Massimo Costa: sbagliato aprire il Palazzo Reale di Palermo a un discendente del Borbone

20 luglio 2020

Noi, sul Regno delle Due Sicilie, abbiamo una visione un po’ diversa da quella del professore Massimo Costa. Ma questo non ci impedisce di pubblicare questa sua riflessione che prende spunto da un fatto di cronaca: il presidente del Parlamento siciliano, Gianfranco Miccichè, che a Settembre aprirà il Palazzo Reale di Palermo a un discendente della dinastia del Borbone. Su questo tema il professore Costa a scritto al presidente dell’Ars, Gianfranco Miccichè

di Massimo Costa

On. Presidente
sappiamo benissimo che la Sicilia e il Parlamento da Ella presieduto ha tante e tali di quelle emergenze che la presente questione può apparire del tutto secondaria. E sappiamo benissimo che la politica siciliana deve guardare al presente e al futuro più che al suo passato, anche se siamo carichi di un’eredità semplicemente enorme.

E tuttavia la presente questione nulla toglie alle occupazioni quotidiane e il passato non è affatto neutrale per chi voglia programmare il futuro: “Chi controlla il passato controlla il futuro”, è stato giustamente detto.
Abbiamo appreso con costernazione che a Settembre il Palazzo si aprirà, facendo gli onori di casa, a un discendente della dinastia Borbone, uno dei due rami che rivendicano ancora – questo è bene sottolinearlo, ancora, non secoli fa – l’eredità al trono fantasma “delle Due Sicilie”.

Il suddetto rampollo ha scelto Palermo e la Cattedrale per sposarsi, e fin qui si potrebbe parlare di un fatto privato, sebbene carico di velleità politiche. Ma che poi la coppia si trasferisca in quella che è la casa di tutti i Siciliani, e che i nostri Rappresentanti, che Ella ha l’onore di presiedere, si tolgano il cappello come se avessimo davanti chissà quali eredi di una libertà perduta, è una leggerezza che grida vendetta.

Sicuramente non avrà abbastanza riflettuto sulla cosa, sarà stato mal consigliato, e non si può pretendere da un rappresentante delle istituzioni che sia anche un esperto di storia. Ma devo chiederle di tornare su questa decisione, di aprire una riflessione e di consentire, se proprio la coppia ci tiene, una visita del Palazzo in forma strettamente privata in cui – ci sia consentito – sarebbe ASSAI GRADITA una formulazione ufficiale di scuse del Sig. Jaime Borbón per i CRIMINI commessi dai suoi regali antenati.

Oggi ricorre l’anniversario della Costituzione del 1812, la prima Costituzione liberale moderna in un paese di lingua italiana, un monumento di civiltà giuridica mondiale, che peraltro l’Assemblea ha in passato adeguatamente celebrato. In quel momento la Sicilia, che già aveva il Parlamento di Stato sovrano più antico del mondo (1130) e la monarchia costituzionale più antica d’Europa (1296), riformò l’Antica Costituzione del Vespro, ormai inadeguata e ancora intrisa di feudalesimo, per dar vita ad uno Stato pienamente liberale.

Se la Sicilia oggi non è annoverata tra gli Stati europei, se la Sicilia oggi ha un’insoluta Questione Siciliana, se la Sicilia nel vuoto lasciato dallo Stato di Sicilia ha visto incancrenirsi la delinquenza mafiosa, tutto ciò ha un responsabile preciso: Ferdinando III di Borbone il Re TRADITORE.

Ferdinando III di Borbone (poi I delle “Due Sicilie”), antenato del Sig. Jaime, chiuse quel Parlamento che oggi Ella presiede, dopo averlo duramente boicottato; distrusse il Regno di Sicilia, che era nato nel 1130, che era vincitore delle guerre napoleoniche, barattando le Isole Maltesi, da allora perse per sempre alla Sicilia, con il ritorno al trono di Napoli, che per la Costituzione del 1812 non avrebbe potuto assumere senza lasciare la Corona di Sicilia, e assoggettò la Sicilia riducendola a provincia nel famigerato, criminale e illegittimo, cosiddetto “Regno delle Due Sicilie”.

Tanto criminale che per finta stabilì che ogni aumento di tributi in Sicilia sarebbe stato possibile solo con una nuova convocazione del Parlamento; nuova convocazione che non è MAI PIÙ avvenuta.

Non solo: abolì le autonomie municipali, alcune delle quali risalivano al Vespro se non anche prima; abolì la libertà di stampa e introdusse uno stato di polizia; inaugurò una politica economica dualistica in cui la Sicilia sarebbe dovuta essere solo terra di produzione di materie prime e il Continente sede di produzioni industriali. Inaugurò pertanto quel colonialismo interno, che poi l’Italia unita, dopo il 1860, avrebbe portato a perfezione, condannando al ruolo di colonia questa volta anche l’antico colonizzatore meridionale.

Ma non basta. I Siciliani si ribellarono, non accettarono questa tirannia.

Nel 1820 ci fu una rivoluzione indipendentista per ripristinare il Parlamento del 1812, seppur macchiata da lotte municipaliste. Il Borbone, per venirne a capo chiese ai rivoltosi di deporre le armi in cambio di una moderata autonomia parlamentare (gli accordi di Florestano Pepe) ma quando le armi napoletane entrarono a Palermo si dimenticarono di ogni promessa e repressero ferocemente ogni anelito di libertà.

Nel 1835 l’unico Luogotenente che aveva fatto qualcosa di buono per la Sicilia fu rimosso, Leopoldo di Borbone, temendo che intendesse ridare la libertà alla Sicilia.

Nel 1837 fu la volta di Catania e Siracusa, che presero le armi per la libertà siciliana, ancora una volta schiacciate nel sangue.

Il regime borbonico fu talmente inviso ai Siciliani che questi superarono ogni divisione e all’unisono cacciarono il regime usurpatore, riconvocarono un Parlamento, nel 1848, e riformarono la Costituzione del Regno di Sicilia in un modo così democratico che per molti versi bisognerà aspettare solo la Costituzione repubblicana per vedere di nuovo istituti del genere.

Dopo aver tentato inutilmente di trovare un accordo onorevole, vista l’ottusa reazione del monarca napoletano, il Parlamento Siciliano dichiarò solennemente LA PERPETUA DECADENZA DEI BORBONE DAL TRONO DI SICILIA. È forse stata revocata questa delibera da una più recente mozione dell’Assemblea regionale siciliana che non conosco?

Ancora una volta, con la violenza e l’inganno, questa volta per la mano scellerata di Ferdinando II, il re Bomba, che a Messina si macchiò di infami crimini di guerra, la Sicilia fu schiacciata dagli antenati di questo Sig. Jaime a cui ora stendiamo il tappetino rosso.

Il 15 maggio 1849 il Borbone rientra a Palermo, e il Parlamento, di cui l’Assemblea ha sempre rivendicato l’eredità, finanche nel luogo simbolico in cui ha sede, venne di nuovo CHIUSO PER SEMPRE.

Questi sono i Borbone, condannati per sempre dalla storia come infami criminali. E lo sappiamo che dopo la spedizione garibaldina la Sicilia passò dalla padella nella brace. Quella è un altra storia, ma non è sufficiente per essere nostalgici della “padella”. La libertà è un’altra cosa.

E infatti tutti gli aneliti autonomisti e indipendentisti sotto il terribile Regno d’Italia a trazione sabauda, dai primi Regionismi fino al Separatismo degli anni ’40 hanno avuto come stella polare la Sicilia, solo la Sicilia, mai nostalgia dei vecchi tiranni.

Inserita finalmente in una Repubblica democratica, la Sicilia ritrova finalmente la sua Autonomia, almeno sulla Carta, nel 1946.

L’attuale Autonomia, che scandalosamente attende ancora attuazione (ma questa è altra storia), è al contempo l’eredità di una tradizione costituzionale plurisecolare Nostra, e però non più strumento di re o aristocrazie, ma strumento di sovranità pienamente popolare.

L’Assemblea, il Parlamento di Sicilia ora appartiene al Popolo Siciliano, non più a re, regine, o aristocrazie del sangue, il cui ruolo storico è definitivamente esaurito.

In ogni caso la giovane coppia NON È l’erede di un Eden perduto, ma il simbolo della nostra schiavitù, della nostra oppressione, delle nostre catene.

Ritorni su questa scelta, glielo chiedo con franchezza e in tutta cordialità; altrimenti saremo costretti, tutti i Siciliani che non hanno perso memoria storica, e siamo tantissimi, ad organizzare una protesta grandiosa che farà il giro del mondo e dalla quale le istituzioni regionali ne potrebbero uscire molto male.

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