Addio a Mario Corso, uno dei miti della grande Inter di Helenio Herrera

20 giugno 2020

I vecchi interisti perdono un grande campione. Un calciatore unico nel suo genere che incantava con la sua classe immensa. L’unico esponente del calcio italiano che Pelè avrebbe voluto nel Brasile 

Se il calcio è anche poesia, Mario Corso è stato uno dei più grandi poeti di questo sport. Chi scrive, nel 1971, anno in cui la grande Inter vinse lo scudetto, era allora un ragazzino tredicenne. Allora si giocava a calcio e tra i miti di quell’epoca, insieme a Gigi Riva, Gianni Rivera, Sandro Mazzola c’era anche – ovviamente – Mario Corso, il calciatore che giocava solo con il  sinistro, passato a miglior vita oggi, all’età di 78 anni.

Impossibile non ricordare il calcio italiano di quegli anni. E del calcio italiano di quegli anni Corso è stato di certo un grande protagonista. Giocava da ala sinistra, Corso? E chi l’ha mai capito! Giocava ovunque, con la sua classe immensa, ‘accarezzando’ il pallone con il suo piede sinistro.

Se Gigi Riva era una potenza della natura (non a caso lo chiamavano “Rombo di tuono”), se Gianni Rivera (altro giocatore di classe immensa) non sbagliava mai un passaggio smarcante, se Sandro Mazzola era uno spettacolo con i suoi dribbling stretti, Mario Corso faceva storia a sé.

Sì, era unico in un calcio che non era solo atletica. Era tutto, all’occorrenza, questo straordinario calciatore. Ma era sempre Mario Corso. Di lui si ricordano i calci da fermo, i tiri “a foglia morta” inimitabili. Era lento? Correva? In effetti, piuttosto che correre, preferiva far correre il pallone.

Il giornalista Gianni Brera – in quegli anni molto famoso, anche se non molto simpatico con i meridionali – diceva che Corso era “il participio passato del verbo correre”: insomma, a suo avviso, ‘Mariolino’ Corso, in campo, non si ‘ammazzava la vita’ a correre. Ma ai suoi tempi il ‘calcio totale’ dell’Olanda di Cruijff era di là da venire: in campo, allora, c’era anche il tempo per riflettere.

E’ stato, Corso, uno dei simboli della grande Inter del ‘Mago’ Helenio Herrera. Certo, c’erano anche Giuliano Sarti, Tarcisio Burnich, Giacinto Facchetti, Armando Picchi, Angelo Domenghini (che finirà nel Cagliari di Manlio Scopigno con Gigi Riva e compagni), Luisito Suarez, Sandro Mazzola. E c’era lui, Mario Corso.

Anche Gigi Riva era mancino. Grandissimo campione anche lui, ma diversissimo da Corso.

Ha vinto tanto, Mario Corso, nella grande Inter: ben 4 scudetti (1963, 1965, 1966, 1971), due Coppe dei Campioni (1964, 1965), due Coppe Intercontinentali (1964, 1965). Però… Però nella Nazionale italiana ha giocato poco: 23 partite, quattro gol, mai convocato in occasione dei campionati europei o del mondo.

Il perché un campione come Corso non sia stato presente in nazionale tra la metà degli anni ’60 e i primi anni ’70, se non per qualche apparizione, non è facile da capire. Con molta probabilità, il suo modo di giocare – numero 11, in teoria ala sinistra che non era, però, un’ala sinistra, ma un centrocampista a ruota libera – non lo agevolava.

Le cronache del 1966 – anno dei disastrosi mondiali di calcio, quando l’Italia perde con la Corea e va fuori – Corso non è convocato. Si diceva per contrasti con l’allenatore della Nazionale, Edmondo Fabbri. Non ci sarà nemmeno nel 1968, quando l’Italia vincerà gli europei. E non ci sarà nemmeno nella Nazionale di Armando Valcareggi che arriverà seconda ai Mondiali in Messico.

E’ stato anche allenatore, Mario Corso. Ma noi lo vogliamo ricordare in campo, con la sua finta lentezza, con la sua classe sconfinata: unico calciatore italiano che il grande Pelè avrebbe voluto nel Brasile.

Foto tratta dall’Unione Sarda

 

 

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