Serve ancora la Commissione Antimafia? In Sicilia sì, ma a Roma…/ MATTINALE 487

22 luglio 2020

… a Roma la Commissione nazionale Antimafia sembra solo vetrina per i politici. Mentre in Sicilia Claudio Fava ha dato spessore culturale e politico alla Commissione Antimafia che presiede, a Roma la presenza della Commissione Antimafia sembra buona solo per celebrare cerimonie e per fare scena. Sotto il vestito niente… 

Serve ancora, oggi, la Commissione parlamentare Antimafia? Domanda complicata. A giudicare da quello che vediamo in Sicilia, sì. Va dato atto al presidente della Commissione Antimafia del Parlamento siciliano, Claudio Fava, e ai parlamentari che ne fanno parte di aver fatto, fino ad oggi, un ottimo lavoro.

La relazione che racconta come, in Sicilia, è stata gestita e come viene ancora oggi gestita la raccolta dei rifiuti è molto importante. Uno spaccato che fa chiarezza sui protagonisti, anche politici, di questo settore. Un lavoro che fa onore alla politica siciliana tutta, troppo spesso superata dalla Magistratura.

Leggendo questa relazione si capisce benissimo quali interessi si celano dietro il grande affare delle discariche. Considerato che le discariche – in Sicilia sempre esistite – diventano lo snodo centrale di questo settore a partire dal 2009, cioè quando Confindustria Sicilia e la sinistra entrano nel Governo regionale, va dato atto al presidente Fava di non aver guardato in faccia nessuno.

Anche sul ‘caso’ Giuseppe Antoci – un personaggio venuto alla ribalta all’ombra di un Governo regionale dove Rosario Crocetta, in realtà, non controllava proprio tutto… e dove a reggere le sorti del gioco erano l’allora senatore del PD, Giuseppe Lumia, e Confindustria Sicilia di Antonello Montante – Fava e la Commissione da lui presieduta hanno lavorato bene.

Lo sappiamo: ci sono state polemiche, accuse al presidente Fava da parte di chi si è sentito toccato, offeso, magari anche “mascariato”, come si usa dire in Sicilia. Ma il celebre detto siciliano “‘u carvuni s’un tinci mascaria”, con il lavoro svolto dalla Commissione Antimafia dell’Assemblea regionale siciliana non c’entra proprio nulla.

La Commissione Antimafia di Palazzo Reale – anche su una vicenda controversa – ha ricostruito la storia, ha ascoltato i protagonisti, ha analizzato le varie versioni dei fatti. Ha fatto bene? Assolutamente sì. Qualcuno si è offeso e risentito? Pazienza. In politica fa parte del gioco.

La Magistratura ha riconosciuto che Antoci si è comportato benissimo? Perfetto. Ma dove sta scritto che il giudizio sul comportamento di un uomo pubblico da parte della Magistratura debba coincidere con il giudizio politico?

La Magistratura segue i propri criteri ed è giusto che sia così. Ma nell’analisi e nel giudizio su un uomo pubblico la politica segue altri criteri.

Il giudizio su una certa antimafia spetta alla magistratura là dove si configurano reati; ma il giudizio politico sullo stesso fenomeno spetta alla politica, anche là dove non si configurano reati. 

Dobbiamo riconoscere che Fava è stato coraggioso. Se andiamo indietro nel tempo non possiamo non segnalare la mancanza di coraggio politico da parte dei politici siciliani che si sono occupati di Antimafia.

Nella seconda metà degli anni ’50 del secolo passato il gruppo parlamentare del Pci all’Ars chiese e ottenne l’istituzione della prima Commissione Antimafia regionale.

La Commissione si insediò e iniziò i lavori. Ma nell’Autunno del 1958 il Governo regionale del democristiano Giuseppe La Loggia fu travolto da una crisi in verità più esterna che interna alla Sicilia. Con il ciclone di Enrico Mattei, più che mai intenzionato a cercare il petrolio in terra e nel mare di Sicilia, arrivò il Governo di Silvio Milazzo con la Dc ufficiale all’opposizione e un’eterogenea maggioranza che sosteneva il presidente della Regione ‘ribelle’.

Ad appoggiare l’esperienza politica passata alla storia come “Milazzismo” c’era anche il Pci. Anzi, per essere precisi, c’era soprattutto il Pci.

Il primo Governo Milazzo – che era l’espressione della ribellione verso Roma e verso Confindustria nazionale – venne ben presto sostituito da un secondo e poi da un terzo Governo Milazzo.

Nel secondo e nel terzo Governo Milazzo si stagliava in modo confuso anche l’ombra della mafia. Lo stesso Vittorio Nisticò, all’epoca dei fatti direttore del giornale L’Ora, nel suo libro Accadeva in Sicilia – gli anni ruggenti de L’Ora ammette che sì, un po’ di mafia ci fu.

Ricordiamo questi fatti per segnalare che la Commissione Antimafia del Parlamento siciliano istituita nella seconda metà degli anni ’50 scomparve nel nulla: non se ne parlò più e basta.

E non è che mancavano gli elementi di riflessione. Le cronache di quegli anni, ad esempio, ricordano un parlamentare regionale monarchico, che non ne voleva sapere di votare per il Governo Milazzo, schiaffeggiato da un boss mafioso! O le esattorie concesse alla potente famiglia dei Salvo di Salemi.

Perché ricordiamo questo? Perché anche allora, come oggi, se l’Antimafia la chiede la sinistra, l’Antimafia si fa; se l’Antimafia non conviene alla sinistra, l’Antimafia, come si dice dalle nostre parti, po’ puru astutati ‘i cannili…

A Fava va dato il grande merito, pur essendo un uomo di sinistra, di non aver astutatu ‘i cannili, né sui rifiuti, né sull’antimafia di facciata che, piaccia o no, è nata e cresciuta con la sinistra. 

Serve la commissione Antimafia nazionale? Alla fine, l’unica Commissione Antimafia romana che è passata alla storia è stata la prima: la Commissione che si insediò nel 1962 e che completò i lavori nel 1976. Attenzione: anche in quegli anni non mancarono le strumentalizzazioni politiche da parte di tutti i partiti, di maggioranza e di opposizione.

Ma, oltre alle strumentalizzazioni, la prima (e, secondo noi, unica) Commissione Antimafia del Parlamento nazionale ha fatto luce su tante vicende. E ha proposto anche alcune soluzioni.

Vogliamo ricordare, in particolare, il ruolo svolto da Pio La Torre. Oggi tutti sappiamo che uno dei grandi insegnamenti del giudice Giovanni Falcone è legato allo studio del rapporto tra i mafiosi e il denaro. Se si vuole capire cosa fanno e dove vanno i mafiosi, ebbene, bisogna seguire il flusso di denaro.

Con il grande rispetto che si deve a Falcone, ci permettiamo di ricordare che il primo a indicare la pista dei soldi per intaccare gli interessi della mafia è stato La Torre. E quando cominciò a elaborare la sua strategia si era nei primi anni ’70 del secolo passato: anni difficili e pericolosi, soprattutto per chi metteva i bastoni tra le ruote ai mafiosi.

La Torre era un uomo politico molto coraggioso. Quando scrisse la relazione di minoranza a conclusione dei lavori della prima Commissione Antimafia nazionale, sapeva benissimo che andava a toccare sia gli interessi dei boss mafiosi, sia gli interessi della borghesia mafiosa (soprattutto gli interessi della borghesia mafiosa).

Ma non si tirò indietro. Si racconta che la prima stesura della relazione fece impallidire tanti suoi colleghi.

La Torre proponeva di colpire i mafiosi nei patrimoni. La sua proposta diventerà legge solo dopo il suo assassinio, avvenuto la mattina del 30 Aprile del 1982.

Perché ricordiamo La Torre? Perché la Commissione Antimafia della quale fece parte ebbe un ruolo importante.

Oggi, invece, che ruolo ha la Commissione parlamentare Antimafia? Cosa ha prodotto? Oggi le mafie si sono internazionalizzate. La Commissione parlamentare Antimafia ha studiato i rapporti tra le mafie – soprattutto la ‘ndrangheta, che oggi è la più organizzata e la più insidiosa – e l’Europa?

Forse sono mancati gli interventi della magistratura europea in questo delicato settore meritevoli di essere quanto meno discussi? Forse la criminalità organizzata di origine italiana non ha interessi in altri Paesi europei?

Magari ci sbagliamo, ma noi, oggi, non vediamo grande interesse, da parte della politica italiana, nella lotta alla mafia. Vediamo, anzi, che i magistrati calabresi che si occupano di criminalità organizzata operano in solitudine.

Né ci sembra che la politica italiana segua con particolare attenzione i legami che si vanno cementando tra la criminalità organizzata italiana e le organizzazioni criminali di altri Paesi. L’interesse della magistratura c’è, l’interesse della politica italiana si nota poco, o non si nota affatto.

 

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