Ma affermare che si tratti di una guerra senza esclusione di colpi dove dentro son finiti anche, pare, dossier e testimonianze false è poco rispettoso del diritto, delle regole del mercato, del lavoro svolto dagli organi di controllo e della corretta informazione! Fare i processi in televisione invece che nelle aule dei tribunali non è molto elegante”.

“Il modo in cui Report ha riportato la vicenda del grano Senatore Cappelli e della Società italiana sementi non è un’obiettiva ricostruzione dei fatti. Report ha tentato, in modo un po’ goffo – scrive GranoSalus –  di dare un taglio diverso allo scippo del grano Senatore Cappelli, ma i lettori di GranoSalus conoscono bene la questione perché la nostra associazione ha contribuito a svelare in tempi non sospetti gli aspetti antifrode e antitrust di questa triste vicenda. Una storia che riguarda la nostra sovranità alimentare, il diritto, le regole del gioco, la tutela dei beni comuni del Mezzogiorno e, soprattutto, la nostra salute”.

NO ALLA GENETICA MONOPOLIZZATA – “Nazareno Strampelli – scrive GranoSalus -dedicò questa cultivar al marchese abruzzese Raffaele Cappelli, senatore del Regno d’Italia. Il suo intento non fu quello di monopolizzare la genetica, ma di nutrire il mondo. Ecco perché da un servizio pubblico televisivo ci saremmo innanzitutto aspettati un po’ più di rispetto verso un Senatore della Repubblica che, pur non avendo i titoli nobiliari del marchese Cappelli, con ferma determinazione ha cercato di far rispettare le norme europee e nazionali sulla concorrenza e sui brevetti attraverso l’Associazione GranoSalus, gli atti parlamentari e l’Agcm. Tutto questo con l’unico obiettivo di scongiurare il tentativo maldestro di far monopolizzare una genetica concepita per favorire la nutrizione delle giovani generazioni, oggi sempre più alle prese con intolleranze alimentari. Cos’altro è il bene comune e l’interesse pubblico?”.

LA PUREZZA DEL SEME – “È necessario intanto chiarire ai lettori la questione riproducibilità, purezza del seme e ricerca. Avremmo voluto che questa doverosa premessa l’avesse fatta Report, cui pure abbiamo fornito tutta la documentazione necessaria. Invece, che cosa abbiamo ascoltato in trasmissione? A forza di riseminare negli anni parte del raccolto perde la sua caratteristica originaria. Infatti, nel 2018 è venuto fuori che la pasta in commercio senatore Cappelli aveva poco del seme Cappelli”, esordisce Bernardo Iovene.

“Il Cappelli – ricorda GranoSalus – è stato iscritto nel registro delle varietà di specie agrarie, presso il Mipaaf, la prima volta in data 05/08/1938; poi il 03/05/1969 venne reiscritto e poi ci fu un secondo rinnovo il 13/10/1990, un terzo rinnovo il 14/02/2001 e l’ ultimo rinnovo il 26/02/2011. Ai centri di ricerca agraria nazionali (CREA) spetta il compito di migliorare le varietà e divulgarle presso gli agricoltori. Nel caso del Cappelli, il CREA ha mantenuto in purezza il patrimonio genetico del costitutore Nazareno Strampelli. Ai sensi dell’art 109 del Codice di proprietà industriale, il brevetto sembrerebbe già scaduto. Ma per poter attribuire i diritti di sfruttamento commerciale a qualcuno, il CREA e il Mipaaf si sono inventati la formula “nuova” cultivar, in modo da soddisfare quell’elemento di “‘novità’ previsto dall’art 103 del Codice di proprietà industriale. Ma come è facile comprendere, un grano antico, patrimonio di tutti, che viene ribattezzato come ‘nuovo’ rappresenta solo una forzatura giuridica per giustificare una concessione “’monopolistica’. Mentre prima i licenziatari erano almeno due! L’acquisizione in esclusiva del diritto di moltiplicazione da parte di SIS non implicava il diritto di escludere l’accesso al seme da riproduzione a un libero agricoltore o a un libero commerciante di semi, così come limitarne l’uso solo alle filiere legate a SIS è ugualmente anticoncorrenziale. La società sementiera SIS, trovandosi in una condizione di monopolio era obbligata dal Codice Civile a contrarre con tutti, non solo con gli aderenti alla sua filiera! Ma Report ha sorvolato pure su questo aspetto. Questo modo di agire oltre a far rabbrividire il Codice Civile e l’Antitrust, che ha prontamente sanzionato SIS, ha turbato pure la buonanima di Strampelli, che non avrebbe mai voluto foraggiare i monopoli e concentrare la sua scoperta nelle mani di pochi. La ragione è semplice e ce lo dicono anche gli americani”.

CON LA SCUSA DELLA PUREZZA – “La purezza del seme – leggiamo sempre nell’articolo -è sicuramente un valore da difendere, ma anche se nella pasta dichiarata da grano Senatore Cappelli, di Cappelli ce n’era ben poco. E il motivo non è dovuto al fatto che, nel tempo, per effetto dell’ambiente o di incroci non voluti, la varietà può degenerare. Questo fenomeno è controllabile ad occhio nudo in un campo di grano! Il seme in purezza è dello Stato, che attraverso il CREA lo dà in concessione a uno o più sementieri, che poi lo vendono agli agricoltori. SIS, quindi, non permetteva che questi lo riseminassero in autonomia. Questo per impedire che nel tempo ne venisse contaminata la purezza. Di fatto una scusa degli industriali! Se il seme contiene altri grani il raccolto non è puro. Ma se si semina sempre il grano Cappelli non vi è alcun decadimento delle caratteristiche genetiche del grano Cappelli, che sono molto stabili, come dichiarato dal laboratorio analisi sementi di Bologna”.

L’ASPETTO ANTIFRODE – “La nostra battaglia per il grano, e in particolare per la varietà Cappelli – scrive GranoSalus – al pari di quella che fece guadagnare il titolo di Senatore del Regno per meriti scientifici anche a Strampelli, si è incentrata sugli aspetti distorsivi del mercato cerealicolo e sulla difesa delle prerogative di questa preziosa varietà. Come abbiamo giustamente rilevato nel 2017, molte marche di pasta Senatore Cappelli non avevano titolo a dichiarare che nella pasta era presente grano Cappelli. E non c’entra assolutamente nulla la purezza del seme o la risemina dello stesso grano come invece ha fatto intendere la trasmissione di Report, assecondando le tesi industriali”.

“A forza di riseminare negli anni parte del raccolto perde la sua caratteristica originaria”, ha dichiarato Bernardo Iovene.

“GranoSalus ha avuto il merito di aver commissionato per la prima volta nella storia un’analisi del Dna sulla pasta Cappelli salvaguardando la purezza del seme e l’autenticità del prodotto trasformato a tutela della salute dei consumatori e del sacrificio dei produttori. Senza ricevere nessuna querela da parte delle marche interessate. Va chiarito che questo controllo avrebbero dovuto farlo il Ministero e il CREA che ha concesso la licenza. Il laboratorio LARAS dell’Università di Bologna in trasmissione ha confermato ciò che GranoSalus aveva già divulgato attraverso il proprio blog. Se la repressione frodi non è intervenuta noi non abbiamo colpe, ma solo meriti! GranoSalus ha preferito invece focalizzare la sua attenzione segnalando all’Autorità di controllo del mercato altri aspetti di natura illecita. Non a caso l’Antitrust ha sanzionato la SIS per le pratiche commerciali scorrette nella vendita delle sementi di questo prezioso grano, riconoscendo che:

i) ha dolosamente vincolato la fornitura alla riconsegna del grano prodotto dagli agricoltori;

ii) ha rifiutato in maniera selettiva la fornitura delle sementi;

iii) ha aumentato in modo sostanziale e ingiustificato i prezzi delle sementi.

“Siamo sempre stati noi i primi – scrive sempre GranoSalus – ad evidenziare anche l’uso strumentale politico-sindacale che la Coldiretti ha fatto di questa licenza SIS e l’Antitrust con le ispezioni che lo hanno confermato. Il contratto SIS impone consulenza tecnica e obbligo di vendita di tutta la granella a SIS, ma già il Ministro Maurizio Martina, all’epoca dell’affidamento, eludendo le risposte sul vincolo, confermò che la varietà era pubblica, che l’esclusiva riguardava solo la riproduzione e che in definitiva non vi erano motivi di preoccupazione. Una inchiesta pubblica più approfondita avrebbe dovuto far emergere il fatto che se il Cappelli è pubblico e tutti possono coltivarlo, come si fa se il seme non viene fornito? Dove sta la libertà di mercato se chi ha il seme da reimpiegare per la semina, secondo quanto diceva lo stesso Ministro Martina, non potrà vendere il frutto del proprio raccolto?”. 

I PRECEDENTI LICENZIATARI – Perché Report non ha intervistato i precedenti licenziatari sul vincolo esclusivo? “Prima potevamo venderlo in tutta Italia come grano da semina – dice la giovane presidente del Consorzio sardo Grano Cappelli, Laura Accalai in una sua intervista – era un punto fermo, riconosciuto a livello nazionale, perché è difficile farlo bene. Ora non è più possibile perché l’esclusiva l’ha vinta la SIS. Possiamo commercializzarlo solo come grano da macina. È il primo anno – aggiunge – che abbiamo così tanto grano e invece dobbiamo vivere nell’ansia. Dopo quello che è accaduto ci sono 8000 quintali di Cappelli invenduti”.

Il motivo? L’esclusiva, finita in altre mani:

“Senza certificazione il nostro grano non è tracciabile, gli agricoltori dopo il raccolto non potrebbero scrivere nella documentazione che è un ‘Cappelli’, insomma – spiega Laura Accalai – si ritroverebbero con un grano duro qualsiasi che a quel punto riterrebbero non conveniente da seminare. Solo con l’auto-risemina puoi prorogare la qualità, ma per un anno. Nel frattempo il piano di semina da mille ettari è sceso a zero: con questo invenduto non possiamo prendere altri impegni con gli agricoltori”.

Giuseppe Scaraia, svolge attività commerciale e sementiera ad Irsina (Mt) e fino al 2016 aveva la licenza insieme alla società sarda Selet. Ecco cosa ha dichiarato:

“Noi non abbiamo mai messo alcun vincolo contrattuale alla vendita del seme, tanto meno l’obbligo di riconsegnare il raccolto. La disdetta della licenza nel 2016 è stata improvvisa e ci ha fatto perdere un sacco di soldi: io non vado contro i mulini a vento ma è chiaro che è stato uno scippo”.

Salvatore Pace è un agricoltore bio di Altamura (Ba) che dichiara a Report:

“Sono due anni che non lo faccio più perché io ritengo che gli agricoltori devono essere liberi di scegliere e di decidere quello che devono seminare, come seminarlo e quando seminarlo. E soprattutto, a chi vendere il prodotto. Perché non è un grano privato il Cappelli, Nazareno Strampelli lo ha lasciato all’Italia e viene gestito in regime di monopolio da un solo sementiere. Questo non è concepibile”.

L’ESCLUSIVA – “In base alla denuncia presentata da GranoSalus, la SIS imponeva la stipula di un contratto di coltivazione ovvero, oltre a vendere in esclusiva le sementi, imponeva la riconsegna di tutta la granella da macina, che poi a sua volta rivendeva sul mercato ad alcuni pastifici. Dunque, un cerchio chiuso dal licenziatario di un bene pubblico che aveva nei fatti creato una filiera chiusa. SIS – scrive sempre GranoSalus – era l’unica a vendere il seme di prima e seconda riproduzione e per di più, come scrive la stessa Antitrust, “facendosi forte dell’esclusiva”, esigeva la riconsegna del raccolto, una circostanza non prevista dalla licenza concessa dal CREA. Questo obbligo, scrive ancora l’Antitrust, negava all’agricoltore anche il cosiddetto ‘privilegio’, ovvero la possibilità di reimpiegare parte del raccolto per la semina dell’anno successivo”.

IL RIFIUTO SELETTIVO OVVERO SOLO I TARGATI COLDIRETTI –  “Secondo le nostre prove, consegnate all’Antitrust – scrive sempre GranoSalus – alcuni iscritti a Confagricoltura (associati anche a GranoSalus) sarebbero stati discriminati nella stipula dei contratti di filiera e fornitura di seme”.

A conferma di un comportamento discriminatorio scrive l’Antitrust:

“Le attività ispettive presso la sede dell’impresa hanno portato all’acquisizione agli atti di ampie evidenze di interlocuzioni tra gli uffici commerciali di SIS e coltivatori interessati alle sementi, da cui risulta che SIS ha ricorrentemente dichiarato che la fornitura era subordinata alla sottoscrizione del contratto” con obbligo di riconsegna.

Sempre l’Antitrust, attraverso il sequestro di alcune mail della Società italiana sementi, ha così dichiarato:

“… all’interno di SIS, l’appartenenza attuale o prossima di un coltivatore a Coldiretti viene indicata in gergo come ‘targa’ (…) Da numerose evidenze agli atti emerge inoltre in maniera distinta come le decisioni da parte di SIS di fornire o meno le sementi siano dipese in maniera ricorrente dalla riconducibilità dei coltivatori richiedenti alle diverse organizzazioni associative degli agricoltori operanti su base nazionale, in particolare, in positivo, alla Coldiretti e in negativo alla Confagricoltura”.

UN MONOPOLIO PRIMA O POI AUMENTA I PREZZI – “Durante la ‘gestione’ delle società Scaraia e Selet – scrive GranoSalus – i semi convenzionali di Cappelli venivano venduti a 0,88-0,90 euro al chilo mentre quelli bio a 1 euro al chilo. Con l’avvento di SIS il listino lievita enormemente: il seme bio nell’annata 2018 sale a 2,00 euro, mentre la granella viene pagata all’agricoltore 80 euro per quintale, con obbligo di retrocessione a SIS. Nell’annata 2019 passa a 1,80 euro, mentre la granella viene pagata all’agricoltore 80 euro per quintale, senza obbligo di retrocessione, ma direttamente dai pastifici. Nell’annata 2020 il listino scende a 1,60 euro, mentre la granella viene pagata all’agricoltore 75 euro per quintale, senza obbligo di retrocessione, ma direttamente dai pastifici. Dunque, i benefici sul mercato ci sono o no? Il prezzo del seme da riproduzione bio è raddoppiato: da 100 a 200 euro! La granella ai produttori è aumentata solo di un 50%. Adesso sta scendendo perché qualcuno ha scoperto gli altarini e il libero mercato torna a respirare. Ma non è vero che se il TAR dovrà decidere, gli agricoltori smetteranno di coltivare il Senatore Cappelli perché non avranno la certezza di vendere il raccolto a un prezzo soddisfacente”.

“Che non ci sia stata correlazione – scrive sempre GranoSalus – tra la quantità di pasta Cappelli in commercio, il grano prodotto e il prezzo imposto lo hanno dimostrato le nostre analisi molecolari: in questi anni si è venduta più pasta rispetto al grano prodotto, ma Report non lo ha detto!  Quindi è ragionevole affermare, come ha fatto il presidente di GranoSalus, che il prezzo del grano imposto agli agricoltori è sottostimato e benché sia aumentato nel corso degli anni non è detto che 75-80 euro sia il giusto prezzo di mercato, ma Report non ha fatto emergere questo aspetto della vicenda. Si è limitata a criticare ‘il politico’ che non solo ha concesso l’intervista, ma ha dimostrato con i fatti e con le prove cosa è accaduto alla ‘filiera fasulla’ che nessun Senatore della Repubblica può avallare. E i fatti come i numeri sono per definizione testardi! E poi…hanno chiesto l’autorizzazione alla registrazione dell’agricoltore intervistato a Foggia davanti alla Camera di Commercio? In questo caso qualcuno dovrebbe segnalarlo all’Ordine dei Giornalisti?”.

QUALE MESSAGGIO? – “Quale messaggio si è voluto invece far passare, in maniera un po’ distorta? – scrive sempre GranoSalus -. Che un gruppo di agricoltori ‘invidiosi’ e sigle sindacali alternative a Coldiretti, mettono i bastoni tra le ruote e impediscono lo sviluppo di questa coltivazione, con l’antitrust che gli avrebbe dato ragione sulla base di dossier e testimonianze false.  Siamo all’assurdo! SIS afferma che le denunce sono basate su dati falsati e che sarà il TAR a decidere, mentre Sigfrido Ranucci avanza il dubbio che: ‘son finiti anche pare dossier e testimonianze false’. Che fosse la società sementiera privata a garantire la purezza delle sementi mentre è ruolo del Ministero e del CREA, ingenerando così confusione nel telespettatore. GranoSalus ha sottoposto al laboratorio di Bologna l’analisi di pasta artigianale e del campione del seme sardo Cappelli che sono risultati perfettamente sovrapponibili col genoma del Cappelli depositato nella banca dati del CREA. Sicché quello dell’inquinamento del seme (causato dalla risemina) appare un semplice pretesto per coprire le responsabilità di chi ha commesso la frode!”.

E ancora:

“Ognuno, prima dell’avvento di SIS – leggiamo sempre nell’articolo di GranoSalus – acquistava liberamente il seme, lo puliva nella propria azienda, lo riseminava e poi ne faceva quello che voleva del proprio grano da macina (vendita ai piccoli mulini, a commercianti, a cooperative, etc). Non è emerso, invece, che il CREA ha conferito diritti di utilizzazione economica di un bene di pubblico dominio, come se avessimo privatizzato l’aria! Non è emerso che i dottor De Vita sono due, di cui uno è dirigente al CREA, intervistato in apertura di trasmissione, e l’altro noto mugnaio di semole grano Cappelli che non è comparso sulla scena. Non è emerso, dunque, chiaramente che chi semina Cappelli raccoglie grano Cappelli; chi molisce grano Cappelli ottiene semola di grano Cappelli. Solo chi non semina grano Cappelli non raccoglie grano Cappelli, e chi non macina grano Cappelli non ottiene semola o pasta di grano Cappelli, come è accaduto purtroppo in questa vicenda”.

“Una trasmissione che si preoccupa del benessere dei consumatori – scrive Granosalus – avrebbe dovuto focalizzare la frode, che è avvenuta, punto saliente della storia! Non è la natura che ci mette lo zampino, ma l’uomo… In ogni caso fare i processi in televisione invece che nelle aule dei tribunali non è molto elegante”.

QUI PER ESTESO L’ARTICOLO DI GRANOSALUS

 

 

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