La vittoria del sì al referendum sarebbe la vittoria dei sovranisti

10 settembre 2020

Se vincesse il sì e si andasse al voto con il Rosatellum, l’attuale legge elettorale, i “sovranisti” farebbero cappotto in tutti i collegi (vastissimi) e potrebbero eleggere un Presidente della Repubblica sovranista, la Corte Costituzionale e, soprattutto, avrebbero i numeri per modificare, da soli, la Costituzione

di Alessio Lattuca

Contraddizioni e trasformismo sul taglio dei parlamentari sono emersi in tutta la loro evidenza. Anche chi si era ripetutamente schierato contro il taglio dei parlamentari, dovendo scendere a compromesso con gli alleati di governo, ha accettato un tale pasticcio. L’equivoco che registra l’inutilità del referendum del 20 e 21 Settembre è venuto fuori in tutta la sua drammaticità, allorché il segretario del PD, Nicola Zingaretti, ha raccolto e fatta sua la proposta di Luciano Violante, secondo la quale a seguito della consultazione si renderà necessaria la raccolta di firme per una proposta costituzionale di iniziativa popolare diretta a superare il bicameralismo perfetto e non solo.

L’illusione di cambiamento e le modalità dell’indizione hanno reso visibile ai più come la leadership abbia scelto scorciatoie di carattere populista, nella formulazione della domanda e nella chiara indicazione del voto, tutte questioni che danno il senso dell’equivoco.

Intanto, esistono altri motivi che spingono a essere preoccupati e contrari: infatti se vincesse il “sì” il Paese si troverebbe di fronte a una nuova Costituzione e il Parlamento sarebbe delegittimato. Si realizzerebbe un pericoloso controsenso, a cui la politica del sì assegna poco peso: in sostanza, non si può “mantenere” per due anni un Parlamento che, secondo la nuova Costituzione, sarebbe composto in modo completamente diverso. Inoltre se vincesse il sì e si andasse al voto con il Rosatellum, l’attuale legge elettorale, i “sovranisti” farebbero cappotto in tutti i collegi (vastissimi) e potrebbero eleggere un Presidente della Repubblica sovranista, la Corte Costituzionale e, soprattutto, avrebbero i numeri per modificare, da soli, la Costituzione.

Il ceto politico, piuttosto che impegnarsi su sviluppo, lavoro, scuola, o su come impegnare il Recovery Found, sull’urgenza di destinare i fondi del Mes alla medicina territoriale, alambicca e perde prezioso tempo, e non considera le scadenze.

Il Recovery Fund è qualcosa di troppo importante per farselo sfuggire. Non basta presentare buoni progetti: serve una certo grado di coesione politica.
Recovery Fund è un’opportunità importante per pianificare investimenti volti a modernizzare il Paese e accompagnarlo verso obiettivi di transizione energetica e digitale che erano già necessari e di cui la pandemia ha solo accelerato l’urgenza. Per presentare un piano serve uno sforzo collettivo e coerente a cui devono prendere parte anche le aziende private, oltre quelle a partecipazione statale.

Occorre trasformare tecnologie e infrastrutture, sfruttando le possibilità di filiera. La vera sfida ora è diventare protagonisti di innovazione e sviluppo tecnologico.

In buona sostanza, serve predisporre un salto di scala indispensabile per l’industria nazionale, la quale potrà superare le note difficoltà e i ritardi e accelerare nell’introdurre innovazioni durature.

Tuttavia, nonostante la confusione e l’impazzimento emersi, occorre essere ottimisti e considerare che il dibattito maturato possa determinare, anche, un esito positivo: l’occasione per promuovere vere riforme.

Foto tratta da Pagella Politica

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