Il lavoro in agricoltura: il ‘caso’ notaio di Valledolmo condannato per sfruttamento dei lavoratori. Ma un problema c’è

3 marzo 2020

Premessa: per ora è una condanna di primo grado. Dopo di che, fatto salvo il principio che la risposta ai Paesi dove il costo del lavoro agricolo è bassissimo non può essere il ‘caporalato’, resta da capire cosa si può fare per abbassare, anche dalle nostre parti, il costo del lavoro in agricoltura nel rispetto della legge. Ecco la nostra proposta 

C’è una notizia di cronaca giudiziaria che noi vogliamo commentare con gli agricoltori che seguono I Nuovi Vespri: è la condanna, in primo grado, di un imprenditore agricolo per sfruttamento dei lavoratori.

La storia la leggiamo su Live Sicilia:

“Avrebbe sfruttato gli operai della sua azienda agricola sottoponendoli a turni di lavoro massacranti e costringendoli anche a restituire parte della busta paga. Il giudice per l’udienza preliminare Stefania Gallì del Tribunale di Termini Imerese ha condannato a 4 anni e 10 mesi il notaio Gianfranco Pulvino, originario di Valledolmo”.

Il figlio del notaio è stato assolto. E assoluzione anche per un collaboratore dell’impresa agricola del notaio Pulvino, Francesco Licitra.

Gianfranco Pulvino, 52 anni, come già accennato, notaio e imprenditore agricolo, era imputato per sfruttamento del lavoro, caporalato ed estorsione.

“Le indagini – leggiamo sempre su Live Sicilia – sono state avviate nel luglio del 2018 quando i carabinieri hanno scoperto che alcuni braccianti sarebbero stati sfruttati e costretti ad accettare, anche con minacce, retribuzioni inferiori di quanto previsto dal contratto: appena 25 euro giornalieri, rispetto ai 65 euro riportati solo formalmente nelle buste paga. Il notaio, gestore di un’azienda agricola formalmente intestata all’anziana madre con terreni a Valledolmo, Caltavuturo, Sclafani Bagni e Vallelunga Pratameno, avrebbe sfruttato gli operai facendoli lavorare 12-13 ore al giorno, senza maggiorazioni per il lavoro straordinario, notturno o festivo e, approfittando del loro stato di bisogno”.

“I Carabinieri – prosegue l’articolo – hanno riscontrato poi che Pulvino avrebbe costretto i lavoratori, dietro minaccia del licenziamento, a restituire in contanti parte delle somme loro corrisposte con gli assegni mensili, solo formalmente rispondenti alle previste buste paga, facendoli persino accompagnare in banca dal suo fidato collaboratore per incassare gli assegni e subito restituire le somme pretese. Gli operai – conclude l’articolo – si sono costituiti parte civile, e hanno ottenuto una provvisionale a titolo di risarcimento dei danni, con l’assistenza degli avvocati Francesco Costantino, Luigi Favari, Giuseppe Messina e Liborio Pirrone”.

Ribadiamo che si tratta di una sentenza di primo grado e, di conseguenza, bisognerà aspettare il successivo o i successivi gradi di giudizio.

Noi riportiamo questa storia perché si incentra su una questione che questo blog affronta spesso: il costo del lavoro non agricoltura che, in Italia, non è più sostenibile.

Nella nostra Isola, ormai da tempo, arrivano prodotti agricoli coltivati in  luoghi del mondo dove il costo del lavoro in agricoltura è di gran lunga inferiore al costo del lavoro in Italia.

Ovviamente, la risposta a questo problema non può essere il ‘caporalato’, ovvero lo sfruttamento di manodopera che, spesso, è composta da persone che arrivano da vari Paesi del mondo (l’Africa, ma anche la Romania, per citare casi molto presenti).

Non è lontanamente pensabile sottopagare e sfruttare i lavoratori solo perché in tanti Paesi poveri del mondo una giornata di lavoro, in agricoltura, viene retribuita, in media, 4-5 euro, a fronte dei 60-70 euro al giorno che vengono pagati in Italia.

Però il problema esiste. In Sicilia, ad esempio, la superficie coltivata a pomodoro di pieno campo si va riducendo perché, con tutto il pomodoro che arriva dalla Cina e dall’Africa, il prezzo è crollato e molti agricoltori preferiscono non coltivarlo più.

Il problema è duplice. Riguarda gli agricoltori che abbandonano la coltura del pomodoro di piano campo. Ma riguarda anche i consumatori – in questo caso in consumatori siciliani – che alla fine sono costretti a portare in tavola pomodori prodotti chissà dove con chissà quali metodologie agronomiche.

Spesso, in altre parti del mondo, ci vanno assai pesante con i pesticidi, magari utilizzando prodotti chimici che nel nostro Paese sono stati banditi da anni perché dannosi per la salute umana.

Così al problema degli agricoltori siciliani, che non coltivano più certi prodotti agricoli perché poi non sanno a chi venderli, c’è anche il problema dei consumatori, costretti a portare in tavola prodotti di pessima qualità, talvolta anche dannosi per la propria salute!

Abbiamo citato il caso del pomodoro di pieno campo: ma ci sono tanti altri ortaggi che subiscono la concorrenza di prodotti esteri, spesso di pessima qualità, che hanno però il pregio di costare pochissimo perché, dove vengono prodotti, i costi di produzione – costo del lavoro in testa – sono molto più bassi!

E’ il caso, ad esempio, della frutta estiva: non potete immaginare, ogni estate, quanti siciliani (ma non soltanto siciliani) ci scrivono in privato chiedendoci dove poter trovare frutta estiva buona, perché quella che acquistano non ha alcun sapore!

Esiste la soluzione a questo problema? Noi non abbiamo la bacchetta magica. Ma di una cosa siamo certi: la soluzione non può essere il ‘caporalato’, che è un reato: reato che si può concludere con una pesante condanna!

E allora? Una soluzione potrebbe essere la cosiddetta filiera corta: fare in modo che i consumatori si avvicinino all’agricoltura e acquistino direttamente dai produttori agricoli e dagli allevatori. In questo senso, i mercati contadini sono importanti.

Ma questa non può essere l’unica soluzione. Bisogna intervenire alla radice del problema, riducendo il costo del lavoro agricole. Come? A nostro avviso con i fondi europei destinati all’agricoltura. Che potrebbero essere utilizzati, in parte, per abbattere il costo del lavoro.

Si tratta solo di organizzare la ‘macchina’. Le aziende agricole – il nostro è solo un esempio – pagherebbero il 30% del costo di una giornata di lavoro in agricoltura; il 70% sarebbe a carico dei fondi Ue.

Non sarebbe difficile. Ci vorrebbe solo un po’ di volontà politica. Senza creare inutili passaggi burocratici. Questa soluzione, oltre ad agevolare le imprese agricole, farebbe emergere il lavoro nero, con soddisfazione dello Stato.

Certo, se poi l’obiettivo è quello di smantellare l’agricoltura italiana…

QUI PER ESTESO L’ARTICOLO DI LIVE SICILIA 

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