Piera Tramuta: omaggio ad una grande donna nell’anniversario dell’uccisione del fratello

27 aprile 2020

Calogero Tramuta venne assassinato il 27 Aprile del 1996 a Lucca Sicula, paese della provincia di Agrigento. Maresciallo della Guardia di Finanza in pensione, aveva deciso di tornare nella sua terra natia per dedicarsi al commercio delle arance dominato allora dai mafiosi. Lo minacciarono, ma lui non si piegò. E venne ucciso. La storia della sorella che non si è arresa

di Serafina Palminteri

Era il 27 aprile del 96 quando a Lucca Sicula, in provincia di Agrigento, veniva ucciso Calogero Tramuta, ex maresciallo della Guardia di Finanza che, dopo essere andato in pensione, sognava di tornare nella sua terra natia per fare il commerciante di arance. Ribera, Villafranca, Lucca Sicula sono centri dell’Agrigentino dove si coltivano le arance bionde Washington Navel. Quel sognatore però non aveva fatto i conti con la dura realtà con cui si sarebbe dovuto scontrare. Fu Piera, sorella di Calogero a parlarmi di questa storia di cui io, in verità, avevo un vago ricordo.

Conobbi questa straordinaria donna per caso, attraverso il mio lavoro ma soprattutto grazie a mio cognato, a cui lei si era rivolta per avere delle informazioni. Già dal primo momento, al telefono, iniziai a percepire che stavo parlando con una persona speciale, una donna che sarebbe presto diventata un’amica, prima ancora che una cliente.

La prima volta ci incontrammo a Prato, in Toscana, per parlare di lavoro. Ma il lavoro passò in secondo piano, parlammo più che altro di tutto ciò che le era accaduto. Non dimenticherò mai quelle ore trascorse con lei e Fiorenzo, suo adorato marito e uomo di straordinaria sensibilità ed umanità che sempre ha sostenuto Piera nella sua battaglia.

Era una donna piena di dolore, Piera; mentre mi raccontava del fratello, con la voce a tratti spezzata dalla commozione, nonostante fossero passati tantissimi anni, le guardavo quei meravigliosi occhi azzurri velati di lacrime e, nonostante il dolore e la pacatezza, intravedevo tanta forza mista a tanta stanchezza per quel logorante impegno per ottenere giustizia e verità.

Calogero Tramuta venne ucciso perché non si piegò alla prepotenza mafiosa di un boss a cui non andava a genio che qualcuno potesse commerciare arance a condizioni migliori delle sue pagando onestamente i produttori. Calogero stava interferendo con gli affari della mafia perché aveva osato tentare di risollevare un mercato che doveva rimanere senza concorrenza ed essere controllato esclusivamente dalla criminalità mafiosa che, fino a quel momento, lo aveva monopolizzato.

Tra il 1994 e il 1995 iniziarono le intimidazioni, danneggiamenti alle arance dei suoi terreni, gli distrussero tutte le pompe di irrigazione, gli sabotarono i freni dell’auto, gli sostituirono carichi di arance eccellenti con arance di scarsissima qualità; le intimidazioni non cessavano ma Calogero era inarrestabile, non si fermava; Calogero non accettava quella prepotenza, era un uomo coraggioso e al posto di abbassare la testa scelse di reagire.

Il 27 aprile del 1996 sfidò il boss pubblicamente, intimandogli di ripagargli i danni altrimenti lo avrebbe denunciato. Calogero aveva osato sfidare la mafia e lo stesso giorno,a distanza di qualche ora arrivò la sua condanna a morte. Calogero venne ucciso dai colpi di una mitraglietta all’uscita della pizzeria “Charleston” di Lucca sicula.

La mafia sembrava aver vinto, il boss, all’indomani dell’omicidio, si vantava pubblicamente dicendo:

“Cu tocca a mia s’abbrucia” (chi tocca me si brucia).

Oggi è in galera. La mafia non aveva messo in conto che la gente del paese poteva ribellarsi; non aveva messo in conto che la famiglia di Calogero poteva avere una forza superiore alla sua, la forza dell’onesta, della benevolenza della gente.

I titolari della pizzeria davanti alla quale fu ucciso Calogero testimoniarono al processo. Oggi vivono sotto protezione, lontane dai quei luoghi. La morte di Calogero non passò inosservata. Ai suoi funerali erano presenti gli abitanti di tutt’e tre i paesini vicini per rendergli omaggio.

Dopo pochi mesi ci furono i primi arresti e, nel 1997, la condanna del boss e dell’esecutore materiale dell’omicidio. Non era facile, per Piera, ricordare quei momenti; continuavo a vedere tanta sofferenza nei suoi occhi e, mentre parlava, sentivo il desiderio di abbracciarla. A quella sofferenza si accompagnava la sofferenza di Fiorenzo, il suo adorato marito che per lei era una colonna portante.

Mi ero resa conto di avere davanti due persone speciali, quelle persone che entrano nel tuo cuore per non uscirne più, perché lasciano un segno indelebile in chi le incontra.

Ne ha passate tante, Piera, decisamente troppe per qualunque essere umano. Nell’aula bunker di Palermo si trovò davanti agli imputati, davanti ai loro familiari che la offendevano in continuazione. Alla lettura delle sentenze di primo e secondo grado l’hanno aggredita. La prima volta li hanno fermati ma, in Corte di Appello, sono riusciti ad aggredirla mandandola addirittura in ospedale. Una cosa gravissima e vergognosa che all’interno di un Tribunale si permetta di aggredire un testimone.

Ma non riescono a fermarla, nemmeno Piera si piega alla prepotenza mafiosa. Piera mi racconta del suo paese che ha reagito e che, dopo quello del fratello, gli omicidi non erano più frequenti.
Per il ventennale della morte, Piera ha voluto celebrare una Messa a Villafranca a cui ha partecipato Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, l’associazione contro le mafie che, nella sezione provinciale di Prato, porta il nome di Calogero, e di cui Piera faceva parte.

A quella Messa erano presenti ben 26 sindaci della provincia di Agrigento, il Prefetto e tante altre autorità. Piera si rende conto in quell’occasione che suo fratello non è stato mai dimenticato.

Attraverso Libera, Piera ha avuto l’occasione di andare nelle scuole a raccontare la storia di Calogero affinché possa essere di esempio per tutte quelle famiglie di vittime della mafia che non hanno avuto ancora giustizia e spesso sono dimenticate.

Piera, grazie alla sua testimonianza, è riuscita a far condannare i colpevoli dell’omicidio del fratello. Nonostante le evidenze e le testimonianze, però, il delitto non viene considerato come omicidio di mafia ma, secondo il Giudice, l’omicidio “viene consumato per contrasti su questioni economiche”. In questo modo le vittime di mafia non riconosciute ufficialmente non hanno diritto a nessun contributo. Oltre il danno la beffa.

I processi sono molto costosi oltre che logoranti e non basta una sentenza per riparare un danno incalcolabile per una famiglia che avrebbe avuto il diritto di vivere in serenità e, almeno, ad essere in parte risarcita per il danno economico visto che il danno umano è stato irreversibile e non può essere certo ripagato.

AVVISO AI NOSTRI LETTORI

Se ti è piaciuto questo articolo e ritieni il sito d'informazione InuoviVespri.it interessante, se vuoi puoi anche sostenerlo con una donazione. I InuoviVespri.it è un sito d'informazione indipendente che risponde soltato ai giornalisti che lo gestiscono. La nostra unica forza sta nei lettori che ci seguono e, possibilmente, che ci sostengono con il loro libero contributo.
-La redazione
Effettua una donazione con paypal


Commenti