Migranti in Sicilia: una proposta anche in tempo di Coronavirus/ MATTINALE 493

19 aprile 2020

Siccome abbiamo capito che Ue e Stato italiano stanno scaricando il dramma dei migranti che arrivano dal mare sulla Sicilia – e siccome non si possono lasciare esseri umani in mare – abbiamo elaborato la seguente proposta che coinvolge i Comuni, la Regione siciliana e l’agricoltura della nostra Isola. Proviamo a illustrarla

Un fatto è certo: a differenza di quanto pensano i Paesi dell’Unione europea che lasciano le persone in mezzo al mare (vedi Malta), a differenza della Commissione europea che, da quando sono ricominciati gli sbarchi in Sicilia, non ha proferito parola, a differenza di quanto pensa il ‘capo’ della Lega, Matteo Salvini, che da Ministro degli Interni impediva ai migranti di scendere dalle navi, a differenza di tutti questi signori, insomma, noi pensiamo quanto segue:

non si lasciano esseri umani in mare;

i migranti debbono scendere dalle navi ed essere ospitati nelle migliori condizioni possibili, possibilmente non soltanto dalla Sicilia.

Di fatto, in questo momento, l’Italia – o meglio la Sicilia – si sta occupando dei migranti che arrivano dal Nord Africa.

I tedeschi – che oggi esprimono la presidenza della Commissione europea e che dovrebbero essere i primi a dare l’esempio in Europa – ci mettono al massimo qualche nave targata ONG: poi, però, dell’assistenza ai migranti debbono pensarci altri.

Non una sola parola è arrivata dalla Commissione europea a ‘trazione’ tedesca rispetto ai migranti che, da qualche settimana, arrivano a Lampedusa e in Sicilia.

Non siamo stupiti: sappiamo benissimo quale sia stato, nel passato, il tasso di ‘umanità’ della classe dirigente tedesca: ne abbiamo preso atto nel ‘Secolo breve’, quando in Germania andava in scena la “banalità del male”.

L’atteggiamento dei Paesi dell’Unione europea – e segnatamente della Commissione europea – che ignorano la questione migranti ci dice che l’Italia, che invece è un Paese civile, non dovrebbe restare ancora un minuto nell’attuale Unione europea.

Non si può affermare che “il futuro dell’Italia è nell’Unione europea”, quando Paesi della stessa Unione europea lasciano esseri umani in mare, con il rischio di farli morire. Tutto questo offende l’Italia e, in generale, la civiltà.

Chi, in Italia, si è proclamato e si proclama ancora europeista, con riferimento all’attuale Unione europea, ne prenda atto: e ammetta di avere sbagliato.

MIGRANTI IN SICILIA – Detto questo, abbiamo capito che, in piena emergenza Coronavirus, l’unico Paese dell’Unione europea che sta accogliendo i migranti è l’Italia e, fino ad ora, l’unica Regione italiana che sta accogliendo i migranti è la Sicilia.

E poiché noi siamo fermamente contrari all’attuale Unione europea – anche perché siamo fermamente convinti che non si abbandonano in mare gli essere umani, così come siamo fermamente convinti che lo strozzinaggio tipo MES vada respinto – bisogna però intendersi come accogliere, in tempo di pandemia da Coronavirus, gli esseri umani che arrivano via mare dall’Africa.

Come abbiamo scritto ieri sera annunciando l’attuale articolo, è chiaro che queste persone non possono essere lasciate in mare. Né possono essere ammassate in hot spot o centri di accoglienza ignorando il necessario distanziamento sociale imposto dalla pandemia di Coronavirus e da leggi che il Governo italiano applica agli italiani, multandoli nel caso in cui tali leggi non vengano rispettate.

E’ normale che folti gruppi di persone – che peraltro arrivano da un Continente dove la pandemia di Coronavirus si va diffondendo in modo esponenziale – vengano ospitate, tutti insieme, in strutture dove è impossibile il distanziamento sociale? 

Eppure sta avvenendo a Pozzallo, a Comiso, a Siculiana e adesso anche su una nave.

Eppure, qualche mese addietro, abbiamo visto cosa è avvenuto in una nave da crociera, quando tanti passeggeri sono stati contagiati dal Coronavirus. E’ successo in una nave molto grande, potrebbe succedere, a maggior ragione, in una nave molto più piccola come quella individuata dal Governo nazionale per la quarantena dei migranti arrivati dall’Africa.

Esiste un’alternativa all’attuale modo, sbagliato, di ospitare i migranti? Sì.

Ora proviamo ad illustrare la nostra proposta. Con una premessa.

Fino a prima dell’esplosione del Coronavirus, causa la concorrenza di prodotti agricoli che arrivavano da Paesi esteri, molte aziende agricole siciliane erano in difficoltà. L’ortofrutta che arriva dall’estero e spesso sì di qualità scadente, ma ha il pregio di costare molto meno rispetto all’ortofrutta siciliana.

IL COSTO DEL LAVORO IN AGRICOLTURA – La differenza la fa il costo del lavoro in agricoltura: in tanti Paesi del mondo – Africa in testa – una giornata di lavoro, in agricoltura, viene pagata 4-5 euro. Mentre in Italia, stando alla legge, una giornata di lavoro nei campi deve essere pagata 80-100 euro (contributi compresi). E’ chiaro che, in queste condizioni, non c’è partita: l’agricoltura italiana è perdente, a meno che non si ricorra al ‘caporalato’, cioè allo sfruttamento della manodopera che arriva da Paesi esteri.

Così i migranti, che sono andati via dai propri Paesi di origine in alcuni casi per fuggire alle guerre, in altri casi per fuggire alla fame, si ritrovano sfruttati anche in Italia. Mentre gli italiani, che si rifiutano di lavorare nei campi per 10-15-20 euro al giorno (questa, quando va bene, è la paga che il ‘caporalato’ dà ai lavoratori sfruttati), hanno abbandonato l’agricoltura.

Con l’esplosione della pandemia da Coronavirus lo scenario, nel mondo di quelli che un tempo si chiamavano braccianti agricoli, si è complicato. Nel Centro Nord Italia – dove i braccianti sono rappresentati in massima parte da rumeni e in minima parte da polacchi e africani – è successo che i rumeni sono tornati in Romania.

Nel Centro Nord Italia, oggi, non sanno come andare avanti. Potrebbero andare avanti pagando un operaio agricolo 80-100 euro al giorno: ma in questo caso andrebbero in fallimento. E allora si va avanti con l’ipocrisia e lo sfruttamento.

Nel Sud – dove non mancano i rumeni, ma dove ci sono tanti braccianti o operai agricoli di origine africana – si registra un clima di attesa, anche perché molte aziende agricole sono ferme.

Anche in Sicilia, in questo momento, l’agricoltura è in parte bloccata. Ma rimane il dilemma: alto costo della manodopera agricola per chi vuole rispettare la legge o ricorso al lavoro nero?

Quello che oggi è un problema, però, mettendo assieme l’esigenza di assicurare una vita dignitosa – e soprattutto alloggi dignitosi – ai migranti potrebbe diventare una grande opportunità per la Sicilia.

In questo momento l’agricoltura siciliana ha bisogno di operai o braccianti agricoli; in prospettiva ne avrà sempre più bisogno, perché i tanti siciliani che sono rientrati in Sicilia dal Nord Italia e dall’estero causa emergenza Coronavirus non è detto che ripartano: soprattutto nell’entroterra della nostra Isola, è probabile che rimangano tornando all’agricoltura.

I braccianti agricoli non mancano – migranti, ma anche giovani siciliani – ai quali, però, va assicurato un salario dignitoso che, però, le imprese agricole siciliane non sono in grado di pagare.

Ai migranti vanno anche assicurati gli alloggi.

Stiamo entrano nel cuore della nostra proposta. 

ALLOGGI SFITTI NELL’ENTROTERRA SICILIANO – In questo momento nei piccoli e grandi centri aree interne della Sicilia – che erano già spopolati negli anni ’80 del secolo passato e che si sono ancora di più spopolati nell’ultimo decennio – le abitazioni abbandonate o sfitte non si contano più.

D’accordo con la Regione siciliana e con i Comuni (i sindaci in questa ipotesi di progetto dovrebbero svolgere un ruolo centrale) si potrebbero censire queste abitazioni che in parte sono sfitte e in parte abbandonate e, con l’accordo dei proprietari, si potrebbero assegnare in affitto ai migranti.

Il pagamento degli affitti, per i primi due anni, sarebbe a carico dei Comuni, che utilizzerebbero una parte dei fondi europei destinati all’agricoltura.

E qui entrerebbe in gioco la Regione siciliana, che dovrebbe garantire che una parte dei fondi europei destinati all’agricoltura siciliana venga utilizzata per questa finalità.

I migranti che man mano andrebbero ad occupare le abitazioni dei paesi dell’entroterra della Sicilia dovrebbero, per contratto, lavorare in agricoltura con retribuzioni a norma di legge: solo che degli 80-100 euro al giorno da erogare ai migranti-braccianti, le aziende agricole siciliane pagherebbero solo un terzo: i due terzi del costo del lavoro sarebbe a carico dei fondi europei destinati all’agricoltura siciliana (e qui dovrebbe entrare in gioco ancora una volta la Regione). 

IL POSSIBILE CIRCOLO VIRTUOSO – Questo possibile sistema gioverebbe alle aziende agricole siciliane, che avrebbero a disposizione manodopera ad un costo competitivo con il costo del lavoro in agricoltura di altre aree del mondo.

Gioverebbe ai consumatori siciliani, che tornerebbero a portare in tavola frutta, ortaggi prodotti in Sicilia e derivati del grano coltivato in Sicilia.

Gioverebbe ai migranti che arrivano in Sicilia, che troverebbero alloggi dignitosi e un lavoro dignitoso.

Gioverebbe ai proprietari delle abitazioni oggi sfitte, che oggi pagano l’IMU (quando la pagano, perché non pagano più tasse e imposte) per tenere le abitazioni chiuse: proprietari che, invece, incasserebbero ogni mese l’affitto.

Si creerebbe un circolo virtuoso, perché i nuovi abitanti dei Comuni, oltre a pagare tasse e imposte, acquisterebbero beni e servizi a beneficio dell’economia locale. E scomparirebbe il lavoro nero nelle campagne.

I migrati che oggi vivono mendicando nelle città costiere della Sicilia potrebbero trovare casa e lavoro nell’entroterra della nostra Isola.

Non solo. Il ripopolamento delle aree interne – soprattutto delle zone montane (Nebrodi, Peloritani, per citare due esempi) – garantirebbe una tenuta del territorio: è la presenza dell’uomo, e segnatamente degli agricoltori, in queste aree difficili, che preserva tali zone dal dissesto idrogeologico.

Nel Messinese, quando l’albero di nocciolo garantiva redditi agli agricoltori, non c’era emigrazione e non c’era dissesto idrogeologico: i problemi sono cominciati quando è entrata in crisi l’agricoltura di queste zone, e segnatamente la nocciolicoltura, a partire dai primi anni ’80 del secolo passato.

Cominciare anche in emergenza Coronavirus? Perché no? Forse è più ‘intelligente’ tenere i migranti ammassati e chiusi in luoghi dove un solo infetto potrebbe creare problemi a tutti. migranti, cittadini siciliani e strutture sanitarie?

Ovviamente, il trasferimento andrebbe effettuato con le dovute cautele: ma questo è ovvio.

LA SFIDA DEI COMUNI – I Comuni dell’entroterra della Sicilia potrebbero raccogliere la sfida? A nostro avviso ne avrebbero tutto l’interesse. Tra l’altro, qualche esempio già c’è. I sindaci del Palermitano e del Nisseno hanno più volte posto la questione del rilancio del grano duro.

Qualche giorno fa abbiamo illustrato il progetto ‘Grani Iblei’ per la valorizzazione dei grani antichi siciliani: un progetto che vede insieme i Comuni di Palazzolo Acreide, Canicattini Bagni, Modica e Ragusa, insieme con aziende agricole, molini, pastifici, panificatori, ristoratori e istituti di ricerca.

Il progetto è esportabile nelle altre Regioni del Sud Italia? A nostro avviso sì, perché tutto il Sud ha subito nell’ultimo decennio uno spopolamento che ha coinvolto l’agricoltura. A tutta l’agricoltura del Sud Italia conviene chiudere la pagina del lavoro nero e rilanciare le proprie produzioni.

In conclusione, questa sarebbe la migliore risposta del Sud alla Lega: si dimostrerebbe che i migranti sono una risorsa e non un problema sul quale costruire consenso elettorale.

Foto tratta da Ragusa Oggi

 

 

 

 

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