Ecco come la pandemia di Coronavirus colpisce i deboli e agevola i forti

6 giugno 2020

In questo articolo il filosofo e commentatore marxista, Diego Fusaro, illustra gli effetti concreti sulla società della pandemia. Dalla privatizzazione delle esistenze alla ‘libertà’ di acquistare merci avvantaggiando i colossi dell’e-commerce e le multinazionali. Il potere esecutivo ha scavalcato i Parlamenti. E si governa non “il” mercato, ma “per il mercato”

di Diego Fusaro

Anche a un primo sguardo, sono diversi e niente affatto secondari gli aspetti che permettono di asserire che il Coronavirus ha accelerato e potenziato alcune tendenze già da tempo in atto nella globalizzazione capitalistica. Sotto questo riguardo, si potrebbe ragionevolmente sostenere che pienamente di classe si è rivelata, se non la pandemia, sicuramente la sua gestione economica, politica e sociale. Tant’è che, quasi da subito, la pandemia del Covid-19 si è mutata in pandemia della disuguaglianza, assumendo connotati inaggirabilmente socio-economici.

Anzitutto, il Covid-19 ha accelerato il già collaudatissimo processo di privatizzazione delle esistenze. Se, come sappiamo, il capitalismo si fonda su un’antropologia “insocievolmente socievole” (Kant), basata sul distanziamento dell’altro da ogni legame che non sia il mero cash nexus (Carlyle), possiamo con diritto asserire che il Coronavirus ha confermato e rafforzato questa tendenza: e l’ha fatto ergendo il principio del “distanziamento sociale” a nuova norma organizzativa della società degli atomi in lockdown; i quali, appunti, sono liberi solo di acquistare merci, peraltro in forme che sempre e solo avvantaggiano i colossi dell’e-commerce e le multinazionali (le quali, per inciso, a differenza di artigiani e piccole imprese “strapaesane”, non sono state sottoposte al lockdown).

E con ciò già siamo al cospetto di una seconda tendenza della globalizzazione, potenziata dal Covid-19: alludo al “massacro di classe”, come l’ho appellato in Storia e coscienza del precariato. Esso è gestito univocamente dall’élite globocratica, finanziaria e multinazionale contro le classi lavoratrici e contro il ceto medio. Lungi dal colpire tutti allo stesso modo, come pure l’ordine del discorso ha spesso ripetuto, la pandemia rivela una sua chiara vocazione classista: in sintesi, colpisce i deboli e agevola i forti.

Più precisamente, la pandemia supplizia e flagella lavoratori e partite Iva, salariati con contratti atipici e piccole imprese locali, artigiani e ceto medio. E, insieme, permette alle multinazionali (se non a tutte, a moltissime), ai colossi dell’e-commerce e ai potentati economici sans frontières di intensificare la produzione del plusvalore.

Secondo una tendenza già da lungo tempo in atto, la società, ridefinita ora come contactless society, assume sempre più spiccatamente una forma piramidale: al vertice, v’è un pugno di banchieri cinici, di ammiragli dell’e-commerce senza frontiere (e con evasione fiscale legalizzata, grazie alla tassazione non superiore al 3 %), e di colossi multinazionali delocalizzati e delocalizzanti; in basso, troviamo una vastissima base di nuovi poveri, una nuova moltitudine ripebeizzata e precaria (nel lavoro come nell’esistenza), frutto della distruzione classista – perché gestita dalla global class egemonica – del ceto medio e della classe lavoratrice.

Sotto questo riguardo, la pandemia ha accentuato e velocizzato la distruzione del ceto medio e la riplebeizzazione delle classi lavoratrici. E il motto “la normalità era il problema”, che pure più volte s’è sentito ripetere nel corso della crisi da parte di non pochi vati del progressismo liberista, pare coniato direttamente da qualche arrembante business man: che bene ha compreso quanto sia più vantaggiosa la nuova condizione che si è venuta a produrre grazie all’emergenza.

Il fatto che sia spesso ripetuto, con cieca stoltezza, anche dalle brigate fucsia è solo la prova di quanto da tempo andiamo sostenendo: ciò che la Destra finanziaria del Danaro vuole in nome del proprio profitto, la Sinistra libertaria del Costume beatifica e celebra.

Non deve, poi, essere obliata un’altra tendenza, anch’essa decisiva e già da tempo coessenziale ai processi della produzione del plusvalore capitalistico: la società tende a spostarsi on line e le relazioni si digitalizzano. Il mondo vero diventa favola e la società umana si disumanizza assumendo la forma della nuova “società senza contatto” (contactless society): una società alienata in ogni suo atomo, in cui il lavoro si muta in smart working da casa e l’insegnamento si perverte in e-learning.

In altri termini, la società umana delle relazioni tra i viventi si sgretola nell’atomistica delle solitudini connesse via internet: la comunità reale è spodestata dalla community non comunitaria delle monadi digitali, astrattamente connesse al mondo intero e concretamente sole dinanzi al proprio terminale.

Il capitale, in tal maniera, si garantisce una doppia vittoria:

a) cancella lo spazio tra “tempo della vita” e “tempo del lavoro”, permettendo al secondo di colonizzare il primo (l’azienda si innesta nel cuore stesso dell’oikos);

b) neutralizza a priori ogni possibile contestazione concreta, ogni “movimento reale” (Marx) che possa organizzarsi come autocosciente soggettività rivoluzionaria – e, per ciò stesso, in piazza e non on line – e lottare per rovesciare l’ordine dominante.

Il Coronavirus ha, inoltre, rafforzato le già dilaganti tendenze neoliberiste potenziando smisuratamente quello che, a ragione, è stato definito il “capitalismo della sorveglianza” (Shoshana Zuboff): l’emergenza del virus ha reso possibile, grazie un suo utilizzo in chiave neoliberista, l’instaurarsi di una razionalità politica che ha introdotto tutta una serie di misure che apertamente violano la privacy e controllano panopticamente i cittadini. I droni in cielo e le app di tracciamento sui telefoni cellulari ne sono l’emblema massimo e, peraltro, non esclusivo.

Infine, appare evidente come l’emergenza del Coronavirus – ed è un tema su cui non ci stancheremo di insistere – abbia potenziato (non solo in Italia, ovviamente) il dominio della classe egemonica mediante una riorganizzazione verticistico-autoritaria del rapporto di forza. Come più volte s’è rammemorato, il potere esecutivo ha scavalcato quello legislativo (si pensi, exempli gratia, ai “DPCM”), alcuni princìpi della Costituzione sono stati sospesi in nome dell’emergenza pandemica e alcune libertà fondamentali sono state congelate, sempre in nome del pericolo connesso con la diffusione dei contagi.

Il “diritto alla salute”, mutato in “dovere alla salute”, si è posto come prioritario, a sé subordinando ogni altro diritto e l’idea stessa di libertà individuale. Ciò, con buona pace di alcune narrazioni ampiamente fumettistiche, non ha dato luogo a una gestione “equa e solidale” della situazione, magari anche con sfumature socialisteggianti: una volta di più, secondo un’altra tendenza propria del liberismo imperante, s’è assistito allo Stato che governa – per riprendere la distinzione di Foucault – non “il” mercato, ma “per il mercato”. E, ovviamente, per i suoi agenti, di cui s’è detto in precedenza.

Ciò affiora limpidamente se si considera il generale “ruinare” delle imprese e dei lavoratori, del ceto medio e della classe lavoratrice: un milione di poveri in più, ci suggeriscono le statistiche. E questo a fronte del fatto che i colossi del capitale si sono, invece, potenziati, aumentando i propri introiti (è, tra gli altri, il caso di Amazon). Con Gramsci, spieghiamo questa sterzata autoritario-verticistica del capitalismo come riorganizzazione di un modo della produzione che ha il dominio pieno ma il consenso calante: e che, dunque, proprio come il fascismo di cui scriveva Gramsci dal carcere, deve ricorrere all’autoritarismo e al “meccanico impedimento”, vuoi anche al “divieto di assembramento”.

A riprova di questa svolta verticistico-autoritaria, si considerino le task forces e, in particolare, quella per la “ripartenza economica del Paese”. Le si esaminino nei modi e nei contenuti. Per quel che concerne i modi, si tratta di gruppi non eletti, ma direttamente imposti dall’alto: e ciò sempre in nome di quell’emergenza che – anche in ciò sta la sua ratio governamentale – impone scelte immediate, senza le pericolose perdite di tempo del Parlamento e del voto democratico.

L’emergenza si annovera tra i modi più efficaci per sospendere de facto le procedure democratiche, lasciandole però sopravvivere de jure. Per quel che riguarda i contenuti, la summenzionata task force ha, quale propria guida, il top manager Colao. Sul cui reale posizionamento nel diagramma dei rapporti di forza, ogni parola sarebbe davvero superflua. Una cosa è certa: dietro il sobrio nome dei “tecnici” super partes della task force, si nasconde, evidentemente, un nucleo d’azione della classe dominante che, con ogni probabilità, contrabbanderà come “interesse nazionale” e “ripartenza del Paese” il ben noto programma delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni.

Insomma, il virus, fin dalla sua sciagurata comparsa, è stato “arruolato” dal polo dominante nella sua spietata “guerra di classe dall’alto” (Gallino): e, in effetti, si è rivelato un prezioso alleato.

Foto tratta da Avvenire

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