1866/ Quando la Sicilia si ribellò agli invasori piemontesi. Il compromesso tra Stato e mafia

12 ottobre 2020

In poche righe due autori – Nino Aquila e Tommaso Romano – non solo sintetizzato il significato della Rivolta del Sette e Mezzo del 1866, ma spiegano come tanti siciliani, dopo l’invasione piemontese, furono costretti a emigrare lasciando nelle mani dei mafiosi collusi con il potete politico italiano: uno schema che arriva alle stragi del 1992…

“Esplose così la Sicilia intera con le rivolte che già scoppiarono nel 1860, arrivando, fra massacri e arresti, alla celebre rivolta del Sette e Mezzo che infiammò tutta la provincia e la città di Palermo nel 1866, facendo convergere nel fronte antiunitario del rifiuto, borbonici e repubblicani, garibaldini delusi e cattolici, autonomisti e indipendentisti, tantissimo popolo insorto insieme con esponenti alti dell’aristocrazia e del clero, vessato questo dalle liberticide leggi della spoliazione degli Ordini ecclesiastici… Ciò che l’unificazione ha imposto al Sud e alla Sicilia è stato un prezzo molto più alto di ogni presunta “tirannide” borbonica. Ciò avvenne in termini di crollo socio economico, di cancellazione tentata del tessuto identitario, dalla mortificazione e della stessa dignità dei suoi figli costretti, a milioni, ad emigrare senza soste nel mondo e a lasciare che la criminalità e la mafia, il malgoverno, la facessero drammaticamente da padroni, con compromissioni col potere politico ed economico, con i delitti eccellenti e le stragi che sono peraltro continuate fino ai nostri anni di fuoco”.

Nino Aquila – Tommaso Romano – La Real Cittadella di Messina – Thule Edizioni, pag. 29, 30.

Foto tratta da la Repubblica

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