Quindici anni fa moriva Giovanni Paolo II, cosa resta della sua visione del mondo e della Chiesa

2 aprile 2020

E’ stato un grande Papa. Di questo Pontefice ricordiamo la ferma denuncia sulle storture del capitalismo, del consumismo e della globalizzazione selvaggia dell’economia, intesa come annullamento della centralità dell’individuo e della sua mercificazione. Un messaggio estremamente attuale

di Ignazio Coppola

Giovanni Paolo II , un Papa protagonista in assoluto e per certi versi rivoluzionario che ha contribuito in modo determinante a fare la storia a cavallo di due Millenni. Di questo Papa un giudizio sul piano politico e pratico del suo pontificato, al di là del processo miracolistico e di santificazione, a 15 anni della sua morte – oggi infatti 2 aprile ne ricorre l’anniversario – va dato a secondo del fatto se lo si può definire, alla luce del suo operato, un Papa progressista o un Papa conservatore.

Credo che di questo Papa un giudizio più complessivo debba riguardare la sua visione nella dottrina sociale, della centralità dell’uomo rispetto il lavoro, la produzione e la sua creatività.

Ogni uomo, chiunque egli sia, qualunque sia la sua origine o la sua condizione merita assoluto rispetto. La ferma presa di posizione di Giovanni Paolo II sul capitalismo, sul consumismo e sulla globalizzazione selvaggia dell’economia, intesa come annullamento della centralità dell’individuo e della sua mercificazione, trova, opportunamente, riscontro nell’enciclica “Laborem Exercens”(1981) con l’esaltazione del lavoro umano mai riconducibile a merce perché fondato sulla dignità e sulla creatività umana. Nella sua visione del mondo c’è la priorità dei lavoratori sul capitale ed il conseguente rifiuto del capitalismo inteso come mortificazione di questi valori.

La “Sollecitudo rei socialis”(1987) e la “Centesimus Annus”(1991), congiuntamente alla precedente enciclica, vanno in questa direzione, lette nell’affermazione dei valori della solidarietà e della giustizia sociale, per il superamento delle sperequazioni ed in cui l’attività produttiva sia ricondotta a forma di maggior rispetto della dignità umana, rivalutando, per questo, in una visione di esaltazione del mondo del lavoro, tra gli uomini il concetto di solidarietà.

E sono proprio il concetto di solidarietà, il rispetto dell’uomo e della sua dignità dell’essere soggetto protagonista dei processi di produzione e non oggetto di mercificazione, il valore assoluto della pace affermato sempre con forza sino a scontrarsi con i potenti della terra i messaggi pregnanti che Giovanni Paolo II ci ha lasciati. La condanna di ogni forma di guerra totale e preventiva contenuta nella “Gaudium et Spes”, di tutte le guerre passate e presenti, come quando all’approssimarsi del Giubileo del 2000, in riferimento agli errori della Chiesa ed alle guerre di religione combattute, a purificazione della memoria, ebbe solennemente a pronunciare una frase coraggiosa e rivoluzionaria contro ogni tradizionale conformismo:

“In nome della Chiesa io chiedo perdono”.

Giovanni Paolo II che, per molti aspetti, può definirsi un Papa “rivoluzionario”, sarà ricordato per questo come un costruttore di pace, perché la guerra non sia mai il mezzo risolutivo per restaurare i diritti violati, divenendo, già di per sé, a suo dire, immorale anche la sola minaccia di usare le armi.

L’affermazione dei diritti e della centralità dell’uomo, della pace e della solidarietà sono i messaggi e l’eredità di questo Papa, al di là dei giudizi contraddittori di alcuni, ovvero se sia stato un progressista o un conservatore e dello stesso processo di santificazione. Valori, quelli di Papa Giovanni Paolo II, fortemente pregnati di socialismo e di modernità, che vanno recepiti ed attuati da tutti gli uomini di buona volontà.

Messaggi che ognuno di noi, se convintamene crede in questi valori, deve fare propri, perché la speranza in un mondo migliore non rimanga solamente un miraggio ma un approdo e una certezza per tutti i popoli della Terra.

 

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