Coronavirus/ Tutti a lamentarsi delle Rsa: ma perché gli anziani non rimangono con le famiglie come un tempo?

19 aprile 2020

In questo ricordo di famiglia Domenico Iannantoni ricorda che, fino a non tanti anni fa, gli anziani restavano in famiglia: ed erano le famiglie che si occupavano di loro. Oggi gli anziani vengono portati nelle Rsa (Residenze socio-assistenziali sanitarie), luoghi affollati dove, in caso di pandemia, il rischio di morte, per gli stessi anziani, è elevato. Molto facile, oggi, davanti ai morti, dire che tutto quello che è successo è responsabilità degli altri!

di Domenico Iannantuoni

Mio nonno Domenico

Nonno Domenico, come stai?

“Beh, a dirti il vero oggi sto un po’ peggio di ieri”, mi rispose dandomi una carezza sul volto.

Nonno gli ho detto, ti ricordi quando venivi a prendermi all’asilo?

“Certamente, e come correvi per tornare a casa, tanto che io, ed ero ancora in gamba, facevo fatica a starti dietro! Sembravi un giovane puledro, giovane e aitante. Ma da allora, caro Dino, sono passati oltre dieci anni ed il mio fisico sta marcando male. Saranno stati i dieci anni di guerra sempre a fare l’attendente del mio colonnello, prima in Libia e poi tutta la Prima guerra mondiale, otto anni di fatiche e tribolazioni…”.

Perché mi dici che stai peggio di ieri, nonno? Il suo sguardo si incrociò con il mio ma si perse quasi subito. Mamma, mamma, vieni qui dal nonno credo che stia male, vieni subito!

Mia madre Lucia, accorse subito al capezzale del letto, ella aveva una forte devozione per mio nonno Domenico e soprattutto lo rispettava tantissimo.

Mio nonno quel giorno morì nella mia casa e ne provai un forte dolore. Mentre mia madre chiamava il medico, mi recai in cantina, come un automa, dove mio padre aveva realizzato una piccola officina e rovistai dappertutto fino a ritrovare un sacchetto plastico che custodiva al suo interno i cocci della scodella di mio nonno che proprio qualche giorno prima egli aveva fatto cadere rompendola in mille pezzi che io avevo custodito e portato in cantina.

I miei occhi erano colmi di lacrime e non vedevo un accidenti di niente. Il dottore mi aveva detto che il nonno Domenico aveva una malattia che si sarebbe aggravata rapidamente, il Parkinson. Ricordo anche quando fece cadere la scodella che le tremava anch’essa intensamente tra le sue mani, mio nonno non poteva più stare a tavola con noi e quindi mia madre aveva escogitato di fornirgli i pasti con l’ausilio di una scodella per farlo restare a letto. Un giorno mio nonno ricevette il brodo in scodella che mia madre le porse delicatamente appoggiandolo sul portavivande da letto e ricordo anche cosa gli disse.

– Ohi Tà, eccovi un po’ di brodo caldo, che vi farà bene!

Mio nonno felicemente si accostò alla scodella e tentò di afferrarla ma la malattia era stata più rapida di lui, il tremore della mano destra si amplificò a dismisura e la scodella rovinò a terra andando in mille frantumi. Mio nonno Domenico si mise a piangere sommessamente mentre mia madre rapida come un gatto si precipitava sul pavimento per nascondere un suo errore, perché lei avrebbe dovuto capire che la malattia del nonno era progressiva e che sarebbe potuto accadere un giorno o l’altro questa disgrazia e mentre proferiva Padrenostri ed Avemaria cercò di consolare il nonno alla meglio.

Mio nonno quel giorno non mangiò nulla, nonostante mia madre fosse andata in cucina a preparargli una seconda scodella di brodo, egli rimase a guardare il vuoto soffitto fino a sera.

Dunque ero in cantina e pian piano gli occhi si asciugarono ma non ebbi per molto tempo il coraggio di risalire su in casa. Cercai il collante idoneo e lo trovai, poi distesi tutti i pezzetti di ceramica su un piano di lavoro ed iniziai con pazienza a reincollarli tra di loro aiutandomi con gli attrezzi che di volta in volta potevano servirmi. Passarono un paio d’ore finché venni sorpreso da mio padre che nel frattempo era tornato da lavoro. Egli mi strinse forte e mi disse che il nonno era morto ed io ripresi a piangere.

Poi aggiunse:

“Ma tu cosa stai facendo qui in cantina, la mamma ti cercava ovunque”.

Niente, risposi io a fatica, ho reincollato la scodella che ha usato il nonno e che inavvertitamente gli era caduta.

“Ah”, rispose mio padre e poi aggiunse:

“Ma perché lo hai fatto?”.

L’ho riparata per bene perché un giorno potrà servire a te!
Mio padre capì e mi abbracciò, poi muto mi accompagnò in casa, tutta la sera pianse vicino al nonno senza proferire una parola.

Ho capito che le nostre tradizioni, non usanze, nel nostro Sud, erano quelle di custodire e curare i nostri vecchi e di portar loro il massimo rispetto. Noi non avevamo ricoveri, detti RSA, perché non ci sarebbe mai stato miglior ricovero, per un vecchio, della propria casa, circondato dagli affetti dei propri familiari. Oggi il Coronavirus ci ha mostrato quanto sagge erano queste tradizioni.

Riflettiamo!

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