Cinque Paesi della Ue bloccano il Recovery fund. Nubi sull’Italia. E il 5G cinese che…

6 giugno 2020

I Paesi europei che stanno bloccando il Recovery fund perché non vogliono sentir parlare di interventi a fondo perduto sono Finlandia, Olanda, Danimarca, Svezia e Austria. Il loro obiettivo è costringere i Paesi europei in difficoltà – Italia in testa – o ad accettare il MES, o a trasformare lo stesso Recovery fund in MES. In questo scenario c’è anche il 5G cinese che bulla alla porta come sta avvenendo a Palermo…  

di Economicus

A che punto è il Recovery fund? Si tratta del Fondo europeo per la ricostruzione. Sulla carta sono 750 miliardi di euro: 500 miliardi di euro a fondo perduto e 250 miliardi di euro di prestiti. Così ha annunciato la Commissione europea presieduta da Ursula von der Leyen. Cosa c’è di vero in questi ‘numeri’? Finora nulla. Il dato certo è che questo benedetto Fondo deve essere approvato da tutt’e 27 i Paesi dell’Unione europea. Ma già cinque Paesi hanno detto no. Sono la Finlandia, l’Olanda, la Danimarca, la Svezia e l’Austria.

Perché questi Paesi dicono di no al Recovery Fund? Perché si rifiutano di pagare, in quota parte, gli aiuti ad Italia, Francia, Spagna, Portogallo e Grecia.

I governi dei paesi che dicono no al Recovery fund sostengono che ogni Paese europea deve pagare i propri debiti.

In realtà, tutti i Paesi indebitati (leggere debito pubblico) pagano i propri debiti. E li pagano, ogni anno. L’Italia, ad esempio, fino ad oggi, ha pagato 4 miliardi di euro di soli interessi sul proprio debito pubblico, una somma maggiora dell’attuale debito pubblico che non raggiunge e 2 mila e 500 miliardi di euro.

Qual è allora il problema? Il problema è che l’Unione europea non è un’unione di popoli, ma una raffazzonata unione di Paesi dove ogni paese tira acqua al proprio mulino. Nemmeno l’emergenza Coronavirus o COVID-19, che in Italia è stata particolarmente grave, ha fatto venire meno la pressoché totale assenza di solidarietà tra i Paesi europei.

In particolare, ai cinque Paesi contrari al Recovery fund non vanno giù i contributi a fondo perduto: sono i 500 miliardi di euro annunciati dalla Commissione europea. Che, ovviamente, dovrebbero essere pagati in quota parte da tutt’e 27 i Paesi della Ue.

Che succederà, a questo punto? Intanto che la trattativa tra i Governi dei 27 Paesi andrà per le lunghe. E che, se non si vorrà far saltare il banco (leggere l’uscita dall’Unione europea minacciata da alcuni dei Paesi contrari al ricorso al fondo perduto), bisognerà mediare.

Morale: ci vorrà più tempo prima di trovare un accordo e le risorse a fondo perduto verranno ridotte.

Alcuni Paesi della Ue – e qui andiamo oltre i cinque Paesi contrari al Recovery fund – chiedono che i soldi vengano erogati a Francia, Italia, Spagna, Portogallo e Grecia solo se rispetteranno alcune condizioni: si tratta delle note ‘condizionalità’ previste dal MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) che dovrebbero essere applicate anche al Recovery fund.

E quali sarebbero queste ‘condizionalità’? Le solite: riduzione delle pensioni, riduzione del numero dei dipendenti pubblici, riduzione dei dipendenti pubblici e, se le condizioni lo dovessero richiedere, i cittadini italiani potrebbero ‘contribuire’ al pagamento dei debiti con i propri risparmi…

E’ interessante capire chi sono, o meglio, di che colore politico sono i Governi dei cinque Paesi europei che ostacolano il Recovery fund e che non vogliono nemmeno sentire parlare di interventi a fondo perduto.

Fino ad ora hanno detto che sono tutte formazioni politiche populiste. Il quotidiano on line scenari economici.it ha effettuato una verifica. E ha appurato che a boicottare il Recovery e, soprattutto, l’intervento a fondo perduto sono tutti Governi progressisti. Leggiamo cosa scrive scenari economici.it:

FINLANDIA: ultima arrivata fra gli “Austeri” ha come ministro la signora Sanna Marin, Socialdemocratica, lo stesso raggruppamento europeo del PD di Zingaretti a Bruxelles, S&D. Il suo partito governa con Verdi e Popolari. Per curiosità popolare il M5s cercò di entrare sia nei Liberali (RE) sia nei Verdi a livello europeo, ma non lo ha voluto nessuno”.

SVEZIA: il primo ministro Kjell Stefan Löfven è socialdemocratico, governa in minoranza ma in accordo con i partiti centristi. Anche sui è nel S&D a livello europeo”.

DANIMARCA: la signora Mette Frederiksen guida il partito socialdemocratico (S&D) ed il governo di Copenhagen in minoranza, ma con l’appoggio esterno del blocco rosso. La signora è nota per la sua opposizione diretta a Trump”.

PAESI BASSI: il primo ministro Mark Rutte guida il partito liberale (RE) VVD, e governa con i democristiani (PPE, popolari) e con il partito D66, anch’esso RE. Le sue posizioni sono fortemente contrarie ai partiti populisti”.

AUSTRIA: il primo ministro è Sebastian Kurz è il leader del Partito del popolo austriaco (OVP, parte del PPE). Governa in alleanza con i Verdi austriaci”.

Fatta questa precisazione – per noi irrilevante, ma importante per chi crede che il Recovery fund sia boicottato dai ‘populisti’ – bisogna prendere atto che l’Unione europea non è affatto unita e men che meno solidale: è solo un  agglomerato di Paesi che, come sciacalli, cercano di indebolirsi l’uno con l’altro o, al limite – ed è il caso in questione – di trovare punti in comune per approfittare delle difficoltà di altri Paese.

Sbaglia chi pensa che siano solo cinque i Paesi citati a ostacolare il Recovery fond: con molta probabilità, c’è un gioco delle parti che punta a costringere i Paesi in difficoltà ad accettare il MES o, magari, un Recovery fund con le stesse regole del MES.

La cosa più seria da fare, per l’Italia, è quello che ha fatto il Regno Unito: uscire subito dall’euro. Considerate del difficoltà dell’Italia, non prima di avere trovato una ‘sponda’ per non subire il ricatto del debito pubblico e dello spread.

Sapendo che, oggi, è necessario scegliere tra Stati Uniti e Cina. Sotto questo profilo ci convince la proposta lanciata in un’intervista a questo blog dal senatore Saverio De Bonis: lasciare l’area euro subito e inserire l’Italia nell’area del Dollaro, direttamente o indirettamente.

Ma questo significa scegliere anche l’area tecnologica: la scelta del Comune di Palermo, che sta riempendo la città di antenne del 5G cinese, potrebbe essere un problema. Lo ha spiegato bene il giornalista d’inchiesta e scrittore, Francesco Amodeo, secondo il quale la scelta di aprire ai cinesi di HUAWEI per il 5G non è soltanto una scelta di prodotto, ma anche geopolitica. Gli americani, infatti, hanno fatto sapere che chi sceglie la tecnologia cinese rischia di interrompere i rapporti di intelligence con gli Stati Uniti.

La vicenda, ancora dai contorni poco chiari, è molto più profonda di quanto appaia. Non dimentichiamo che i cinesi hanno più volte tentato di entrare in Sicilia: basti ricordare l’aeroporto che avrebbe dovuto vedere la luce nel centro dell’Isola, progetto poi messo da parte in attesa di tempi migliori.

Foto tratta da Il Mattino

 

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