Coronavirus/ Palermo, la denuncia dei sindacati: i dipendenti della RAP non lavorano in sicurezza

17 marzo 2020

Durissimo il comunicato stampa diramato da CGIL, ALBA e Fesica Confsal. Dove si legge che “si sta perpetrando, più o meno volutamente, una deliberata violazione alle disposizioni del Governo Nazionale e Regionale, mettendo a serio repentaglio la salute dei lavoratori e con essa quella dell’intero territorio dell’Area Metropolitana di Palermo”

Siamo sicuri che, a Palermo, tutti hanno compreso la gravità della situazione provocata dalla pandemia di Coronavirus? Leggendo questo comunicato stampa di CGIL, ALBA e Fesica Confsal sembrerebbe proprio di no.

La nota delle tre organizzazioni sindacali è stata inviata alla RAP (l’Azienda che fa capo al Comune che si occupa della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti), ai dipendenti della stessa RAP, all’Azienda Sanitaria Provinciale (ASP) di Palermo e al Prefetto di Palermo.

“Duole constatare – si legge nel comunicato – che la richiesta inoltrata dalle scriventi organizzazioni sindacali lo scorso 12 marzo non ha avuto ancora alcun riscontro. Sembrerebbe quasi che chi governa oggi la RAP non ha ancora compreso la gravità del fenomeno pandemico in corso, in contrasto anche a tutti gli appelli quotidiani fatti dei medici scienziati su tutti i mezzi di informazione. Le scriventi organizzazioni sindacali ritengono che con tale atteggiamento di attesa o di immobilismo si sta perpetrando, più o meno volutamente, una deliberata violazione alle disposizioni del Governo Nazionale e Regionale, mettendo a serio repentaglio la salute dei lavoratori e con essa quella dell’intero territorio dell’Area Metropolitana di Palermo”.

“Ci risulta, inoltre – prosegue il comunicato – che le legittime richieste di alcuni operatori dei reparti operativi, impossibilitati a svolgere il proprio servizio in sicurezza, poiché non dotati di idonei DPI, piuttosto che essere oggetto di valutazione e conseguente risoluzione del contingente problema, è stata un’occasione, al contrario, per intimidire e minacciare di denuncia i lavoratori per interruzione di pubblico servizio. Inoltre, paradossalmente, ci giunge voce che potrebbero essere in giro in azienda dei lavoratori regolarmente in servizio (nella sede di p.tta Cairoli) che avrebbero fatto ritorno, nei giorni passati (e non certo 15 gg fa), proprio dal Nord Italia! Pertanto, ricordando le responsabilità in capo a chi, ancor più in questi momenti, assume l’onore e l’onere di possedere il potere decisionale sull’Azienda, si ritorna nuovamente a chiedere l’immediata:

1. fornitura di DPI adeguati sia in qualità che in numero a tutti i lavoratori a rischio;
2. attivazione del lavoro agile così come imposto dalle ordinanze e così come tutti gli Enti e le Aziende di una certa caratura a livello nazionale e internazionale hanno già fatto da giorni (es. Enel, Tim, Unicredit, Regione Siciliana, Intesa San Paolo, ecc.), atteso che anche qualora ciascun
lavoratore consumi tutte le ferie maturate – nella follia di attuare tale percorso delle “ferie pag. 2 di 2 d’ufficio” – non si riuscirà a coprire tutto il periodo dell’emergenza che, verosimilmente, così come avvenuto nella più incisiva Repubblica Popolare Cinese, durerà per almeno altri due mesi;

3. ricognizione del personale assentatosi nei 14 giorni precedenti con contestuale richiesta di dichiarazione sostitutiva ex DPR 445/00 sui luoghi fuori dal territorio regionale eventualmente visitati o transitati;

4. rimodulazione e riduzione dei servizi di istituto a quelli che sono i “servizi minimi essenziali” così come suggerito dal DPCM del 11/03/2020; ad esempio: a cosa serve oggi effettuare a pieni ranghi il servizio di spazzamento manuale delle strade? O quello del monitoraggio strade e
marciapiedi, con dati spesso ridondanti? Oppure, la manutenzione delle strade mediante programmazione per giunta differibile? Per non parlare del personale che stanzia nelle sedi giudiziarie (oggi prettamente ferme) per le attività di pulizia ordinaria?;

5. aggiornamento del DVR aziendale ai pericoli di infezione da Coronavirus e la contestuale immediata attivazione delle procedure operative oggetto di rimodulazione;

6. applicazione dello stesso ordine di servizio aziendale che vieta tutte le riunioni o gli incontri tra lavoratori afferenti a sedi di lavoro diverse e che non possono avvenire, ad esempio, telefonicamente (praticamente il 99% del totale). Il protocollo del 14 marzo ed i DPCM emanati in merito all’emergenza Covid19 sono provvedimenti che integrano e rendono più restrittivo il vigente D. Lgs. 81/2008 in materia di tutela della salute e della
sicurezza del lavoratore. Si richiamano gli artt. 17 e 18 in merito agli obblighi del Datore di Lavoro e l’art. 20 che dispone gli adempimenti a cui il Datore di Lavoro e il Medico Competente devono ottemperare in caso di
esposizione ad agenti biologici nel quale a pieno titolo rientra il rischio a esposizione al virus COVID19″.

“Al medesimo art. 20 – prosegue il comunicato – si legge: ‘OGNI LAVORATORE DEVE PRENDERSI CURA DELLA PROPRIA SALUTE E SICUREZZA E DI QUELLA DELLE ALTRE PERSONE PRESENTI SUL LUOGO DI LAVORO’. Pertanto rientra negli obblighi del lavoratore accertarsi che sussistano le condizioni di tutela della propria incolumità ed espletare le attività richieste dalla mansione solo una volta accertate le condizioni di sicurezza. Il protocollo prevede inoltre la possibilità di attivazione di polizze assicurative per tutti i dipendenti dai rischi legati al COVID19. E’ bene ricordare inoltre che il protocollo e la normativa citata impongono al DATORE DI LAVORO LA SOSPENSIONE DELLE ATTIVITA’ laddove non si è nelle possibilità di fornire i lavoratori i DPI necessari e non si siano predisposte idonee procedure a tutela del rischio contagio”.

“La qualità di servizio essenziale – conclude il comuniacto – non esime il Datore di lavoro dagli obblighi delle norme citate né in qualsivoglia modo è consentita l’esposizione al rischio contagio del lavoratore. Tutto quanto sopra nella speranza di non dover dire un giorno: “noi ve l’avevamo detto”!

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