Mattinale

Le produzioni siciliane di qualità? All’estero. E i siciliani mangiano prodotti agricoli esteri!/ MATTINALE 459

Condividi

Gli effetti della globalizzazione dell’economia sono paradossali, se è vero che, in alcuni casi, le migliori produzioni della nostra Isola finiscono all’estero. Mentre sulle tavole dei siciliani finiscono, spesso, prodotti agricoli di qualità scadente. Proviamo a illustrare il perché avviene tutto questo  

Sulla propria pagina Facebook Gabriella Scaduto scrive:

“Mi rivolgo ad un amico che gestisce la coltivazione biologica di ciliege in un grande terreno nei pressi di Piana degli Albanesi. Mi risponde che l’intera vendita è andata in Belgio. Sono felice per lui che avrà guadagnato bene, ma non nascondo che ci resto un po’ male pensando che la produzione agricola siciliana migliore viene mandata spesso all’estero, anziché poterla acquistare noi del posto. Vado oggi al supermercato (ci vado quando non posso farne a meno, altrimenti privilegio i piccoli rivenditori…) e nel reparto frutta mi accorgo che il 70% dei prodotti è ESTERO… Ciliege della Grecia, pesche spagnole, banane dell’Ecuador, susine del Cile, Kiwi della Nuova Zelanda 😱, ecc. Sembra assurdo, ma non lo è se pensiamo che tutto questo altro non è che l’esito di un sistema di globalizzazione in cui le dinamiche perverse stanno assumendo le sembianze della normalità. Andatemi a spiegare cos’è più questa normalità…”.

Il post affronta in termini concreti gli effetti della globalizzazione dell’economia, che sono tanti e imprevedibili. E tocca, in particolare, una questione che riguarda alcune produzioni agricole di pregio che prendono la via dell’estero.

Noi abbiamo affrontato questo tema nel Novembre dello scorso anno, quando abbiamo segnalato il paradosso della provincia di Siracusa, dove si producono i limoni considerati tra i migliori del mondo e dove, però, sono stati sequestrati limoni di pessima qualità (con il dubbio che potessero essere anche dannosi per la salute).

La globalizzazione dell’economia, ‘santificata’ come un modo per offrire ai consumatori i prodotti a costi sempre più bassi, ha, in realtà, due volti che sono tipici del capitalismo classico: crea piccole aree di ricchezza e grandi aree di povertà e peggiora la qualità della produzione, perché per vendere a prezzi più bassi bisogna risparmiare sui costi. 

La globalizzazione dell’economia ha effetti tremendi sulla maggioranza della popolazione impoverita, perché offre alla citata popolazione impoverita prodotti peggiori a costi sempre più bassi. E questo, nell’agro-alimentare, significa mettere a rischio la salute delle persone.

Ma, si sa, l’economia è l’economia: per quale motivo un produttore di limoni di alta qualità dovrebbe vendere i prodotti nella sua terra di origine, dove sono pochissimi quelli che possono acquistare ad un prezzo elevato se, esportandoli, nonostante i costi di trasporto, ci guadagna il doppio, se non il triplo?

Stiamo facendo, ovviamente, un esempio. Restando in Sicilia, se i produttori di limoni di elevata qualità potessero vendere i propri prodotti ai siciliani a prezzi elevati, ebbene, non li esporterebbero: li venderebbero in Sicilia e risparmierebbero anche sul costo dell’esportazione.

Ma non è così per due motivi. In primo luogo perché i consumatori disposti a pagare i limoni a prezzi elevati in Sicilia sono pochissimi; in secondo luogo perché, grazie sempre alla globalizzazione dell’economia, in Sicilia arrivano limoni di pessima qualità che hanno un grande ‘pregio’ (si fa per dire!): costano meno.

(Spesso non è nemmeno così: nel 2016 – anno in cui la produzione di limoni scarseggiava – a Palermo i limoni di pessima qualità si vendevano a 3,5 euro al kg!). 

Così, se i produttori di limoni di alta qualità dovessero vendere i propri prodotti in Sicilia potrebbero chiudere, perché dovrebbero fronteggiare la concorrenza spietata dei Paesi esteri dove si producono limoni di pessima qualità ma a costi bassissimi: costo del lavoro agricolo dieci volte inferiore al costo del lavoro agricolo della Sicilia e, in generale, costi di produzione molto più bassi. 

Sotto questo profilo, chi riesce a trovare uno sbocco estero per i propri prodotti agricoli di qualità – è il caso dei limoni di Siracusa e dintorni di elevata qualità – risolve i propri problemi. Il caso del produttore di ciliege che ha venduto la propria produzione biologica in Belgio rientra in questo schema.

La ciliegia, in questo momento – e siamo già in piena stagione – si vende al dettaglio in torno a 3-4 euro al Kg. La ciliegia prodotta in biologico costerebbe molto di più. Quanti consumatori in Sicilia sarebbero disposti a pagarla ad un prezzo più elevato, avendo a disposizione ciliege a prezzi più bassi?

Si dirà: ma è un prodotto biologico. Vero. Ma quanti siciliani sarebbero disposti a pagare di più? L’agricoltore che ha trovato, per le proprie ciliege biologiche, un mercato estero è stato bravo!

Ma ci sono altri agricoltori – è il caso di chi produce grano duro – che sono meno fortunati. Sotto il profilo qualitativo il grano duro siciliano e, in generale, del Sud Italia, è uno dei migliori del mondo. Solo che il sistema Italia non garantisce il Sud e la Sicilia, anzi li penalizza.

Così in Sicilia e in Puglia abbondano le navi cariche di grano duro estero che abbassa sia il prezzo del grano duro del Sud Italia e siciliano, sia la qualità del prodotto che arriva sulle tavole dei siciliani!

E’ tutto paradossale quello che avviene nell’agricoltura siciliana. Vi sembra normale che in Sicilia – che dovrebbe essere il luogo della frutta estiva per antonomasia – è diventato difficile trovare frutta estiva buona?

Pensate che nel Nord Africa per fare il cus cus non vogliono il grano duro canadese: se non basta quello che producono lo importano dalla Sicilia e dalla Puglia: magari mentre siciliani e pugliesi, senza saperlo, mangiano la pasta, il pane e le pizze fatte con il grano canadese…

Cosa si può fare? Ne parleremo domani.

Pubblicato da